Ricongelare il cibo significa sottoporlo a un doppio ciclo di congelamento e scongelamento. Un gesto che può sembrare innocuo — magari per evitare sprechi o conservare avanzi — ma che comporta conseguenze importanti sia dal punto di vista igienico-sanitario sia da quello nutrizionale. Non è solo una raccomandazione: la scienza alimentare spiega chiaramente perché, salvo eccezioni precise, non si dovrebbe mai ricongelare un alimento già scongelato.
Batteri, proliferazione e rischi per la salute
Il primo motivo riguarda la sicurezza microbiologica. Il congelamento non sterilizza gli alimenti, ma ne rallenta soltanto i processi biologici. Le basse temperature (intorno a –18 °C nei congelatori domestici) portano molti microrganismi a una condizione di quiescenza, cioè uno stato di vita “sospesa”, ma non ne causano la morte. Batteri come Listeria monocytogenes, Salmonella o Escherichia coli possono sopravvivere al freddo e riattivarsi non appena la temperatura torna favorevole.
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Durante lo scongelamento, infatti, i batteri ricominciano a moltiplicarsi rapidamente, soprattutto se il cibo viene lasciato a temperatura ambiente o non refrigerato correttamente. Se in quel momento l’alimento non viene consumato o cotto, e viene invece ricongelato, il nuovo ciclo di congelamento non elimina i microrganismi già proliferati: li “congela” nuovamente, ma in numero maggiore rispetto alla fase precedente.
Con ogni successivo scongelamento, il livello di contaminazione microbica cresce progressivamente. Alla fine, anche un trattamento termico può non essere sufficiente a rendere sicuro il prodotto. Il rischio principale è quello di intossicazioni alimentari, spesso causate da tossine batteriche termoresistenti, cioè non distrutte nemmeno dalla cottura.
Per questa ragione, l’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e il Ministero della Salute ribadiscono da anni la regola base: un alimento scongelato non deve mai essere ricongelato, a meno che non sia stato prima cotto completamente.
Cosa succede alla struttura e ai nutrienti degli alimenti
Il secondo motivo per cui la pratica è sconsigliata riguarda la qualità organolettica e nutrizionale dei cibi. Il processo di congelamento domestico, a differenza della surgelazione industriale, è più lento e meno uniforme. Questo provoca la formazione di cristalli di ghiaccio di grandi dimensioni che lacerano la struttura cellulare degli alimenti.
Quando il prodotto viene scongelato, questi danni si traducono in perdite di liquidi (i cosiddetti “drip loss”) che trascinano con sé proteine, sali minerali e vitamine idrosolubili. Ricongelando lo stesso alimento, la struttura subisce ulteriori stress: la consistenza diventa più spugnosa, il sapore si altera e il valore nutrizionale si riduce drasticamente.
La carne, ad esempio, perde succosità e tende a risultare fibrosa; il pesce, più delicato, può assumere odori sgradevoli e texture farinose; le verdure, una volta cotte, appaiono molli e scolorite. Non si tratta solo di un peggioramento estetico, ma di un vero impoverimento alimentare: meno nutrienti, meno gusto e minore sicurezza.
Le eccezioni e le buone pratiche
L’unica eccezione ammessa dalle linee guida è quella in cui il cibo viene completamente cotto dopo lo scongelamento. In questo caso, la cottura elimina la carica microbica, permettendo — se necessario — un nuovo ciclo di congelamento. Ad esempio, se si scongela carne macinata per preparare un ragù e poi si cuoce, il sugo risultante può essere tranquillamente conservato in freezer.
È invece da evitare la ricongelazione di alimenti crudi o parzialmente cotti, come pesce, verdure o impasti lievitati. In questi casi, la proliferazione batterica e la perdita di struttura rendono il prodotto instabile e potenzialmente rischioso.
Per scongelare in modo sicuro, le autorità sanitarie raccomandano sempre di farlo in frigorifero, a una temperatura compresa tra 0 e 4 °C, evitando l’esposizione prolungata a temperatura ambiente. Anche l’uso del microonde può essere considerato sicuro, purché l’alimento venga poi immediatamente cotto.