l'arrotino di Firenze

L’arrotino, un mestiere che resiste

Siamo entrati nel laboratorio di Leonardo Donnini a Firenze, dove ogni lama racconta una storia di tecnica, pazienza e dedizione. «In un mondo dove si butta tutto, io riparo».

In un mondo che corre veloce e consuma tutto in fretta, esistono ancora mestieri silenziosi che resistono. Sono lavori che richiedono pazienza, cura, e una manualità che non si può insegnare in una guida. Uno di questi è quello dell’arrotino. Abbiamo incontrato Leonardo Donnini a Firenze che affila lame da oltre trent’anni e ci ha raccontato la sua storia, tra passione, tecnica e tanto, tanta disciplina.

Un mestiere di famiglia

Uno dei momenti di lavorazione della lama nel laboratorio dell’arrotino Leonardo Donnini

«Ho iniziato nel 1991, quando avevo circa 18 anni. Mio padre lo faceva dal 1958: cominciò come garzone, spazzando e mettendo in ordine il laboratorio. Poi, pian piano, ho imparato tutto. A casa nostra il mestiere era vivo, tangibile. E a me è sempre piaciuto sporcarmi le mani». Leonardo ha imparato sin da giovane che affilare non significa solo “far tornare a tagliare” una lama. Dietro c’è un mondo fatto di sensibilità, ascolto, tecnica e rispetto per lo strumento.

«Per fare questo lavoro lo devi sentire dentro. Non basta essere precisi, devi avere una predisposizione. Una forma mentale. E purtroppo oggi vedo sempre meno giovani con questa attitudine. Non è una critica, è un dato di fatto».

Artigiano al servizio degli artigiani

Il lavoro dell’arrotino non si limita al coltello da cucina. Leonardo si occupa del taglio a 360 gradi: forbici da parrucchiere, lame da falegnameria, bisturi, cesoie, scalpelli, forbici da sarto. Ogni oggetto ha la sua anima, e soprattutto, la sua funzione.

«Dico sempre che siamo artigiani al servizio degli artigiani. Da me passano chef, falegnami, parrucchieri, intagliatori, chirurghi. E a volte mi portano strumenti che nemmeno conosco. Allora osservo, mi faccio raccontare come lo usano. Devo immedesimarmi nella mano che lo impugnerà». L’affilatura, ci spiega, è un lavoro quasi sartoriale. «Due chef possono avere lo stesso coltello, stesso acciaio, stessa marca. Ma io li affilerò in modo diverso, perché uno taglia la carne, l’altro lavora solo pesce. E poi c’è il gesto, la postura, la velocità. Ogni lama va calibrata su chi la usa».

Tempo e dedizione

Leonardo ha iniziato giovanissimo. Dopo una pausa obbligata per il servizio militare, ha ripreso senza più fermarsi. Oggi, gli arrotini professionisti in Italia sono pochissimi. «Ce ne saranno 200, ma quelli che lavorano davvero con rigore, forse sono una manciata. Nella nostra associazione abbiamo fatto un sondaggio: quanto tempo serve per diventare davvero bravi? La risposta più frequente è stata: dieci anni. Dieci anni con maestri giusti, tanta voglia di imparare e un po’ di talento naturale».

Purtroppo, non esistono scuole. L’apprendistato è ancora l’unica via. E la figura dell’arrotino è spesso vittima di pregiudizi. «Molti pensano a quello col megafono sul furgoncino. Ma chi gira così, quasi mai è un professionista. C’è chi lo fa con dignità, eh, ma non è la stessa cosa. Quel tipo di immagine ha danneggiato la categoria. Noi ci facciamo riconoscere solo dal cliente: se ne hai mille, se tornano, se ti spediscono strumenti da tutta Italia, allora sì, sei un professionista».

Il valore dei social e della fiducia

Nel 2017, Leonardo ha intuito che i social potevano essere uno strumento utile. «La gente non sa cosa facciamo. I social erano il modo giusto per raccontarlo. Ho sempre lavorato senza sponsorizzare nulla. Ma ho postato con costanza. È una responsabilità: più ti esponi, più devi essere bravo. Se uno ti spedisce un coltello da lontano, si sta fidando. E io non voglio mai tradire quella fiducia».

Il settore professionale è in crescita: chi lavora con le mani riconosce la qualità e resta fedele. Il privato è più difficile da educare. «Spesso la gente preferisce ricomprare coltelli scadenti invece che sistemare quelli buoni. Ma è anche colpa nostra se non comunichiamo il valore della manutenzione. La cultura del mantenimento va insegnata».

Il futuro? In bilico, ma con speranza

Leonardo Donnini

Leonardo è onesto: il futuro dell’arrotino è incerto. «Non sono ottimista. Anche i figli degli arrotini raramente continuano. E trovare qualcuno da formare è complicatissimo. Non ci sono le condizioni economiche per assumere. Una volta si lavorava mesi senza paga, oggi non è più possibile. E poi c’è la tecnologia che avanza. A Solingen, in Germania, ho visto macchine che affilano in modo perfetto, con pochissimo personale. Cambierà tutto. Tra tre generazioni? Forse non ci saremo più».

Ma c’è una luce. Da qualche anno, Leonardo tiene corsi di affilatura su pietra sintetica. È partito per caso, con un ragazzo uscito dall’alberghiero che chiedeva di imparare. Oggi, tiene lezioni nei ristoranti, nelle scuole,
nelle cucine professionali. «Una grande soddisfazione è stata entrare ad Alma, una delle scuole più serie d’Italia. Poi sono arrivati anche l’Accademia Italiana Chef e altri ristoranti. Andiamo direttamente nelle cucine, lavoriamo con le brigate. Formare le persone potrebbe essere la salvezza del mestiere. Io ci credo. E finché qualcuno vorrà imparare, io ci sarò».

Oggi il mestiere dell’arrotino è diventato raro, ma continua a vivere grazie alla passione e alla dedizione di chi lo porta avanti con orgoglio. È un lavoro di relazioni, di mani, di saperi che non si imparano in fretta.
«In un mondo dove si butta tutto, io riparo. Io restituisco valore a quello che molti danno per perso. Questo, per me, è il senso del mio lavoro».

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