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La sala del Ristorante Famiglia Rana ph. Beatrice Pilotto

Tra campagna e sperimentazione: Francesco Sodano per Famiglia Rana

I piatti sofisticati e tecnici dello chef, nella rinnovata struttura del ristorante voluto da Gian Luca Rana, celebrano il rapporto con il territorio, aprendo il sipario su un’esperienza confortevole e sobria.

Se è vero che l’haute cuisine e i suoi artefici hanno da tempo conferito indiscussi quarti di nobiltà culturale alla preparazione del cibo, verrebbe voglia di azzardare l’ipotesi che dalla migrazione professionale dello chef Francesco Sodano dal Faro di Capo d’Orso, sulla costa sorrentina, al rinnovato Ristorante Famiglia Rana di Oppeano, nella campagna veronese, possano nascere i frutti di quella composizione tra culture territoriali diverse che crea valore. E il coté internazionale e contemporaneo della cucina di Sodano, già arricchito dai suoi soggiorni asiatici, sembra trovare terreno fertile nel contesto veronese. Non sono pochi i segnali di questa vocazione a far convivere avanguardia, tecnica e rispetto dei luoghi e delle loro genealogie, che spicca nel curriculum dello chef campano classe 1988. Non per caso Gian Luca Rana, amministratore delegato del gruppo di famiglia, ha scelto proprio lui come guida di una squadra affiatata «per la sua nota gastronomica passionale, sensuale e tecnica allo stesso tempo».

Atmosfera di casa (sì, ma sofisticata)

Sensuale, in senso lato, e materica appare anche la concezione generale del restyling di quel che fu un magazzino per lo stoccaggio di tabacco e riso, trasformato in un ristorante con tre sale di un’eleganza non vistosa. Quasi una casa dal lusso sobrio e composto, con arredi, pavimenti e pareti dai colori caldi e naturali, con opere e manufatti frutto di diversi talenti: gli interior designer di Cantieri Creativi, gli illustratori di PÖI autori delle grafiche dei menu, la scultrice Paola Paronetto con le sue opere in paper clay che decorano tavoli e pareti, l’artista floreale Ottavia Bosco con la sua installazione sospesa sul soffitto e realizzata con erbe, piante, radici della Valle del Feniletto, la cooperativa Quid con tovaglie e tovaglioli cuciti da persone svantaggiate, Antonio Marras autore delle giacche di sala.

Come in una casa, la collezione di opere d’arte è frutto di scelte meditate e racconta il gusto del proprietario e la sua passione per la storia: dal dente di Tyrannosaurus Rex o dal fossile del Wyoming si vola in un attimo attraverso milioni di anni fino a raggiungere l’arte contemporanea con i volti in terra cruda e alabastro di Roberta Busato, i calchi di corteccia di Michele Bruna, i manufatti di legno di Marco Bellini, i vasi di argilla di Nina Salsotto. Il dolce paesaggio circostante della Valle del Feniletto e la fattoria moderna di cui il ristorante è parte, con gli animali da cortile nell’aia, i cavalli che si muovono liberi, l’orto biologico, il frutteto e il giardino alberato, esprimono anch’essi la volontà – forse la gradevole utopia, evocativa d’uno spirito mecenatizio d’altri tempi – di creare un microcosmo ideale, capace di bastare a sé stesso, e che unisca bellezza ed esperienza gastronomica in una visione unitaria del buon vivere.

La tensione a comporre storia e modernità, memoria e innovazione, unisce le scelte formali del restyling voluto da Rana e il concetto di cucina contemporanea di Sodano, allievo di Oliver Glowig e Anthony Genovese, con un retroterra internazionale e una visione originale del territorio e delle materie prime locali. Sodano fa dialogare sapere territoriale e avanguardia gastronomica, ricompone idee e tecniche eterogenee con i costumi e le usanze radicati storicamente al luogo di lavoro. L’attenzione per la materia prima – come spesso accade – è il primo comandamento, da cui si parte spediti per le vie dell’innovazione, anche tecnica, a cui verrà dedicato non a caso un nuovo laboratorio.

Menu tra orto e sperimentazioni

Questa molteplicità di echi, di stimoli e di narrazioni si esprime in tre menu. Ricomincio da tre è la quintessenza sodaniana: un suo classico (porro tra fumo e cenere), una novità (risone allo stoccafisso di storione) e un omaggio alle sue radici (il dessert Passeggiata a Napoli). Contaminazioni spazia con brio disinvolto tra ricordi asiatici, sperimentazioni tecniche e materie prime nazionali e locali (tra gli altri, cannolo di polpo e linguina all’estratto di finocchio e seppia). Vegetale applica innovazioni tecniche ai prodotti dell’orto (bistecca di cardoncello) e osa avvicinamenti off (eliche con estratto di zucca, miso di pan brioche e burro nocciola all’alloro).

La cena diventa una passeggiata essa stessa, richiamando l’attività di foraging e l’orticoltura da cui provengono le erbe nel piatto, ma anche l’apicoltura e l’allevamento di animali da cortile. Nonostante la parvenza sperimentale nelle descrizioni, le sottolineature nell’utilizzo di semi, fermentazioni e frollature, i piatti generano un’esperienza confortevole e stimolano la curiosità sensoriale. Gli accostamenti sono intriganti, così come il pairing con vini e birra. I dessert muovono ricordi d’infanzia e intime provocazioni.

Il nuovo menu annuncia una nuova identità senza obliterare la “storia” e la pluralità dei percorsi che, peraltro, hanno portato alla meritata stella Michelin nel 2022, confermata nel 2023. E in buona sostanza richiama il motto che campeggia sotto il marchio Famiglia Rana: “Gourmet experiences”.

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Leggi anche: Il ristorante della famiglia Rana ha un nuovo chef. Spoiler: è sempre campano

Foto di copertina: la sala di Ristorante Famiglia Rana (ph. Beatrice Pilotto)

 

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