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Bordeaux

Bordeaux, dall’ipertecnologia alla naturalità

Siamo tornati a Bordeaux en Primeur per confermare il dinamismo e la volontà di crescita di molti château e per condividere i migliori assaggi(prendete nota!).

L’appassionato di vino giovane – dove per giovane intendo la definizione italica moderna, ovvero chiunque abbia meno di quarant’anni – parla con entusiasmo di molte aree vinicole: dalla Borgogna, ovviamente, alle Langhe, dalla Loira al comprensorio etneo, dal Chianti Classico alla Mosella, fino alla sempreverde Champagne. Ma per una curiosa censura, un’insistente rimozione, quasi una damnatio memoriae, si dispone molto malvolentieri anche solo a sfiorare l’argomento Bordeaux. Pesa sulla reputazione dell’ampio bacino produttivo bordolese il cliché di zona devastata da una gestione agronomica intensiva (nell’uso di fitofarmaci di sintesi e di macchinari pesanti, nella riduzione o addirittura azzeramento della biodiversità, nell’impiego massivo di materiale vegetale clonato, eccetera) e da una turbo-enotecnica omologante (con ad esempio l’uso disinvolto di pratiche di concentrazione dei mosti, di sostanze “migliorative” e di maquillage dei vini).

Tutti questi pregiudizi negativi hanno un innegabile fondo di verità. Per diversi decenni gli enologi bordolesi sono stati all’avanguardia nello sviluppare tecnologie innovative e insieme molto manipolatorie, mentre allo stesso tempo i loro colleghi agronomi disegnavano un paesaggio monotonamente uniforme, impiegando ovunque lo stesso protocollo di allevamento – il Médoc era una distesa piatta di vigneti tutti uguali – e rendendo i terreni sterili. Questo primato della tecnica ha così prodotto da un lato vigne soldatini, ordinate come drappelli di un esercito, e dall’altro, come naturale conseguenza, vini-soldatini, accomunati da un modello stilistico riproposto come uno stampo: colori intensi, profumi tra le note di rovere tostato e la pelle di peperone, sapori tenuemente o marcatamente vegetali – a seconda della qualità della materia prima —, con finali freschi e balsamici, oppure – sempre a seconda della qualità della materia prima – taglienti e crudi. Da qui il tenace pregiudizio del bevitore medio e anche dell’enofilo esperto. Da qui il luogo comune che contrappone i vini di Borgogna, “contadini, autentici interpreti della loro terra, diversi uno dall’altro perché ottenuti da vigne diverse una dall’altra”, ai vini di Bordeaux, “industriali, finti, senza legami con la loro terra (variazione: ‘si potrebbero fare dovunque’), indistinguibili uno dall’altro”. Negli ultimi anni, tuttavia, le cose stanno cambiando. Con insospettabile rapidità. Al punto che forse nessun’altra area produttiva francese dimostra più dinamismo e volontà di crescita. Non sarà certo dovuto soltanto a un risveglio di coscienza, di sicuro c’entrerà la cruda constatazione di un obiettivo calo di vendite e di interesse. E per una regione che è da sempre il punto di riferimento principale del mercato del vino su scala planetaria, scendere nelle quotazioni equivale a perdite finanziarie significative: con circa 700 milioni di bottiglie prodotte annualmente, ottenute da una superficie vitata impressionante, pari a circa 120mila ettari, e una massa critica di château che arriva quasi a 9mila unità, Bordeaux è un continente di vino, più che una semplice area produttiva.

In cosa si coglie quest’aria di rinnovamento? Per cominciare, sul piano strettamente agricolturale. Fino a non molti anni fa girare in auto tra le vigne del Médoc significava attraversare un paesaggio grigio e monotono: ettari e ettari di vigneti gemelli, senza tracce di altra vegetazione tra i filari. I suoli erano stati sfruttati fino alla pressoché completa sterilità. Tenuti per decenni in monocoltura, compattati da macchinari pesanti, soffocati da tonnellate di prodotti chimici di sintesi (sistemici e non). Oggi è sempre più frequente scorgere strisce di verde tra le file ordinate di viti. Un numero crescente di château sta passando in conduzione biologica, non pochi scelgono direttamente la gestione delle vigne in biodinamica. E non si parla di proprietà minori, eh: il sommo Château Latour, per dirne uno — forse il più augusto dei Premier Cru — è ormai a due terzi del vignoble in biodinamica (66 ettari su poco meno di 100). La consapevolezza che i terreni andassero rivivificati si è fatta sempre più strada anche nei gruppi di lavoro un tempo più spregiudicati. I carotaggi mostrano che la microfauna sta tornando a popolare i vigneti. La biomassa aumenta, i suoli non sono più un substrato inerte ma stanno tornando a dialogare attivamente con le piante di vite. I più visionari sperimentatori cercano di recuperare materiale vegetale sparito nel corso del Novecento e invece molto diffuso in epoca pre-fillosserica, vale a dire fino alla fine dell’Ottocento: oltre ad aver distrutto l’intero vigneto europeo, il parassita della fillossera ha infatti causato la perdita di decine e decine di vitigni tipici del bordolese, restringendo la coltivazione successiva ai soli cabernet sauvignon, merlot e petit verdot, i più robusti e resistenti. Non mancano a questo proposito le situazioni di lettura ambivalente, che hanno aspetti certamente virtuosi ma che allo stesso tempo prestano il fianco a qualche sospetto di speculazione furbesca. È il caso esemplare di Loïc Pasquet, viticoltore che da un lato ha l’indubbio merito di aver salvato dall’estinzione varietà storiche e dimenticate – dai nomi esotici di castets, mancin, prunelard, pardotte —, ma che dall’altro propone al mercato un rosso in versione “extra lusso”, il Liber Pater, al proibitivo costo di 4mila euro a bottiglia (fino alla follia di 32mila per il ricercatissimo 2015).

E tuttavia, ambiguità a parte, il contesto produttivo bordolese è innegabilmente in generale rinnovamento. Una necessità stringente, dato che il “consumatore medio” – in tutta evidenza un’astrazione, ma utile come punto di riferimento statistico – è sempre meno disposto a tollerare tecniche colturali ed enologiche poco rispettose dell’ambiente. Certo, diffondere la conduzione biologica e biodinamica in un’area così vasta, e dalle caratteristiche climatiche così peculiari come Bordeaux, è una sfida epocale. Come ha dichiarato di recente a Decanter Olivier Bernard, storico proprietario del Domaine de Chevalier, «è facile fare biodinamica in Provenza, ma qui a Bordeaux abbiamo un clima marino e dobbiamo combattere costantemente con varie malattie della vite». Allo stato attuale, il pluricitato cambiamento climatico, che sta impattando anche violentemente in altre aree produttive storiche, rimane sullo sfondo: le vendemmie sono in media anticipate, ma la significativa disponibilità di risorse idriche – sotto forma di corsi d’acqua e di strati sotterranei “spugna”, che fungono da regolatori dell’afflusso idrico — rende il territorio bordolese ancora perfettamente capace di affrontare le più torride stagioni attuali. A proposito: l’estate del 2022, appena trascorsa, è stata devastante. Furiosi ed estesissimi incendi hanno colpito i settori immediatamente a sud del grande vigneto bordolese. Il panorama che confina con le vigne è lunare. Speriamo che un simile sfacelo non influisca troppo sul microclima locale, nei mesi e anni a venire. 

Note di degustazione dalle anteprime bordolesi di quest’anno
Château Latour

Pauillac 2021
Timbro di frutto puro e ben delineato, grana tannica sorprendentemente fine per un vino “di base” (che costa poche decine di euro, rispetto ai prezzi esorbitanti del secondo vino e del Grand Vin), sapido nel lungo e nitido finale.

Les Forts de Latour 2021
Setoso nei tannini, succoso, di media persistenza, rivela come sempre una mano finissima nell’estrazione ma tutto sommato non mostra uno stacco così deciso rispetto al più umile Pauillac.

Château Latour 2021
Tannini ancora più fini del vino precedente (come è prevedibile), serici, punta vegetale (classico peperone), finale limpido e modulato, di grande persistenza.

Pauillac 2017
Molto gustoso, già ben sviluppato aromaticamente, finale tenero e un po’ flou, molto probabilmente a causa dell’annata non proprio eroica. Sul mercato ora: i responsabili di Latour hanno deciso di rilasciare annate giunte a un buon grado di maturazione (cfr. i due vini
successivi).

Les Forts de Latour 2016
Ricco, polposo, un po’ avanti come maturità. Non molta dinamica, ma di impianto tannico solido.

Château Latour 2014
Punta di tartufo a segnalare una piena maturità aromatica, complesso, multidimensionale, finissimo nei tannini, particolarmente lungo.

Château Cos d’Estournel

G d’Estournel 2021
Chiamato in precedenza La Goulée d’Estournel, oggi semplicemente G, è un rosso fine, molto fresco, pieno di succo, che si semplifica appena in chiusura.

Pagodes de Cos 2021
Di stile deciso, un po’ austero, bella densità a centro bocca, finale tannico.

Château Cos d’Estournel 2021
Molta energia nello spettro olfattivo, tannini un po’ rigidi, ancora embrionali, ovviamente da attendere; più contratto di altri nomi famosi, ma appare una semplice e normale fase evolutiva.

Pagodes Blanc 2021
Terpenico (ovvero un po’ “verde”), leggermente velato all’olfatto, molto fresco al palato, si distende nel finale, dove trova ritmo e allungo.

Château Cos d’Estournel Blanc 2021
Più pieno e polposo del precedente, com’era ovvio attendersi; molto bello nell’articolazione gustativa, fin troppo “ordinato” ma molto buono da bere.

Château Montrose

Château Tronquoy-Lalande 2021
Note un po’ statiche di confettura, tendente ai toni caldi, tannini abbondanti, finale più rinfrescante.

La Dame de Montrose 2021
Impressionante per freschezza, succo, slancio finale: uno degli assaggi più convincenti dell’intera tornata di degustazioni di quest’anno.

Château Montrose 2021
Più polpa e più tannini rispetto alla Dame, com’è ovvio; stessa luminosità nel finale, davvero ritmato e lungo.

Château Pichon Baron

Château Pibran 2021
Molto riuscito, fresco e gustoso, si semplifica appena in chiusura ma mantiene una buona tensione.

Les Griffons de Pichon 2021
Molto brillante, succoso, anzi proprio goloso: un acquisto sicuro.

Château Pichon Baron 2021
Molto sottile e infiltrante nei tannini, bella densità di bocca, finale molto tonico, persistente.

Lions de Suduiraut 2021
Nitido, avvolgente, pieno di succo, davvero riuscito, pericolosamente facile da bere.

Château Suduiraut 2021
Sottilissimo (annata molto difficile per i bianchi liquorosi), più delicato che denso, snello: onesto testimone dell’annata.

Château Mouton Rothschild

Château D’Armailhac 2021
Un po’ vegetale all’olfatto, fresco, tocco fumé, buon passo, finale leggermente crudo.

Château Clerc Milon 2021
Marcato dall’elevage (vale a dire piuttosto roveroso), buona materia, sapido in chiusura.

Le Petit Mouton 2021
Abbastanza aperto all’olfatto, bell’attacco di bocca, preciso; centro e finale appena caramellizzati, ma anche floreali.

Château Mouton Rothschild 2021
Molto più nitido e puro rispetto agli altri della batteria, bellissima apertura balsamica, tannini setosi, ottimo governo del legno rispetto al passato; finale di frutto croccante.

L’Aile d’Argent 2021
Un po’ dolce, tenero, senza grande tensione; non molto interessante.

Château Lafite Rothschild

Moulin de Duhart 2021
Abbastanza ben delineato nel quadro aromatico, tannini leggermente appiccicosi, finale che si semplifica.

Château Duhart-Milon 2021
Tocco appena vegetale d’esordio, molto più convincente al palato, reattivo, vivace. Carruades de Lafite 2021 Foglia di menta, peperone; invitante e balsamico. Finale fresco, ai confini della crudezza (dalla quale si tiene tuttavia al riparo).

Château Lafite Rothschild 2021
Molto levigato nei tannini e insieme molto dinamico, centro bocca appena marcato dal rovere, finale in linea con i migliori caratteri del millesimo, con una lieve ma percettibile scodata boisé e tannica.

Château Léoville Las Cases

La Chapelle de Potensac 2021
Molto leggero, snello, grana tannica di media finezza, particolarmente facile da bere.

Château Potensac 2021
Più densità del precedente, bello slancio, arioso: buonissimo (per la prima volta c’è una percentuale di cabernet franc nel taglio finale).

Le Petit Lion du Marquis de Las Cases 2021
Davvero ricco di polpa e dinamica, grande presa al palato, bella trama tannica.

Clos du Marquis 2021
Struttura e densità, tannini di grana fine, molto lungo: tra i più promettenti degli ultimi anni.

Château Léoville Las Cases 2021
Grande delicatezza dei tannini, davvero puntiformi; centro un po’ dolce (il cantiniere dice per la dolcezza dei cabernet franc di questa vendemmia), finale brillante, articolato, lungo.

Château Durfort-Vivens

Château La Gurgue 2021
Nitido all’olfatto, buona articolazione al palato, discreta grana tannica, finale lineare e composto.

Château Ferrière 2021
Molto floreale e slanciato nei profumi, bella dinamica al gusto, si beve benissimo e ha un’inaspettata intensità nella progressione finale.

Château Durfort-Vivens 2021
Molto strutturato ma altrettanto agile, tannini saporiti e infiltranti, gustosissimo.

Château Haut-Bages Liberal 2021
Tannico, potente, deciso, buona articolazione, tuttavia non eccezionale nell’arco gustativo conclusivo.

Ceres de Haut-Bages Liberal 2020
Molto invitante fin dall’aspetto visivo, luminoso. Ha profumi ancora in via di formazione e sapore succoso, tonico, reattivo: una bella scoperta.

Château Margaux

Pavillon Rouge 2021
Magnifico nel disegno aromatico, setoso al palato, pieno di succo, da bere a litri (se non costasse circa 200 euro a bottiglia).

Château Margaux 2021
Più densità rispetto a Pavillon, come da attese; una punta di dolcezza all’attacco di bocca, frutto di particolare delicatezza, molto sottile nel finale.

Pavillon Blanc 2021
Impressionante energia, articolato, reattivo, vibrante, impossibile da espellere in degustazione.

La Mission Haut-Brion

La Chapelle de la Mission 2021
Tannini densi e un po’ legnosi, anche piuttosto verdognoli, buon passo al palato, finale in buona progressione.

Le Clarence de Haut-Brion 2021
Più arioso e fresco del precedente, ben in linea con il carattere dell’annata; chiusura convincente, sui toni balsamici di menta.

Château La Mission Haut-Brion 2021
Eleganti note floreali, succosissimo al palato, dinamico, tannini molto fini, davvero persistente, più severo in chiusura.

Château Haut-Brion 2021
Vino fantastico, aereo, luminoso, dalla straordinaria finezza di tannini e di interminabile persistenza; una delle migliori edizioni degli ultimi anni.

Château La Mission Haut-Brion Blanc 2021
Grintoso, salino e fruttato in un bel gioco gustativo, molto rinfrescante in chiusura.

Château Haut-Brion Blanc 2021
Come sempre micrometrico nell’esecuzione (non a caso è da molti considerato il primo bianco del bordolese), rigoroso e comunicativo al tempo stesso; lieve scodata boisé (inoffensiva) nel finale.

Château Les Carmes Haut-Brion

Le C des Carmes 2021
Più denso di altri “secondi vini”, fresco secondo gli stilemi dell’annata, finale un po’ asciugato.

Château Les Carmes Haut-Brion 2021
Molto fresco, luminoso, bella finezza tannica, flessuoso, longilineo.

Maggiori informazioni

In apertura, la bottaia di Château Palmer (ph. Nicolas Joubard)

Leggi anche: Parola a Thomas Duroux

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