In Italia si accumulano quasi 40 milioni di ettolitri di vino invenduto. Con la vendemmia 2025 attesa in crescita, il settore vitivinicolo valuta come contenere la produzione e affrontare la domanda stagnante.
In Italia c’è troppo vino invenduto
Secondo l’ultimo rapporto “Cantina Italia” del ministero dell’Agricoltura, aggiornato al 31 luglio, nel nostro Paese si trovano in giacenza troppi ettolitri di vino. Un dato preoccupante anche perché il settore non mostra segnali di ripresa.
Il fenomeno non nasce oggi. Già nel 2023 il mercato aveva registrato una riduzione dei consumi interni, legata al rallentamento dell’economia, all’aumento del costo della vita e alla conseguente perdita di potere d’acquisto delle famiglie. A pesare sono state anche le tensioni geopolitiche: la chiusura del mercato russo in seguito alle sanzioni per l’invasione dell’Ucraina e, più di recente, i dazi introdotti dagli Stati Uniti hanno inciso negativamente sulle esportazioni. La contrazione riguarda soprattutto i vini rossi, mentre alcune categorie hanno mantenuto una buona tenuta di mercato.
Esponenti di primo piano del comparto hanno rilanciato l’idea di una riduzione strutturale della produzione. Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione Italiana Vini, ha sottolineato al Sole 24 Ore la necessità di contenere i volumi «di almeno il 20%», intervenendo sulle rese per ettaro. Ridurre la quantità di uva trasformata significherebbe da un lato alleggerire le giacenze, dall’altro favorire una maggiore concentrazione aromatica dei grappoli e dunque un miglioramento qualitativo. Una proposta che riguarderebbe soprattutto i vini da tavola e le etichette di fascia alta più penalizzate dall’attuale squilibrio tra offerta e domanda.
Già in passato Angelo Gaja, storico produttore di Barbaresco e Barolo, al Corriere della Sera aveva suggerito di mantenere la produzione nazionale in un intervallo compreso tra 35 e 42 milioni di ettolitri. Nel 2024 l’Italia aveva invece toccato quota 48 milioni di ettolitri, uno dei livelli più alti degli ultimi anni.
Accanto al tema della riduzione delle rese, l’Unione Italiana Vini propone anche di sospendere temporaneamente le autorizzazioni per nuovi impianti di vigneto e di incentivare processi di aggregazione tra imprese. In Francia, dove le aziende vitivinicole hanno dimensioni mediamente più ampie rispetto a quelle italiane, la gestione dei costi fissi risulta meno gravosa. Favorire fusioni e ampliamenti, anche attraverso strumenti di credito dedicati, potrebbe quindi contribuire a rendere più sostenibile la gestione di un settore che, pur restando tra i più importanti dell’economia agroalimentare nazionale, si trova oggi di fronte a una fase di riequilibrio necessaria.
Scenari futuri e impatto sui consumatori
Se la produzione continuerà a superare la domanda, i prezzi al dettaglio potrebbero rimanere stabili o subire leggere riduzioni, con vantaggi per i consumatori ma con ricadute difficili da quantificare per i piccoli produttori. Alcuni analisti ritengono che il mercato potrebbe polarizzarsi ulteriormente: da un lato i vini di largo consumo, venduti a prezzi contenuti, dall’altro le etichette di alta gamma, che potrebbero beneficiare di un rafforzamento della qualità dovuto al contenimento delle rese. Sono tutte ipotesi, però, e sembra che il comparto sia leggermente in confusione.
L’eventuale crescita delle birre artigianali (anche loro a rilento dopo il boom dello scorso decennio), ma soprattutto delle bevande a basso contenuto alcolico e dei consumi sobri da parte delle nuove generazioni rappresenta un ulteriore fattore da considerare. Per il settore vitivinicolo, la sfida non riguarda solo l’equilibrio tra produzione e domanda, ma anche la capacità di intercettare gusti e abitudini in evoluzione.