Gli Scogli dei Tre Fratelli sembrano parte di un set artificiale, tanto perfettamente costeggiano il perimetro dello specchio d’acqua dell’Hotel Capo La Gala, l’albergo che ospita il Maxi a Vico Equense. Storico ristorante fine dining della Penisola sorrentina, il Maxi da qualche anno è alla ricerca di una nuova strada dopo la dolorosa perdita della stella Michelin nel 2023. Per questo la proprietà ha affidato la guida a un giovane cuoco ischitano dal curriculum invidiabile: Emmanuel Scotti.
Dopo importanti esperienze tra Campania, Toscana e Spagna, Scotti ha ricevuto l’incarico difficile di riconquistare il macaron. Lo chef non nasconde il suo sogno: impressionare i critici per «rimettere la chiesa al centro del villaggio», citando Rudi Garcia ai tempi della Roma. Sa però che la chiave è il cliente: «Se fai star bene gli ospiti, tutti gli altri risultati verranno di conseguenza».
L’obiettivo sembra centrato: il Maxi è un rifugio per innamorati, un ristorante che nutre l’anima con una vista mozzafiato sospesa sull’acqua, dove quest’anima viene coccolata da un servizio impeccabile e da una cucina solida e tecnica, fondata su una materia prima d’eccellenza.
Il Maxi possiede la sospensione lirica di un’inquadratura di Sorrentino: il mare, il suono ovattato delle onde, i piatti che arrivano come quadri. La bellezza, qui, non è solo estetica: è uno stato dell’anima.
Come si mangia al Maxi
«Continuare a studiare e a cercare il nostro concetto di divertimento: i nomi dei piatti spesso inducono a un’idea che si presenta in maniera differente», come il Make Braciola Great Again, un bottone di pasta che contiene tutto il sapore della classica braciola napoletana e che mantiene intatte le attese. Ma andiamo con ordine: Scotti parla di divertimento ed effettivamente l’entrée è sfiziosa con un takoyaki (la classica polpetta di polpo giapponese) ripieno però di soffritto napoletano (a base di frattaglie, pomodoro e alloro) oppure il katsu sando (panino giapponese tradizionalmente farcito con una cotoletta) ripieno di coniglio all’ischitana stracotto e accompagnato da un topping di gambero crudo a stemperare il sapore speziato ed erbaceo della carne. Abbiamo però parlato di accortezza sulla materia prima: Scotti alcuni piatti li tocca appena per esaltare al meglio la qualità degli ingredienti.

Lo chef dice che questa cosa l’ha imparata a casa sua, da Pasquale Palamaro, una stella Michelin a Ischia con Indaco, e da Gaetano Trovato, due stelle Michelin in provincia di Siena, con il leggendario Arnolfo (che Scotti definisce «il mio maestro più grande, quello con cui sono stato più tempo»). Rispetto per la materia prima che sembra scontato, un concetto ripetitivo che diventa pregnante nella cucina di Scotti: «Io faccio un menu mediterraneo e quindi mi baso sulla valorizzazione del territorio, facendo leva sulle piccole aziende che circondano il Capo La Gala. Una filiera di qualità intorno a noi che si esprime con la tecnica perché per me è la base. Bisogna sapere come toccare la carne o come valorizzare al massimo un pesce».
La tecnica la si vede soprattutto con il risotto, che richiama un piatto della sua mamma: «Quando tornavo a casa dai viaggi, mamma mi faceva sempre le fettine di carne alla pizzaiola» che lui ricrea grazie al chorizo iberico, un ingrediente «che ho imparato ad amare al Lasarte di Barcellona», il tre stelle Michelin guidato dall’italiano Paolo Casagrande con cui ha lavorato per 18 mesi. L’effetto è sorprendentemente realistico e se chiudete gli occhi dopo aver assaggiato un cucchiaio di riso (mantecato con burro e nero di seppia) vi sembrerà davvero di mangiare questo tipico piatto casalingo. Discorso simile anche per l’astice, cotta alla perfezione tra l’altro, ma che diventa quasi un contorno tra la mozzarella e il pomodoro per una caprese un po’ chic che però fa un certo effetto: golosa e piacevole.

La differenza la fa il lavoro di squadra
Tutto ciò viene vissuto in un’atmosfera da sogno: il ristorante è sul mare, si scende a piedi o con l’ascensore fino alla riva. Lo sciabordio delle onde, la vista spettacolare, accompagnano la cena e il servizio è impeccabile, guidato da Giulia Tavolaro. Tutto lo staff merita la menzione perché Scotti ci ha detto di «applicare un metodo che ho imparato da Trovato e che ho fatto mio: la brigata partecipa attivamente alla creazione del menu, con piatti che possono portare la mia firma ma che sono loro» a partire da Carlo Carandente Coscia (ex Sud), il suo sous chef, e da Carlo Gabbiano, il pasticciere del Maxi, che propone dolci dalla grande estetica, che giocano molto con i ricordi sia suoi sia di Scotti. Il resto della brigata è composto da Valerio Montuori, Salvatore Scotto Di Vetta, Ciro Volpe, e Michele Langella per la parte salata, con Sabrina Bianchi e Marco Conte che aiutano Gabbiano in pasticceria.
l menu firmato Scotti è pirandelliano: sei cuochi in cerca di un autore, o forse sei autori in cerca di piatti. Ognuno porta qualcosa di sé, e il risultato è corale, vivo, autentico. Una brigata affiatata che si può osservare all’opera, perché la cucina, sebbene non sia completamente a vista – soprattutto d’estate, quando si cena all’aperto – è dotata di vari “acquari” da cui sbirciare. Noi lo abbiamo fatto, scorgendo sorrisi, assaggi e un forte spirito di cameratismo positivo, quel clima di squadra che merita di essere raccontato per controbilanciare la narrazione tossica spesso associata al mondo del fine dining.
Emmanuel Scotti somiglia un po’ a Carmy di The Bear: arriva in un ambiente complicato, porta con sé esperienze internazionali e talento, ma sa bene che da solo non basta. Il ristorante si costruisce con la brigata, tra errori, risate e complicità, e lui sta facendo proprio questo.