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The House of Suntory

Se beviamo whisky giapponese è grazie a questa distilleria che ha compiuto 100 anni

Ripercorriamo il centenario di House of Suntory, tra pregiate botti di Mizunara, highball, limited edition e la prima etichetta non scozzese premiata come miglior Single Malt.

Le tendenze del bere miscelato sono in continua evoluzione e una buona occasione per farsi un’idea di tutte le novità del settore può essere frequentare la nuova e imminente edizione del Roma Bar Show. In generale, è innegabile che il Giappone abbia conquistato il cuore e i palati di molti appassionati, in particolare con il suo whisky, prodotto cresciuto fino a diventare una categoria a sé (tra l’altro si avvicina la giornata mondiale dedicata a questo distillato: cade il 18 maggio e invita tutti a mandarne giù un bicchierino). Eppure un secolo fa questa tipologia neanche esisteva per i giapponesi. A raccogliere per la prima volta la sfida di produrre whisky nel Sol Levante è stato Shinjiro Torii che nel 1923 fondò House of Suntory, diventando il primo produttore di whisky nel suo Paese

Insieme a Marco Gheza, sommelier e attuale brand ambassador italiano di Suntory, abbiamo ripercorso le tappe principali di questo primo centenario, tracciando un ideale viaggio diviso in quattro epoche. I primi venticinque anni di storia sono stati, appunto, segnati dall’avvio della distilleria, Yamazaki, non lontana da Kyoto: «Quella data non indica solo la nascita del nostro brand perché insieme a noi è nato il whisky giapponese», esordisce Gheza. Per ricordare questo momento, nel bicchiere ci serve un Yamazaki 12, «è quello che ha ricevuto più riconoscimenti, è stato il primo whisky non scozzese a essere premiato come miglior Single Malt del mondo (nel 2014, nda)». Si tratta di un marriage di diverse botti che vengono dall’America con i bourbon, da Château Lagrange in Francia, ci sono quelle spagnole di Sherry e Montilla e quelle di rovere giapponese, Mizunara, tra i legni più “saporiti” al mondo. Per il suo speciale anniversario a tre cifre, Suntory ha lanciato una limited edition anche per il mercato italiano: Yamazaki 18. «Per 18 si intendono gli anni del liquido più giovane contenuto all’interno: considerate che invece l’età media in questo caso è 36 anni spiega il brand ambassador Negli anni 40 siamo stati i primi a usare in Giappone questo legno bianco autoctono, difficile da lavorare ma molto pregiato. Perché lo abbiamo scoperto? Per necessità. All’epoca c’era la Seconda Guerra Mondiale ed era molto difficile importare botti da altre nazioni. Così, sono nati i primi esperimenti di invecchiamento che non sono stati un granché convincenti. Dalla nostra avevamo però il tempo: all’epoca Suntory era già una realtà con una sua storia e questo ha permesso persino di dimenticare queste botti di Mizunara in cantina. Assaggiando il loro contenuto dopo quasi vent’anni abbiamo compreso tutto il potenziale di questo legno». Ecco spiegato anche l’elevato costo (esce a circa 2.500 euro a scaffale): finite queste bottiglie non sarà più in commercio. 

Lasciata alle spalle la Seconda Guerra Mondiale, il fondatore Shinjiro Torii ha capito che qualcosa a livello mondiale stava cambiando e ha avuto l’intuizione di tappezzare il Giappone di Torii’s bar (oggi non esistono più) sull’onda degli highball, ovvero bevande alcoliche, per lo più whisky, appunto, diluite con abbondante acqua gassata o selz e ghiaccio. Un qualcosa di molto simile accadeva già in Giappone, dove c’è sempre stato un modo specifico di bere i distillati, allungandoli con ghiaccio e acqua naturale. Questo modo di bere si chiama Mizuwari. «Dagli anni 50 in poi, a Oriente arriva tutto l’influsso della cultura americana, quindi musica rock, giochi da tavolo e soprattutto la soda – racconta Gheza –. Torii capisce le potenzialità della bevanda americana e sostituisce l’acqua naturale con la soda introducendo la bevuta highball che, per gli americani, era banalmente whisky & soda». Oggi l’highball è la bevanda più consumata in Giappone, dall’izakaya al cocktail bar del cinque stelle lusso «e se per sfiga in qualche posto non hanno il whisky, basta girare l’angolo e si trova già pronto in lattina alle macchinette», scherza Gheza. A riprendere il concetto di whisky & soda è Toki, la versione di whisky più moderna di House of Suntory: è un omaggio al tempo che si impiega per fare un whisky. «È un blend delle nostre tre distillerie, quindi Yamazaki, Chita (1972) e Hakushu (1973). Il suo sorso è vibrante ed è un distillato nato per essere gustato in purezza, meglio ancora se con ghiaccio e soda, però».

Una volta arrivati agli 70 si assiste al primo vero passaggio generazionale nella famiglia di House of Suntory: da Shinjiro Torii al figlio Keizo Saji (lui era il secondogenito e nella cultura giapponese il secondogenito eredita il cognome della madre). Con un profondo rispetto per tutto ciò che aveva creato il padre fino a quel momento, Saji cerca di portare la qualità del loro whisky ai massimi livelli, e fonda la terza e ultima distilleria del gruppo: Hakushu (la seconda è stata Chita). «Siamo alle pendici del monte Kaikoma, incastonati al centro di una foresta dove c’è un grosso monolite in granito in grado di microfiltrare l’acqua. Tutt’attorno ci sono tantissime specie botaniche diverse. Qui il whisky ha veramente modo di maturare a contatto con la natura», racconta. Keizo Saji lancia poi un’operazione geniale per i tempi: permettere alle persone di andare nel proprio locale preferito, comprare una bottiglia di whisky e lasciarla in custodia nei cabinet per tornare quando si voleva bere. In questo racconto si inserisce l’Hakushu 18: 100% peated malt. Inaspettatamente torbato con un bouquet che trova il giusto equilibrio tra la parte più fumosa e quella più dolce del miele millefiori.

L’ultima tappa di questi cento anni si può ricondurre tra la fine degli anni 80 e inizi dei 90, quando Suntory inizia a diventare una realtà interessante a livello globale e si parla di Single Malt: «Nel 1989 nasce Ibiki che fece da spartiacque nel mondo dei whisky giapponesi, rendendolo famoso in tutto il mondo, complice anche il film Lost in Translation” (in una scena Bill Murray lo pubblicizzava e chiunque da quel momento fosse venuto in Giappone dopo aver visto la proiezione desiderava trovare quella bottiglia, nda). La traduzione di Ibiki vuol dire “armonia” ed è la rappresentazione più autentica della filosofia del bere giapponese, ovvero creare distillati che siano raffinati e al tempo stesso complessi. Quindi ci avvaliamo dell’arte del blending, creando diversità all’interno delle nostre distillerie». In un Ibiki si percepiscono più di 150 sfumature diverse di whisky create dalle tre distillerie di Suntory e la bottiglia stessa rappresenta il concetto di equilibrio con le 24 facce del disegno che esprimono le 24 ore di un giorno e le 24 stagioni dell’anno in Giappone, senza considerare l’uso della pregiata carta Echizen Washi realizzata da Eriko Horiki e la calligrafia di Tansetsu Ogino. L’ultimo dettaglio da notare è sul collo della bottiglia dove c’è un kanji di colore viola che nella cultura nipponica è associato alla nobiltà. «Il gesto più nobile che si possa fare adesso è versare il whisky e goderne insieme. Perché è questa per i giapponesi l’ospitalità: se in un qualsiasi bar dovesse mancare l’omotenashi, alias l’arte dell’accoglienza in Giappone, il locale sarebbe semplicemente un contenitore di bottiglie. Allora brindiamo: Ichi, ni, San-tory. È il kanpai dell’azienda, significa “uno, due, tre Santori”», conclude Marco Gheza.

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