Fare ristorazione a New York City è quasi uno sport estremo – del tipo che premia tanto gli chef abbastanza audaci da firmare contratti di affitto nella città più cara del Paese, quanto gli avventori che si affidano alle visioni di tali chef. È proprio questa tensione, il brivido del «come andrà» e del binomio rischio-ricompensa, ad alimentare la città americana più interessante dal punto di vista gastronomico.
Certo, a Los Angeles ci sono prodotti di livello superiore, Houston vince per diversità, e New Orleans parla nel suo delizioso dialetto patois, ma in quanto ad acume ed evoluzione – baby, it’s New York, New York. Le più recenti aperture cittadine innovano con spavalderia, anche quando rimandano ai classici. Il reimmaginato Le Veau d’Or potrà avere una sala retro-chic, con il suo pavimento in linoleum, ma i suoi impeccabili Martini (serviti accompagnati da un highball Vermouth e ciliegia), le patate fritte che sfidano la gravità e i lussuriosi piatti di interiora, ricordano a chi mangia qui quanta verve dovremmo pretendere dalla cucina francese. Così come Penny, con il suo bancone dedicato al pesce in pieno centro, dimostra quanto strabilianti possano essere un perfetto cocktail di gamberi e un astice intero con burro nocciola e tutto il suo glorioso corallo interno. Poi ci sono il semplice Hamburger America , insospettabile tempio del miglior cibo d’America, e San Sabino (sansabinonyc.com), dove qualcuno ha – finalmente! – aggiornato la trascurata parmigiana di gamberi con salsa.
Di recente, i ristoranti hanno anche iniziato a sfidare le tradizionali logiche di quartiere della città. Il ristoratore di Brooklyn Andrew Tarlow ha aperto l’elegante, e molto apprezzato, Borgo a Manhattan, rallegrando la zona con la croccante zucchina Delicata e gli squisiti ravioli di manzo. Hellbender porta il calore della cucina Cali-Mex – mele ricoperte da salsa chamoy e ruffianissimi tacos con gamberi fritti – in quello che era un anonimo bar di quartiere al capolinea della linea M nel Queens. A Chinatown, Bridges serve piatti di ispirazione francese come il king crab con salsa bernese e una sorta di soffici ravioli mai visti prima da queste parti, farciti con anguilla affumicata e completati da rafano. A poca distanza, da Tolo, si bevono pregiati Bordeaux con manzo e broccoli, mentre Kisa (kisaus.com), che s’ispira ai rapidi ed economici ristorantini per tassisti di Seul, prepara il bulgogi su Houston street, lontano dalla Koreatown sulla 32esima.
L’arte degli impasti: pizza, bagel e creazioni ibride
Gli impasti incarnano al meglio lo spirito interculturale e pronto agli strappi alla regola di New York City. Direi che la corona cittadina spetterebbe alla pizza by the slice (venduta a spicchi, ndt) per cui si forma una lunga fila da L’Industrie nel West Village. O forse ai bagel in versione extra croccante di Apollo Bagels, e ai bialy di origine polacca ma profumati d’aglio di Elbow Bread.

Anche le tortillerias gareggiano per vincere: per quelle sottilissime a base di farina e strutto, andate al pop-up Border Town; per quelle a base di mais autoctono nixtamalizzato in casa, dirigetevi da Sobre Masa. E tenete un po’ di spazio per il dolce dal recentemente rinnovato Kellogg’s Diner , locale aperto h24 con un tocco di stile Tex-Mex, dove vi aspettano la pretzel salad (una sorta di cheesecake con i pretzel, ndt) con Jell-O alla fragola e la Tajín icebox pie (simile a una tarte citron, ndt) al frutto della passione. E poi ci sono campioni cittadini della laminazione, che prende spesso sapori nuovi. La F&W Best New Chef 2024 Camari Mick – parte del team al femminile dietro a Musket Room, Raf’s e Cafe Zaffri – incrocia i suoi croissant con i fagottini di carne giamaicani e nella sua crosta Wellington mette la pecora al curry. Laurel Bakery avvolge i sapori della cacio e pepe in una spirale di impasto sfogliato e arrotola mortadella, pistacchi e pecorino nelle paste danesi. Gli enormi pig in a blanket (wurstel arrotolati nella foglia) di Hani’s (hanisnyc.com) sono un validissimo premio di consolazione se i cinnamon roll o la carrot cake dall’abbondante glassatura dovessero essere terminati.
Cocktail d’autore e icone intramontabili: la scena dei bar a NYC
Berrete anche alla grande, da queste parti. Eel Bar è il maggior paladino del Vermouth in città, e usa i vini fortificati per preparazioni fantasiose e un irresistibile «wet» Martini. Il leggendario barman modernista Dave Arnold è tornato in scena lo scorso anno al Bar Contra, dando il via al revival del banana justino e presentando un Rum e Coca dove non ci sono né il distillato né la bevanda. Il Sip&Guzzle sono due bar in uno, dove gli ospiti trovano drink disimpegnati (come il Daisy con pomodori secchi o il Martini al litchi) al piano terra, e cocktail più concettuali (come un grasshopper chiarificato) al piano di sotto.

Ma a New York City non ci sono solo novità eclatanti, dunque non sottovalutate le sue icone classiche. Mangiate una costoletta di montone da Keens Steakhouse, ordinate i bocconcini di formaggio fritto e un Gimlet da The Long Island Bar, e assaggiate la shrimp parm vecchio stile da Bamonte’s , anche solo per fare una comparazione.
Ma quello che la città offre di più speciale ha qualcosa di elettrico, originale e ardito. Sono i tacos farciti con stomaco, muso, coda e utero di Carnitas Ramírez . È l’esplorazione del cibo e vino queer nel menu degustazione di HAGS. E sono i chutzpah di SEA, dove una brigata in gran parte coreana reinterpreta la cucina del Sudest asiatico e fa il più saporito riso fritto al granchio della città. Ci si reinventa in continuazione, freneticamente: è il codice del «vai avanti o chiudi» osservato dai migliori ristoranti della gastronomicamente più grande e coraggiosa città d’America.