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Vitigni autoctoni e una filosofia di sottrazione per raffinati “vini di territorio”

A Manciano, nella Maremma grossetana, Antonio Camillo produce bottiglie contese dagli esperti di tutto il mondo

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Cominciamo da una domanda insolita: come hai iniziato?

Il mio lavoro da agricoltore comincia a 28 anni. Dopo una precedente esperienza, già con due figli a carico, sono andato a fare l’operaio agricolo a San Gimignano. Lì sono rimasto sette anni, imparando tutto quello che è necessario per fare il viticoltore: potature, zappature, lavori con il trattore e tutto il resto. Nel 1999 sono tornato a casa mia, in Maremma, e ho lavorato per due anni come responsabile di cantina alle Pupille. 

E poi è arrivata l’esperienza a Poggio Argentiera con Giampaolo Paglia, mi pare…

Esatto. A Poggio Argentiera sono approdato nel 2001 e ci ho trascorso ben 14 anni della mia vita lavorativa. Ho esordito come tuttofare (responsabile, trattorista e cantiniere) e così ho continuato fino al 2005: in quell’anno Gianpaolo mi ha chiesto di occuparmi in toto della produzione, mentre lui spostava la sua attenzione sul comparto commerciale.

E quando ti sei messo in proprio?

Nel 2006, girando per vigne a Manciano, il paese in cui vivo, mi sono imbattuto in una vigna di 2 ettari piantata nel 1968, coltivata interamente a ciliegiolo. Mi è nata l’idea di provare a fare vino per conto mio e così ho chiesto a Gianpaolo la disponibilità di vinificare nella sua cantina. L’anno dopo è nata una società tra me e Gianpaolo sui vini della parte alta della maremma. Si producevano i due Ciliegiolo che ci sono tutt’ora, il “base” e la vigna singola Vallerana Alta. Alla fine 2014 Poggio Argentiera ha attraversato una fase delicata. Mi sono trovato a dover scegliere se continuare la strada del produttore da solo o tornare a fare il dipendente. Ho deciso di creare l’azienda Antonio Camillo “vini di territorio”.

E oggi?

In questo momento ho 17 ettari di vigna in affitto, la grandissima parte nel comune di Manciano, con qualcosa a Pitigliano. Compro un 30% dell’uva che lavoro da fornitori consolidati negli anni. Mi concentro solo sulle uve autoctone. Mi piace fare vini in purezza perché si senta proprio il connubio tra il vitigno e la terra maremmana. Siamo una squadra di sette persone, cerchiamo di stare bene insieme e bene con le vigne. Tra queste persone mi fa piacere nominare Alessia che è il mio braccio destro e forse anche sinistro.

Come lavori?

Nel campo la filosofia è molto semplice, cercare di trattare bene le vigne senza stressarle troppo, in particolar modo nella fase vegetativa, limitando al minimo indispensabile le cimature e i diradamenti. Operazioni che secondo il mio punto di vista stressano molto la pianta, considerando il caldo che fa qui da noi in primavera e in estate. Il fatto di non fare vendemmie verdi consente di non lavorare sulla concentrazione, ma tentare piuttosto di “alleggerire” queste uve dagli zuccheri e dall’opulenza dei tannini che si sentono in non pochi vini maremmani. È necessario ritornare alle vecchie abitudini contadine secondo cui, giustamente, non si butta via nulla! A maturazione delle uve facciamo due o anche tre vendemmie per ogni vigna, destinando ogni scelta dell’uva alla tipologia di vino che merita (bottiglia, boccione da litro o bag in box da 5 litri).

E in vinificazione?

In cantina si ripete un po’ lo stesso schema della vigna: cerco di mantenere integro il frutto che portia- mo alla diraspatrice, quindi tutte le fermentazioni sono spontanee, i mosti non vedono solforosa (le prime aggiunte avvengono dopo la malolattica sui vini base, e dopo un anno sui vini superiori). Di solito travasiamo poco, in questo ci aiutano i contenitori in cemento che mantengono una costanza di temperatura e un piccolo scambio con l’ossigeno. I vini, insomma, devono rispecchiare nella maniera più trasparente e fedele il carattere della loro terra.