Ogni anno in autunno gli Stati Uniti si tingono del colore della zucca. Dai social network ai menu delle caffetterie, il pumpkin spice segna l’inizio di una stagione. Frutto di una lunga storia di scambi commerciali, consuetudini domestiche e marketing stagionale, il mix di cannella, noce moscata, zenzero e chiodi di garofano è diventato un’icona globale, capace di trasformare un semplice aroma in un linguaggio culturale e in un’industria multimilionaria.
Dalle spezierie medievali alle cucine coloniali
Le origini del pumpkin spice risalgono a tempi molto lontani da Starbucks. Le spezie che ne compongono la base provengono dall’Asia meridionale e dalle isole Molucche, terre che per secoli hanno alimentato le rotte del commercio europeo. Già nel Medioevo si utilizzavano miscele dolci di spezie — come la poudre douce francese — per insaporire piatti e dolci, antenate dei moderni mix aromatici.
Il legame con la zucca nasce invece nel New England del XVII secolo. I coloni europei impararono presto a coltivarla e a usarla in cucina. Nel 1796, American Cookery di Amelia Simmons — il primo libro di cucina statunitense — pubblicava ricette per pumpkin pies, crostate di zucca aromatizzate con zenzero, noce moscata e pimento. Da allora, la zucca speziata è diventata simbolo dell’autunno e delle festività americane, dal Giorno del Ringraziamento a Halloween.
Quando il gusto diventa prodotto
Nel 1934 la McCormick & Company, una delle più grandi aziende di spezie al mondo, introduce sul mercato la Pumpkin Pie Spice, una miscela pronta che unisce cannella, zenzero, noce moscata e chiodi di garofano. L’intento era facilitare la preparazione della tradizionale torta di zucca, ma il risultato fu la standardizzazione di un gusto riconoscibile e replicabile, destinato a diventare un prodotto stagionale.

Oggi, secondo la stessa McCormick, l’autunno rappresenta circa l’80% delle vendite annuali della miscela. Negli Stati Uniti il pumpkin spice è la quarta spezia più venduta durante il periodo settembre-novembre. Tuttavia, il vero salto culturale arriverà solo decenni dopo.
Nel 2003 cambia tutto: Starbucks lancia il Pumpkin Spice Latte e, con esso, un fenomeno culturale. L’idea nasce da una sperimentazione interna: versare espresso su una fetta di pumpkin pie per testare la compatibilità dei sapori. La versione finale del PSL (acronimo di Pumpkin Spice Latte) prevedeva latte caldo, caffè, panna montata e uno sciroppo speziato che, inizialmente, non conteneva nemmeno la zucca. Dal 2015, dopo la richiesta dei consumatori, Starbucks ha introdotto piccole quantità di purea di zucca, rendendo la bevanda coerente con il suo nome. Il Pumpkin Spice Latte è diventato subito un simbolo autunnale, trasformandosi in un rituale collettivo e in un potente strumento di marketing stagionale.
Il successo del pumpkin spice non si ferma alle caffetterie. Negli anni successivi il gusto ha invaso ogni categoria di prodotto, dai cereali ai biscotti, dalle candele ai profumi d’ambiente, fino agli snack per animali domestici. Il ritorno annuale di questi articoli è oggi un appuntamento atteso: la cosiddetta pumpkin spice season segna il passaggio dall’estate all’autunno, evocando sensazioni di comfort e nostalgia.
Nel 2022 il termine pumpkin spice è stato inserito nel dizionario Merriam-Webster, confermando il suo status di espressione culturale americana. Non si tratta più solo di un aroma, ma di un segnale sociale che annuncia l’inizio delle feste, un rituale tanto diffuso quanto il cambio dell’ora o la rotazione del guardaroba.
Perché il Pumpkin Spice Latte è diventato una vera ossessione collettiva
Ogni anno, con l’arrivo dell’autunno, il ritorno del Pumpkin Spice Latte di Starbucks segna quasi ufficialmente l’inizio della stagione. Foglie dorate, maglioni morbidi, profumo di cannella nell’aria: un’estetica riconoscibile che si è trasformata in un rituale. Ma cosa rende davvero questa bevanda tanto iconica e desiderata?
L’idea alla base del Pumpkin Spice Latte non nasce solo dal gusto, ma dal contesto culturale che evoca. Sin dal suo lancio nel 2003, Starbucks ha saputo legare il prodotto a un’emozione stagionale precisa, rendendo il PSL un simbolo di appartenenza. È il sapore che accompagna il cambio di stagione, un modo per “bere l’autunno”, più che un semplice caffè speziato.

Eppure, non tutti ne condividono l’entusiasmo. C’è chi preferisce alternative come il chai alla crema di zucca o il Pumpkin Spice Cold Brew, bevande che mantengono lo spirito autunnale con una complessità aromatica diversa. La domanda resta: perché il PSL continua a detenere il primato tra le bevande stagionali?
La risposta, in parte, è nel marketing. Starbucks ha costruito un’attesa rituale intorno alla sua disponibilità limitata: il Pumpkin Spice Latte si può ordinare solo per pochi mesi all’anno, e la sua temporaneità alimenta il desiderio. L’effetto nostalgia fa il resto. Ogni sorso rimanda a immagini familiari — foglie che cadono, camini accesi, giornate più brevi — e trasforma l’esperienza del consumo in un gesto collettivo, amplificato dai social network.
Nel tempo, TikTok e Instagram hanno contribuito a rafforzare questa percezione, rendendo il PSL non solo una bevanda, ma un fenomeno estetico e sociale. Migliaia di utenti condividono ogni anno la prima foto della stagione con il bicchiere arancione in mano, trasformando un caffè speziato in un simbolo di identità culturale.
Oggi il Pumpkin Spice Latte è un linguaggio condiviso, una forma di appartenenza. Tuttavia, l’invito è ad ampliare lo sguardo. L’autunno offre infinite interpretazioni, anche nelle tazze dei piccoli bar e delle torrefazioni indipendenti. Scoprire un nuovo sapore, sostenendo la comunità locale, può essere un modo autentico per riscoprire il piacere del caffè stagionale — senza necessariamente seguire la corrente globale del PSL.