Visitare Bali da europea ha significato confrontarmi con una grammatica del cibo radicalmente diversa. Non si è trattato solo di scoprire sapori nuovi, ma di entrare in un sistema gastronomico complesso, dove religione, agricoltura e vita pubblica si intrecciano e si influenzano a vicenda.
La cucina balinese nasce da un territorio generoso: risaie terrazzate, suolo vulcanico ricco di minerali, vegetazione rigogliosa. Ma è la dimensione spirituale a renderla unica. Ogni preparazione è parte di un rituale codificato che coinvolge la comunità e celebra il pantheon induista. Il riso, alimento centrale, è anche un simbolo sacro: incarnazione della dea Dewi Sri, venerata con rituali, danze e rappresentazioni teatrali.
Nei villaggi, si cucina insieme: riso colorato con pigmenti naturali, dolcetti di zucchero di palma, spiedini destinati agli altari. Oltre a pollo e maiale, tra gli ingredienti più diffusi ci sono anatra, pesce e frutti di mare, tofu e tempeh, cocco in tutte le sue forme, erbe aromatiche e spezie.
Alcuni piatti sono emblematici e funzionano come coordinate: punti di riferimento per orientarsi in un sistema culinario stratificato, dove il cibo svolge un triplice ruolo: nutrimento, offerta sacrificale per onorare le divinità e placare i demoni, e strumento di coesione sociale.
A tutta fiamma

Il nasi goreng è un piatto che ha attraversato secoli e confini regionali, simbolo di una cucina che riflette la pluralità dell’arcipelago indonesiano. Nato per riutilizzare il riso avanzato, si è evoluto in una preparazione codificata, riconosciuta nel 2012 come piatto nazionale dal Ministero del Turismo e dell’Economia Creativa. Ogni regione ne propone una variante, giocando con colori e intensità aromatiche. La base resta il riso, saltato nel wok con aglio, scalogno, peperoncino, salsa di soia dolce e spezie, arricchito da proteine e verdure.
A Bali si trova ovunque: dai warung di strada ai ristoranti d’alta gamma. Il più memorabile l’ho assaggiato al Sangkar, ristorante del Bvlgari Resort, sospeso sulla scogliera con vista sull’Oceano Indiano. Qui, la versione è sontuosa: riso fritto con carne di Wagyu, bamboo lobster balinese e sambal al chili. Il contesto è altrettanto scenografico: una sala in stile balinese contemporaneo, con sculture rituali sospese e un’opera monumentale in teak e rame. Il locale serve anche insalata balinese, dentice rosa con ipomea (foglie di patata dolce), guancia di manzo brasata con latte di cocco e manioca. Piatti che restituiscono la stratificazione culturale dell’isola.
Terracotta e brace

Ci sono assaggi che attivano il sistema limbico prima ancora che la mente possa formulare un pensiero. Come il serabi del ristorante Nusantara, nel cuore di Ubud: un pancake di una sofficità quasi irreale, da intingere in una salsa tiepida al latte di cocco, con jackfruit e foglie di pandan (una pianta aromatica dell’Asia meridionale). Un morso e il tempo si sospende. Il serabi, o surabi, è un dolce tradizionale a base di farina di riso, cotto su piastre di terracotta e servito con kinca, una densa riduzione di zucchero di palma.
Le varianti regionali sono numerose: alcune salate, altre prive di salsa, altre ancora inserite in rituali religiosi come il Serabi Sedekah nel Sud di Sumatra. La sua struttura ricorda l’appam indiano, ma il profilo aromatico è tutto indonesiano: cocco, pandan, fermentazioni appena percepibili. Da Nusantara, questo dolce è tra i piatti firma, insieme a ricette che spaziano da Bali al Sulawesi, da Java a Sumatra, con una sensibilità che privilegia ingredienti locali e tecniche tradizionali, come la cottura su brace.
Foglie a vapore

I jaje sono dolci cerimoniali originari di Giava, custodi della memoria gastronomica indonesiana e ancora oggi spesso legati a rituali religiosi. Il jaje bantal, avvolto in foglie di palma intrecciate, è composto da riso glutinoso, cocco grattugiato e zucchero. Altre varianti prevedono farina di riso e cottura al vapore in foglie di banano, con colorazioni naturali ottenute dal pandan, e dolcificazioni a base di zucchero di palma rosso, che conferisce una tonalità caramello. La produzione dei jaje è in declino perché troppo laboriosa e poco redditizia.
Si trovano ancora nei mercati di Klungkung, mentre sono rari nei warung e nei cestini degli ambulanti. Io li ho scoperti all’hotel Soori nella reggenza di Tabanan, dove vengono serviti in camera come omaggio agli ospiti: verdi, piccoli e ripieni di melassa di zucchero. Al ristorante Cotta dello stesso albergo, affacciato sulla spiaggia, si assaggia anche un sorprendente satay di pollo cotto a carbone. Gli spiedini, serviti ancora fumanti, sono tra i piatti tradizionali più amati dai viaggiatori.
A fuoco lento, nel paiolo

“Bubur” significa budino, “injin” riso nero. Il bubur injin è un dessert che si consuma spesso al mattino, a colazione con caffè o tè. Si tratta di un porridge di riso nero glutinoso, cotto a lungo nel paiolo e servito con crema di cocco e sciroppo di zucchero di palma. La consistenza è morbida e compatta, più o meno cremosa a seconda della ricetta; il gusto è denso, con note tostate. Il cocco, ingrediente centrale, è anche un pilastro dell’economia indonesiana: coltivato da milioni di piccoli agricoltori, è presente in ogni forma nella cucina locale.
Il bubur injin ne celebra la versatilità, unendo latte, zucchero e frutta in una salsa dall’equilibrio perfetto. Indimenticabile quello assaggiato a Rumah Desa, nel villaggio di Tua al centro di Bali, proposto con banana arrostita nel cocco rapè e papaya appena colta nel giardino.
A fettine

Preparato in occasione di cerimonie religiose e feste comunitarie, il lawar è il risultato di una lavorazione collettiva, spesso guidata da cuochi che tramandano saperi codificati solo ai figli maschi al compimento del sedicesimo anno. Il nome significa “tagliato sottile”, e la preparazione è un mosaico di ingredienti: cocco fresco e tostato, latte di cocco stagionato, frittata di uova, jackfruit, felci grattugiate, foglie di carambola, peperoncini fritti, pasta di spezie, pasta di gamberetti, papaya verde, carne di maiale tritata finemente, cotenna croccante.
Ogni elemento è mescolato a mano, per ottenere le diverse tipologie di lawar. Esistono almeno cinque varianti principali, ciascuna associata a un colore e a una direzione sacra del cosmo induista. Il Lawar Merah, rosso, simboleggia Brahma e il Sud: contiene sangue e carne cruda appena tagliata. Il Lawar Putih, bianco, è dedicato a Iswara e alla purezza.