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Per gli Stati Uniti i dazi sono una questione fondante

Come tasse, monopoli e alimenti quotidiani hanno alimentato la rivolta dei coloni contro la Corona britannica

Oggi gli Stati Uniti usano i dazi come arma economica per spaventare e/o fare pressione a tutto il mondo ma, anche se fa sorridere amaramente, la nazione è stata fondata proprio a causa dei dazi. La nascita degli Stati Uniti non fu soltanto il risultato di ideali di libertà e autodeterminazione come fanno intendere alcuni bei film come Il Patriota, ma soprattutto la conseguenza di dazi e tasse applicati agli alimenti di consumo quotidiano. Il Boston Tea Party del 1773 resta l’episodio simbolo di questa tensione: i coloni americani insorsero contro la tassazione sul tè imposta da Londra, trasformando un prodotto da tavola in un detonatore politico.

Il Boston Tea Party: quando una bevanda divenne un atto politico

Benjamin Franklin sintetizzava il senso comune con la celebre frase secondo cui «Nulla è certo, tranne la morte e le tasse. Dopo la Guerra dei sette anni (1756-1763), la Corona britannica cercò di recuperare le ingenti spese militari imponendo nuove imposte alle colonie nordamericane. Le più contestate riguardavano beni di largo consumo: lo zucchero, fondamentale per dolci e conserve; il rum, prodotto nelle colonie caraibiche e diffusissimo nelle taverne del New England; il , bevanda importata dall’Asia e ormai parte integrante della quotidianità.

I coloni non rifiutavano in sé l’idea di pagare tasse, ma rivendicavano il principio “no taxation without representation”: tassazione senza rappresentanza nel Parlamento di Londra significava sudditanza politica.

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Il 16 dicembre 1773 un gruppo di coloni, travestiti da nativi americani, assaltò tre navi della Compagnia delle Indie Orientali ancorate nel porto di Boston e gettò in mare 342 casse di tè. L’episodio passò alla storia come Boston Tea Party. Non si trattava solo di un gesto teatrale: la legge in vigore favoriva il monopolio britannico penalizzando i mercanti americani, costretti a pagare dazi elevati su ogni carico di tè non proveniente dalla Compagnia.

La protesta fu tanto economica quanto gastronomica. Il tè, divenuto simbolo di una socialità raffinata nelle case borghesi, rappresentava anche l’ingerenza della Corona nelle scelte quotidiane dei coloni. Rinunciare a berlo, o boicottarlo, significava affermare una nuova identità politica e culturale.

Non solo il tè, ma anche lo zucchero caraibico e i distillati come il rum furono al centro delle contestazioni. Il Sugar Act del 1764 tassava le importazioni di zucchero e melassa, elementi essenziali nella cucina coloniale e nella produzione di alcolici. Queste misure colpirono sia i consumatori, sia i produttori locali, innescando boicottaggi e traffici clandestini. L’alimentazione e i dazi, così, divennero terreno di scontro politico. Ogni tazza di tè non bevuta, ogni bicchiere di rum sottratto al monopolio, equivaleva a un atto di resistenza.

Il legame tra tasse e cibo si rivelò determinante nella costruzione della coscienza politica americana. La quotidianità gastronomica trasformò il conflitto astratto sui dazi in un’esperienza tangibile: pagare più caro il tè o rinunciare allo zucchero significava toccare la vita domestica di ciascuno.

Dopo l’indipendenza, il nuovo governo degli Stati Uniti non abbandonò l’idea dei dazi. Anzi, li utilizzò come principale strumento di finanziamento statale. Per decenni le entrate doganali furono la base economica della giovane nazione, segno che tasse e commercio restavano, anche dopo la rivoluzione, il fondamento della politica americana.

Dal tè al caffè: la nuova identità in tazza degli Stati Uniti

La Rivoluzione americana non mutò soltanto i rapporti politici con la madrepatria, ma trasformò in profondità anche le abitudini alimentari dei coloni. Il Boston Tea Party rese il tè un simbolo scomodo, associato all’oppressione britannica e al pagamento di dazi giudicati ingiusti. Da allora, molti americani lo abbandonarono progressivamente, preferendo il caffè, bevanda già conosciuta ma fino ad allora secondaria. Nelle case, nelle taverne e nelle locande delle colonie, la scelta di bere caffè divenne una dichiarazione politica, un modo per distinguersi dalla tradizione inglese e affermare una nuova identità.

Il caffè, grazie anche ai commerci con i Caraibi e l’America Latina, divenne presto la bevanda del quotidiano americano, fino a trasformarsi in uno dei simboli più forti dell’ospitalità e dello stile di vita a stelle e strisce. La tazza fumante che oggi accompagna colazioni, incontri di lavoro e pause veloci, affonda dunque le sue radici in un atto di ribellione fiscale.

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Foto da Shutterstock

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