Cerca
Close this search box.
Satricvm ph. Andrea Di Lorenzo

Viaggio nella giovane cucina dell’Agro Pontino

Un piccolo itinerario attraverso colline, palude e litorale, dove tra tavole gourmet e trattorie contemporanee la tradizione gastronomica è tutta da inventare.

Per iniziare a conoscere un territorio — e per farlo a tavola, dove è possibile, con un po’ di curiosità, leggerne il passato, il presente e intravederne magari il futuro — è interessante chiedersi che faccia abbia la sua tradizione gastronomica e in che modo continui a essere maneggiata dai suoi cuochi. La questione si fa particolarmente intrigante quando la domanda riguarda una regione che, fino a non molto tempo fa, semplicemente non esisteva. O almeno non come la conosciamo oggi, risultato di secoli di incontri e scontri tra una terra e un mare poco domesticabili. Ad assistere, gli uomini che l’hanno abitata e il loro tentativo di strappare alla palude ettari di terreno; alle volte riuscendoci, molto spesso fallendo, ma solo per ricominciare tutto da capo. Siamo nell’Agro Pontino, quella fetta di Lazio in cui si allarga una pianura affacciata sul Tirreno e circoscritta dai monti Lepini e Ausoni, a nord dal fiume Astura e dai Colli Albani che la separano dai Castelli Romani. La costa si sfrangia in una fascia di laghi costieri che aggiungono la dimensione salmastra a una varietà di ecosistemi già assortita tra mare, collina, bosco, pianura e, in alcune porzioni, ancora palude. «Prima di aprire Satricvm a Borgo Le Ferriere nel 2010 abbiamo ragionato molto su cosa significasse fare cucina in un luogo come questo — spiega Max Cotilli, chef e patron insieme alla moglie Sonia Tomaselli di uno dei ristoranti che hanno iniziato a tracciare il nuovo corso della gastronomia locale —. Ci siamo resi conto di avere a disposizione una varietà incredibile di materie prime senza tradizioni troppo definite alle spalle a incasellarci». Il paniere locale abbonda infatti di prodotti ortofrutticoli con punte di diamante come il carciofo di Sezze o il gettonatissimo kiwi di Latina Igp; sul versante lattiero-caseario prevale il latte di bufala (allevata qui sin dall’antichità per la sua adattabilità agli ambienti acquitrinosi), mentre alla norcineria ci pensano nel borgo medievale di Bassiano, col prosciutto crudo dall’aroma speziato portato, si dice, da qualche salumiere modenese, che Cotilli serve “alla vecchia maniera”, ovvero arrotolato sui grissini, e accanto alle lumache col loro fondo a base di mentuccia e dragoncello come amuse bouche. Prima dei coloni veneti ed emiliano-romagnoli che arrivarono nel Ventennio — con il loro repertorio di sfoglie all’uovo, polenta, minestre e ragù —, però, questo panorama che si misura con le food valleys più celebrate non esisteva che in potenza. Non che nell’Ager non si cucinasse, tutt’altro, ma a farlo erano manciate di pescatori e abitanti stagionali che se la vedevano con quello che la palude concedeva: selvaggina e piccolo pescato dalle acque salmastre, come anche ranocchie e appunto lumache, insieme ai formaggi della vicina Ciociaria. «Abbiamo viaggiato in zone d’Italia simili ma dal repertorio gastronomico più consolidato per capire cosa significa fare una “cucina di palude”, poi abbiamo messo insieme quegli spunti con le nostre esperienze personali», continua Cotilli. Se nei due menu degustazione “acquatici” dedicati a Marea e Palude — come anche in quello disegnato per il periodo festivo appena concluso, dal quale arriva la Minestrina in bianco a base di crostacei locali di cui condividiamo la ricetta —, i tortellini incontrano il Lapsang Souchong (una varietà di tè nero cinese), il broccolo romano la zuppa fredda andalusa Ajo Blanco, il tonno locale la salsa tiradito peruviana e il piccione è cotto al tandoori, il merito va alla formazione cosmopolita dello chef nato a Nettuno, che dalle cucine del maestro Marchesi è arrivato a condurre quelle dell’Hotel Kempinski di Bombay, passando per il Waterside Inn di Michel Roux e infine tornare dove un tempo fioriva proprio la città latina chiamata Satricvm.

[ngg src=”galleries” ids=”85″ display=”basic_thumbnail”]Nelle sue, di cucine, ha invece lavorato tre anni Fabio Verrelli d’Amico — cuoco 38enne che nel 2015 ha inaugurato a Pontinia Materiaprima, una stella Michelin dal 2021 — che lì ha assorbito un po’ delle tecniche e suggestioni indiane che continua a sviluppare in tavola. Nel Curry di triglia, ad esempio, il latte della spremitura delle mozzarelle sostituisce quello di cocco, giocando con un vocabolario locale per ricordare i profumi orientali che la numerosissima comunità indiana, ormai di casa nell’Agro Pontino, ha fatto diventare consueti anche da queste parti. Una fusione gastronomica che prima ancora di guardare all’Oriente ha miscelato le tradizioni regionali di Veneto, Emilia e Marche con quelle del basso Lazio e della vicina Campania. Per metà marchigiana è la famiglia dello chef, cresciuto col coniglio in porchetta che è diventato un piatto forte anche di Materiaprima, insieme ai tagliolini che ricordano quelli semplici a base di acqua e farina serviti una volta col brodo di fagioli: un piatto umile che nel dopoguerra ha sfamato tanti e per il quale oggi lo chef impiega il lievito di recupero dalla lavorazione del pane. «Amo le ricette di questo tipo, quelle che raccontano il luogo. Parlano di Pontinia, una città giovanissima, e fanno capire la verità del suo passato, quando per decenni, sparite le paludi, si sono cucinati piatti poverissimi ma a loro modo geniali». Sul profilo salmastro dei laghi costieri Verrelli D’Amico ha invece costruito una portata a base di pecora e anguilla, forse quella che meglio sintetizza il lavoro portato avanti insieme ai piccoli produttori del circondario: «Questo pesce ha permesso alle persone di arricchirsi col suo mercato. Noi usiamo le anguille del Lago di Paola, che vivono nell’acqua salmastra e dunque sono molto saporite e allo stesso tempo meno grasse del solito. La carne di pecora la compriamo da un pastore che le alleva proprio sul lago, lasciandole pascolare sulle erbe spontanee. La prossimità tra le materie prime, che arrivano dallo stesso ecosistema, è autentica. Cuociamo l’anguilla alla griglia e lasciamo che il suo grasso condisca la carne lasciata cruda. Nel piatto c’è uno spaccato autentico dell’Agro Pontino».

[ngg src=”galleries” ids=”86″ display=”basic_thumbnail”]Lo stesso pastore rifornisce anche Buccia, la trattoria di Fabrizio Pagliaroni e Daniele Iodice che sulla litoranea che lambisce Sabaudia ha preferito dedicarsi risolutamente alla carne. «Lo abbiamo fatto perché su questo versante il territorio ha moltissimo da dare, per posizionarci con un po’ di strategia rispetto alla concorrenza ma soprattutto perché ci piace tanto», confessa chef Pagliaroni a proposito del progetto avviato nel 2018 dopo essersi fatto le ossa, nemmeno a dirlo, in un chioschetto vista mare. Nella bella cittadina razionalista sul litorale laziale in effetti languivano proposte di questo tipo, con bufalo e capretto acquistati in grandi pezzature e cucinati il più possibile “nose to tail”. Una fortuna per gli amanti del quinto quarto, che possono scegliere anche una degustazione completa per due (possibilità rara in zona, diversamente dalla non lontana Roma). Abbondanti anche gli ortaggi, con piatti vegetariani a fianco di proteine sempre presenti ma maneggiate con varietà, su un menu che cambia a ritmo più che stagionale e si incastra con una carta quotidiana. Quindi bufalo stracotto con crema di carote, cipolle in agrodolce e nocciole, che diventa ragù bianco per condire le fettuccine oppure animella fritta servita con erbe spontanee. Ma uno dei piatti più richiesti, dice Fabrizio, è la porchetta fatta in casa. Cos’ha di speciale questa lazialissima preparazione? È aromatizzata al curry (qui lavorano almeno 5 ragazzi della comunità indiana di cui sopra) e pepe di Timut dai sentori agrumati, insieme a mandorle e rosmarino, e viene usata anche per farcire un bao al vapore insieme a misticanza selvatica, salsa agrodolce e maionese allo zenzero. Dai nonni emiliani arriva invece la ricetta del cappelletto alla crema di Parmigiano, chiuso a mestiere, per comporre sulla carta il rispetto delle radici e la volontà di mixare il presente.

[ngg src=”galleries” ids=”87″ display=”basic_thumbnail”]E i cappelletti — un nuovo classico pontino? — ritornano anche da Essenza, altro locale stellato di Terracina, estrema propaggine sud di quest’area. Qui Simone Nardoni, chef classe ’87 che si è formato nei Paesi Baschi, li prepara alla maniera canonica, per servirli però con un tè caldo a base di funghi, oppure li farcisce con una genovese di totani di fondale che ricorda la tradizione della vicina Campania. «Un po’ inconsciamente, ho creato un piatto che fonde nord, centro e sud. La cultura gastronomica delle nostre zone, così “mescolate”, unisce vari frammenti che si possono elaborare con grande libertà. Ma non è mia intenzione guardare unicamente al territorio, lo vedrei come una gabbia, mentre preferisco portare un po’ delle mie esperienze internazionali». Nel suo ristorante ai piedi del tempio di Giove Anxur, infatti, il pesce è protagonista quanto la carne, con crostacei pregiati come il granchio — preparato in una zuppa a base, ancora una volta, di curry — o l’anguilla affumicata, interpretata alla maniera francese in una terrina con foie gras. Tra i dessert, quello che più esprime il paniere locale è la madeleine all’aneto, completata da una composta di kiwi e sedano bianco e sferzata dall’aroma balsamico del dragoncello. Impossibile da levare dal menu, se non nei mesi più caldi dell’anno.

[ngg src=”galleries” ids=”88″ display=”basic_thumbnail”]Una cinquantina di chilometri più a nord, incastonato tra il lago costiero di Fogliano e il mare, il Vistamare è il ristorante che chef Giovanni D’Ecclesiis conduce all’interno del Fogliano Hotel. Un’ottima mano per i vegetali — timbro delle sue origini pugliesi — che nell’Agro Pontino ha trovato un buon terreno sul quale intervenire. «Negli ultimi tempi abbiamo deciso di fare un lavoro ancora più rigoroso sulla selezione degli ingredienti locali, andando a scovare piccole nicchie che anche grazie al lavoro fatto con colleghi chef stanno diventando filiere strutturate. Penso ad esempio alle lenticchie di Ventotene, che ho usato per accompagnare un merluzzo servito con estratto di prosciutto di Bassiano oppure alle visciole di Sermoneta, lavorate però in un primo: dei fagotti farciti con stracotto di bufala. O ancora il pregiato zafferano di Cori, un’eccellenza ancora poco conosciuta». Ricorda la tiella di Gaeta l’antipasto con alici di Terracina ripiene di basilico, aneto capperi e pinoli tostati, con mozzarella in carrozza e scarola brasata, direttamente dagli orti di Fondi e Formia, un bacino ortofrutticolo prezioso che rifornisce le tavole di gran parte del centro Italia. Un tesoro nascosto che gli chef pontini stanno iniziando a svelare con passione.

[ngg src=”galleries” ids=”89″ display=”basic_thumbnail”]

Maggiori informazioni

Foto di copertina: Max Cotilli e Sonia Tomaselli di Satricvm (ph. Andrea Di Lorenzo)

Satricvm
Strada Nettunense, 1227 – Le Ferriere (LT)
blog.maxcotilli.com

Materiaprima
Via Sardegna, 8 – Pontinia (LT)
materiaprimapontinia.it

Buccia Trattoria
Via Litoranea Km 20,600 N.10668 – Sabaudia (LT)
bucciatrattoria.superbexperience.com

Essenza
Via Cavour, 38 – Terracina (LT)
essenza.co

Il Vistamare Restaurant
Piazzale G. Loffredo, 04100 Latina
ilfoglianohotel.it/ristorante-vistamare

Condividi

Facebook
Twitter
LinkedIn
Articoli
correlati