Il kakigōri è un tradizionale dessert giapponese a base di ghiaccio tritato finemente e insaporito con sciroppi di frutta, tè o ingredienti dolci tipici della cultura nipponica. Quindi sì, avete intuito bene: è, di fatto, una granita giapponese. Una soffice neve aromatizzata che, soprattutto durante la stagione estiva, conquista per la sua leggerezza e la varietà di gusti. A differenza della nostra granita, il kakigōri si distingue per la consistenza impalpabile del ghiaccio, che si scioglie immediatamente a contatto con il palato, regalando una sensazione di freschezza intensa e avvolgente.
La storia del kakigōri
Il kakigōri affonda le sue radici nell’epoca Heian (794–1185), un periodo storico in cui il consumo di ghiaccio era prerogativa esclusiva della corte imperiale giapponese. Il ghiaccio veniva raccolto durante l’inverno e conservato in speciali depositi naturali chiamati himuro, strutture semi-sotterranee coibentate con paglia e terra battuta, capaci di preservare i blocchi fino all’estate, identiche alle nostre neviere, le grotte che usavano i siciliani per conservare il ghiaccio nei secoli passati. I testi antichi, tra cui il celebre Makura no sōshi di Sei Shōnagon (databile intorno all’anno Mille), narrano di come il ghiaccio raschiato venisse servito ai nobili accompagnato da sciroppi di fiori o frutta, costituendo uno dei pochi refrigeri estivi riservati all’élite del tempo.
La democratizzazione del dessert avvenne soltanto nella seconda metà del XIX secolo, con l’introduzione dell’energia elettrica e delle prime macchine manuali per tritare il ghiaccio. Nascono così gli yatai, le tipiche bancarelle mobili giapponesi, che iniziarono a proporre il kakigōri durante i matsuri, i festival popolari estivi. La sua diffusione fu facilitata anche dall’aumento della produzione industriale di ghiaccio, rendendo il prodotto accessibile a una fascia più ampia della popolazione.
Oggi il kakigōri è considerato un’icona della cultura gastronomica giapponese, purtroppo ancora poco conosciuto in Italia perché soffre incredibilmente la “concorrenza” della granita nostrana. Nelle sue forme più classiche, viene ancora servito nei kissaten (storici caffè giapponesi) e negli stand di strada, ma è anche protagonista di dessert bar contemporanei e reinterpretazioni haute pâtisserie.
Come si prepara il kakigōri
La preparazione del kakigōri richiede pochi ingredienti ma molta cura. Si parte da cubetti di ghiaccio purissimo, possibilmente ottenuto da acqua microfiltrata per garantire una consistenza compatta e neutra al gusto. Il ghiaccio viene lavorato con apposite macchine manuali o elettriche, dotate di lame regolabili in grado di ottenere una neve finissima, simile al velluto.
Una volta raccolto in ciotole o bicchieri, il ghiaccio viene arricchito con frutta o con sciroppi aromatizzati: dal classico tè verde matcha ai frutti tropicali, passando per il latte condensato e la marmellata di fagioli rossi anko. Nelle versioni più elaborate compaiono ingredienti contemporanei come gelatine, mousse e polveri aromatizzate. La regola resta quella di versare le salse poco per volta, per non appesantire il ghiaccio e mantenerne intatta la leggerezza. Solitamente viene poi servito con una pallina di gelato sulla sommità o dal gusto neutro o aromatizzata anch’essa al gusto del frutto o dello sciroppo scelto.
Le varianti più celebri
Nel corso degli anni, il kakigōri ha conosciuto numerose varianti regionali e stagionali. Tra le più apprezzate in Giappone figurano il Ujikintoki, con tè verde matcha e anko, e il Shirokuma, tipico della città di Kagoshima, guarnito con latte condensato, frutta fresca e caramelle colorate.
Negli ultimi anni, il dessert è stato reinterpretato da chef e pastry chef, arricchito con ingredienti come coulis di frutti di bosco, panna montata aromatizzata o polvere di yuzu. Anche in Italia, soprattutto nei cocktail bar e nei ristoranti giapponesi più ricercati, il kakigōri sta diventando protagonista di dessert al piatto (a Firenze c’è un posto che dovete conoscere) e creazioni mixology frozen.
Differenze tra kakigōri e granita siciliana
Pur somigliando alla granita per l’uso di ghiaccio e sciroppi, il kakigōri si distingue per consistenza e tecnica di preparazione. La granita siciliana viene realizzata mescolando acqua, zucchero e aromi direttamente in fase di congelamento, poi lavorata a spatola per ottenere una massa più compatta e granulosa.
Il kakigōri, invece, nasce da ghiaccio puro, tritato al momento e successivamente aromatizzato. Questo garantisce una struttura più leggera e soffice, che non conserva la stessa persistenza della granita ma offre un’esperienza sensoriale più eterea. Inoltre, mentre la granita mantiene una precisa identità territoriale e gustativa – limone, mandorla, caffè su tutte – il kakigōri si presta a una sperimentazione più eclettica, sia nelle varianti tradizionali sia nelle reinterpretazioni contemporanee.