Nata a La Réunion, isola francese nell’Oceano Indiano dove l’uva non cresce, Kristell Monot è arrivata in Francia a 15 anni e uno dei suoi primi desideri realizzati è stato partecipare a una vendemmia, nella Loira. Da quell’incontro con il vino nasce una passione che diventa lavoro, inizialmente come export manager di una cantina della Ribera del Duero. Dopo 10 anni di visite nei ristoranti decide di passare dall’altra parte, lavorando come sommelier in alcuni locali di Jerez. Quando sta per tornare all’export, legge un annuncio del gruppo IXO nei Paesi Baschi, regione che la attira da tempo.
La posizione è per Mugaritz, il ristorante dello chef Luis Andoni Aduriz a poca distanza da San Sebastián, laboratorio di ricerca in cui la parola d’ordine è “mettere in discussione la logica” (e in cui il cibo “non è altro che un pretesto per esplorare frontiere”, dove il pensiero e la visione contano ormai più del sapore: il menu attuale segue il tema della Trasparenza e ha come filo conduttore le muffe). Così, da head sommelier, Monot ha accettato la sfida di ridefinire la proposta liquida di Mugaritz applicando al vino – dalla scelta, al servizio – un processo creativo condiviso con la cucina, all’insegna della libertà da ogni dogma.
Vis à Vis: l’alter ego liquido
Inclusa Vis à Vis: così si chiama la collezione di cuvée uniche (non solo di vino ma di ogni forma liquida, dal sidro al kombucha, dal saké al tè pet-nat) realizzate in collaborazione con cantine spagnole ma anche di altri Paesi: un’idea non del tutto nuova (da noi qualcosa di simile, ad esempio, ha fatto Matteo Zappile per Il Pagliaccio a Roma). Ad Astigarraga è però nato un progetto strutturato che, come indica il nome, si basa sull’incontro e sul confronto non solo con i produttori ma anche e soprattutto tra cuochi e sommelier, che traggono ispirazioni e stimoli reciproci dalla scoperta continua.
Come nasce l’idea di Vis à Vis?
Il progetto legato al lato liquido del ristorante è stata un’evoluzione naturale della percezione delle bevande, e oggi è l’alter ego del lato solido. Qui tutto è guidato dalla creatività, a cominciare dalla proposta gastronomica effimera che cambia a ogni stagione, e che è il frutto dello studio svolto nei sei mesi di chiusura. Fino al 2022, come in altri ristoranti fine dining, i sommelier aspettavano di conoscere il menu ideato dagli chef e pensavano a quali delle bottiglie di pregio in cantina stappare con ogni portata, cosa che può ancora accadere; ma non c’è nulla di creativo in questo, e a un certo punto abbiamo sentito che non era in linea con la filosofia che guida Mugaritz. Così, è stato naturale far evolvere la proposta liquida in qualcosa di molto più creativo, proponendo cose che puoi trovare solo qui, anche per portare il team di sommelier a lavorare insieme al reparto Ricerca e Sviluppo (il ristorante ha una cucina dedicata, nda), e a parlare la stessa lingua: quella di Mugaritz, appunto.

Come funziona il processo creativo applicato al beverage?
Nei sei mesi di chiusura, io e qualcuno della cucina di ricerca viaggiamo insieme, andando a visitare i produttori che sono nella nostra wishlist, per sintonia, perché ne amiamo i prodotti o magari perché c’è una connessione diretta o fanno parte della “Mugaritz family around the world”. Viaggiare insieme con un R&S chef è un modo per far andare di pari passo il pensiero della cucina con quello del sommelier: ci consente di essere ispirati – dal paesaggio, dai racconti dei produttori –, e magari di trovare spunti negli ingredienti tipici della regione. Poi, la creatività può trovare molte forme: assemblaggi irripetibili, botti dedicate, annate storiche fuori commercio, esperimenti che vanno fuori dai disciplinari delle denominazioni: da Mugaritz, niente è proibito!
Come si struttura la collezione Vis à Vis?
La proposta Vis à Vis nasce per essere effimera come quella gastronomica, e cambiare ogni anno. Però, stiamo anche facendo magazzino, per offrire agli ospiti una proposta che rifletta tutte le collaborazioni: bisogna agire in maniera intelligente per non far sparire in pochi mesi un lavoro molto lungo e impegnativo. In quattro stagioni abbiamo realizzato 48 collaborazioni e altrettante etichette di cui vengono prodotte circa 300 bottiglie ciascuna, e ne abbiamo già avviate dieci nuove per il 2026. Mentre stiamo iniziando a ragionare per il 2027: il vino richiede tempo, non ci si può aspettare di immaginare qualcosa a settembre e averlo pronto per maggio.
Siete stati anche in Italia?
Siamo andati da Ceretto con tutto il team, Andoni incluso, visitando la cantina e il ristorante Piazza Duomo: è stata un’esperienza incredibile e abbiamo trovato molti punti in comune! In quel caso il link è venuto da una persona che aveva lavorato come maître di Mugaritz (Francesca Cane, nda) che, originaria del Piemonte, è tornata a casa e lavora da Ceretto. Abbiamo selezionato un Barbaresco, entrato nella collezione 2025, e un Barolo che arriverà l’anno prossimo. Nel primo caso, il vino è frutto della parte superiore del vigneto Bernadot, che Ceretto aveva in affitto: l’annata 2021, però, è stata l’ultima perché il proprietario della vigna l’ha rivoluta per sé. E ora è nella nostra cantina.
Muffe, veli di fermentazione… Come si propongono abbinamenti con una cucina come quella di Mugaritz?
Quando gli ospiti ci chiedono indicazioni su che vino scegliere in base a quello che mangeranno, li invitiamo a cambiare approccio: semplicemente, che scelgano una bottiglia che li attira e se la godano. Certo, bianchi o bollicine possono risultare più versatili, ma l’idea è rompere ogni regola, anche nel nostro lavoro. Sta a noi capire l’attitudine di chi abbiamo davanti. A chi cerca “oggetti del desiderio” proponiamo la lista Iconography, con etichette di pregio; a chi vuole una bottiglia ma non ha voglia di leggere tutta la carta proponiamo Atlas, una sorta di gioco intuitivo in cui li invitiamo a scegliere tra diverse immagini, associarvi delle parole e indicare un range di prezzo; chi si affida a noi e vuole qualcosa in pieno stile Mugaritz, può scegliere tra i due format dell’esperienza Vis à Vis (da 15 o 9 assaggi), o anche l’esperienza no- e lo-alcohol. Ma i nostri “abbinamenti” si basano soprattutto sullo storytelling, più che sulla ricerca dell’armonia dei sapori. O, più spesso, del contrasto.