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Nicole Hesslink

Una sommelier nippo-americana diffonde in Italia la cultura del bere giapponese

Nata negli Stati Uniti ma cresciuta a Yokohama, Nicole Hesslink dal 2015 vive nelle Marche e da qualche mese ha aperto una enoteca online esclusivamente con bevande del Sol Levante.

In Giappone non si usa firmare nei documenti ufficiali ma si appone un timbro. Quando Nicole Hesslink stava per aprire la sua enoteca online si è rivolta a Taigakudo, un negozio specializzato in stampi simili. È stato creato proprio in questo laboratorio il logo di Nippo Sakaya, insegna virtuale della giovane sommelier nata negli Stati Uniti e cresciuta a Yokohama (la seconda città più popolosa dopo Tokyo) che risiede in Italia dal 2015, precisamente ad Ancona. Qui ha studiato come sommelier, un percorso turbolento che l’ha vista protagonista di uno spiacevole episodio con l’iniziale associazione dove si iscrisse e che abbandonò a causa dell’obbligo di indossare la gonna in qualità di corsista donna, risolto con un cambio di scuola dove completò poi tutti e tre i livelli nel 2022. L’anno seguente divenne kikazakeshi: «È la qualifica originale con cui si chiamano i sake sommelier nel mio Paese», spiega Nicole. Sono circa una ventina le referenze della bevanda nazionale giapponese per eccellenza che lei stessa ha selezionato per il pubblico italiano, promossa attraverso i canali del suo sito il cui nome letteralmente significa “negozio di alcolici”. «In carta ci sono diversi tipi di sake tra sparkling, etichette più fresche e leggere, altre maggiormente fragranti che oggi vanno di gran moda, poi alcune corpose e una nicchia che ha fatto invecchiamento». 

La vera sfida di Nicole è, però, comunicare il vino giapponese di cui si sa ancora poco se paragoniamo la sua conoscenza a quella della tavola: «Da sempre avevo voglia di instaurare un ponte tra Giappone e Italia: se la cucina giapponese va tantissimo nello Stivale, al contrario manca un po’ di cultura sugli alcolici nipponici. Ad esempio, nessuno parla del vino che si produce in Giappone. Ecco, nello sviluppo di questo racconto io ho visto un’opportunità di business». Attualmente tratta solo una cantina, Katsunuma Winery, ma entro la fine dell’anno l’obiettivo è diventare importatrice diretta e dare visibilità a realtà enoiche di Nagano e Yamanashi: «La differenza macroscopica tra vino italiano e giapponese sta nel prezzo perché in Giappone i terreni agricoli sono un bene prezioso, ragione che spiega i costi molto alti delle bottiglie – racconta la sommelier –. Inoltre, piove tantissimo soprattutto da maggio a settembre: alcune cantine hanno persino messo a punto una sorta di ombrellini per riparare ogni grappolo. Un sistema molto costoso ed esclusivo. In merito alla tipologia di vitigni si spazia dagli autoctoni agli internazionali e c’è anche qualcuno che tratta quelli italiani italiani, tipo il nebbiolo in blend con il cabernet sauvignon. Sicuramente il bianco va per la maggiore, su tutti il koshu, che alcune cantine tedesche hanno persino cominciato a impiantare da loro». I fan del mondo naturale rimarranno un po’ delusi perché non c’è un vero e proprio mercato a tema: «La ragione è sempre la stessa: il clima. Tranne che a Hokkaido, all’estremo nord del Paese, dove le condizioni ambientali sono più favorevoli, in generale l’intervento dell’uomo è fondamentale per la riuscita di un buon vino».

Sugli scaffali immaginari di Nippo Sakaya si trovano anche birre artigianali «in Giappone va tantissimo la Lager come stile» e bibite analcoliche, tipo la ramune, alias la nostra gassosa, e l’amazake, un sake dolce e analcolico. Niente distillati e spirits al momento ma a completare la ricca vetrina è la carrellata di accessori tra set di bicchieri in porcellana, servizi da sake come l’ochoko ispirato al Monte Fuji o quello decorato con i fiori di prugna, fino a delle stilose stoffe chiamate furoshiky, realizzate in rayon 100% e con diversi motivi, come il mondo dei gatti oppure la xilografia del disegnatore giapponese Kitagawa Utamaro che rappresenta le “Tre bellezze del nostro tempo”, tradizionalmente usate per avvolgere e trasportare alcuni beni in Giappone. «Il mio obiettivo finale? Aprire un wine bar tutto mio».

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