Sostanza

Piatti tutt’altro che piatti

La cucina del futuro: non omologata, intima, libera e coraggiosa.

Amiamo e apprezziamo da sempre la cucina legata al territorio, alle tradizioni, alla nonna che la domenica si svegliava presto e riempiva la casa di profumi. Ma se invece non ci definissimo più in base alla memoria? Se l’appartenenza non fosse solo legata al paese d’origine? E se addirittura trascurassimo il concetto di appartenenza? Abbiamo accettato da anni che la materia prima arrivi da lontano, ma riusciamo ad accettare che viaggino anche le idee? E se nel movimento si trasformano, si contaminano e diventano uniche, proprie di uno chef e utili alla storia che vuole raccontare? Un mix di tecniche, sapori, culture e avventure: possiamo chiamarla ancora fusion o ci troviamo davanti a qualcosa di nuovo? La cucina fusion non è più avanguardia, spesso viene chiamata in causa per giustificare la mancanza di autenticità, esperimenti abbozzati, ingredienti di dubbia provenienza. Ma questa cucina nuova cos’è?

Potremmo definirla personale, legata cioè a un percorso unico e intimo di uno chef curioso e audace. In Italia, abbiamo esempi importanti come Marco Ambrosino del ristorante Sustanza a Napoli che sperimenta tra profumi di Procida, aria danese e fantasia tutta sua. Perché le esperienze non sono solo quelle che facciamo viaggiando, ma anche il risultato di un movimento interno e quello di Marco è continuo, tanto che la lista delle sue iniziative è lunghissima. Nel 2019, ad esempio, ha fondato l’Associazione Collettivo Mediterraneo, che si propone di promuovere la multiculturalità, la biodiversità e le tradizioni gastronomiche. Perché lui cerca continuamente chiavi di lettura originali per valorizzare i prodotti del mediterraneo, tecniche che vengono da lontano o inventate di sana pianta, il suo è uno sguardo nuovo e coraggioso. Ormai famosa la sua pasta con acqua di pasta fermentata, dove scopriamo il cuoco nel suo intimo, la sua pazienza, la sua ricerca, la voglia di evitare a tutti i costi lo spreco, il coraggio di gestire gli imprevisti e di imparare a valorizzare le sorprese perché, come diceva il regista Ingmar Bergman “solo chi è molto preparato ha davvero la possibilità di improvvisare”. Ambrosino inizia il suo percorso creativo disegnando e questo lo aiuta a “digerire il pezzo di vita che vuole svelare, a chiarirlo, a semplificarlo e a trasmetterlo, perché raramente una ricetta nasce da un ingrediente ma piuttosto da una storia”. Come quella delle tabaccaie pugliesi che diventano La sciabica: ravioli di sarde, arachidi, salsa di orzo fermentato e tabacco, sgombro in salamoia, garum di verdure tostate, focaccia di alici sotto sale, fegati di pesce e scalogno, alici secche e affumicate. Ed è proprio questo che ci aspettiamo da un piatto libero; mangiando arriva un’aria, una memoria che non è ricordo cosciente.

A Milano, lo stellato Takeshi Iwai, ci sorprende da AALTO, il ristorante dell’imprenditore Claudio Liu già presente nella guida Michelin con il suo Iyo, il primo ristorante asiatico in Italia premiato con una stella. Takeshi rivela, attraverso il suo menu, “una cucina libera e creativa, che non ha bisogno di un riferimento geografico o stilistico per essere definita”. Uno dei piatti che chiariscono bene la linea gastronomica dello chef è lo Spaghetto cacio e pepe alla tsukemen con brodo di anguilla in saor; i soba tsukemen sono tipici di Tokyo, vengono serviti a parte e intinti successivamente in una ciotola di brodo. È un piatto che racconta i viaggi e le abilità di Iwai, la ricerca dell’equilibrio e dei gusti decisi, l’azzardo dei contrasti. Fondamentale per lo chef il divertimento, come quello che propone nel Risotto a mano e gelato ai ricci di mare: il risotto è alla parmigiana, con rafano fresco, e le foglie di shiso verde accolgono il gelato ai ricci e l’olio alla vaniglia. Lontano dai piatti scomposti finalmente in via d’estinzione, la proposta di Iwai è un gioco tra Italia e Giappone, consistenze e temperature diverse che richiedono la manualità di un bambino curioso.

Inaugurato nel 2022, il ristorante Yapa di Matteo Pancetti, racconta una cucina che nasce dai sapori mediterranei, dalle scoperte dello chef in Asia e dalla sua passione per il Sudamerica, linguaggi diversi che si incontrano. Pancetti ha saputo assorbire tecniche e ingredienti molto diversi tra loro per creare un percorso divertente e nuovo. In sala il bravo Alfonso Bonvini, ex direttore di sala da Serica, ormai esperto di contaminazioni come quelle che troviamo nel ramen di pollo e bergamotto o nel piatto Mammola e mole con guanciale iberico, mole di broccoli e topinambur, parmigiano e mentuccia. Quello che rende una cucina libera è proprio la capacità dello chef di trasferire il suo percorso personale, si tratta di un continuo work in progress; perché da un’esperienza non pretendiamo più completezza, ma slancio per quella successiva. Interessante e coerente con il progetto di Pancetti anche la carta dei cocktail creata da Matias Sarli del “drinks lab” 80-20ml, perfetta per accompagnare i piatti di Yapa.

Contrasti solo apparenti quelli di Matias Perdomo che abbiamo conosciuto da Contraste, irriverenti, provocatori, divertenti e semplici, perché, come ci confida lo chef «quando un piatto arriva semplice vuol dire che è ben riuscito; tutto il lavoro che c’è per ottenerlo spetta a me e se lo faccio bene il risultato è coerente, diretto, facile, immediato». Matias lascia già da bambino l’Uruguay a causa della dittatura, viaggia in Argentina, Brasile e Danimarca per arrivare in Italia ventenne. Chiacchierando con lui si ha l’impressione che le esperienze che hanno caratterizzato la sua vita sono state uno stimolo continuo all’adattamento, alla creatività come metodo perché, come sostiene «la creatività deve essere replicabile altrimenti si chiama fortuna, e quando diventa replicabile perde l’energia propria della fantasia; è un lavoro continuo». Il suo Spaghetto alle vongole ci aiuta a capire il suo approccio; un classico servito su una base in silicone. La forma è quella di un raviolo, l’emozione propria dello spaghetto alle vongole veraci, mangiato su una terrazza italiana, magari accompagnato da un buon vino bianco. Ecco che Matias ci regala un momento di leggerezza, immediato e semplice, come tutte le cose preziose. Dopo due mesi il suo Contraste riapre con una location trasformata e un nuovo menu che viaggia in parallelo al menu “Riflesso” che già conosciamo; lo chef è emozionato quando ci confessa che per lui è un nuovo inizio, un nuovo ristorante insieme coerente e inevitabilmente rischioso, nuova energia.

Sostenibilità, immaginazione e rispetto sembrano essere le parole chiave di questa nuova generazione di cuochi; racconti tanto intimi quanto universali quando condivisi, viaggi tra mondi lontani che arrivano a noi nella sintesi romantica di un boccone.

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