Il cambiamento climatico colpisce in modo disomogeneo le regioni vinicole del mondo, ma secondo uno studio dell’Università della British Columbia e pubblicato su PLOS Climate, sono quelle europee a subire gli effetti più pesanti. Temperature in aumento, giornate di caldo estremo e anticipazione della vendemmia stanno modificando radicalmente la viticoltura in Francia, Italia e Spagna. La ricerca segnala rischi per la tipicità dei vini e invita a ripensare le strategie produttive.
In che modo i mutamenti stanno cambiando il vino europeo
Il riscaldamento globale rappresenta oggi una delle maggiori sfide per l’agricoltura e in particolare per la viticoltura, settore storicamente legato a condizioni climatiche precise e territori specifici. Le trasformazioni ambientali in corso stanno già modificando le modalità di coltivazione, qualità delle uve, tempistiche di raccolta e identità dei vini in molte aree tradizionalmente vocate alla produzione.
Un nuovo studio pubblicato su PLOS Climate e condotto da un gruppo internazionale di climatologi, genetisti della vite ed esperti di macroecologia ha mappato gli effetti del riscaldamento globale su 749 siti vitivinicoli in oltre 500 regioni produttive del mondo. Il confronto tra le condizioni climatiche attuali (1981–2020) e quelle del periodo preindustriale (1901–1940) ha evidenziato dieci indicatori fondamentali per la viticoltura, tra cui le temperature minime e massime nelle fasi fenologiche e il numero di giorni sopra i 35 °C.
Il dato più rilevante riguarda l’Europa: le regioni meridionali e occidentali stanno registrando gli incrementi termici più marcati. In Francia, le massime giornaliere nella stagione vegetativa sono aumentate di circa 3 °C rispetto al 1980; in Spagna e Italia l’aumento è stato di circa 2 °C. Contestualmente, le giornate con temperature oltre i 35 °C risultano quintuplicate rispetto ai livelli preindustriali.
Le conseguenze sono evidenti: maturazione anticipata dei grappoli, compressione dei tempi di vendemmia, alterazione del profilo zuccherino e acido dell’uva. Elementi che incidono direttamente sulla struttura del vino, sul grado alcolico e sul profilo aromatico, minacciando l’identità sensoriale di molte denominazioni storiche.
A fronte di un impatto più contenuto in Nord America, Sudafrica e Giappone — dove l’aumento termico si è mantenuto al di sotto di 1 °C — l’intensità degli effetti riscontrata in Europa impone riflessioni urgenti sulle strategie produttive e di adattamento del comparto vitivinicolo.
Il comparto vitivinicolo europeo si trova di fronte a una sfida epocale. Le evidenze scientifiche raccolte negli ultimi anni concordano nel segnalare rischi concreti per viticoltura di molte aree storiche. Per garantire la continuità e l’identità produttiva sarà necessario investire su ricerca, innovazione e adattamento climatico, valorizzando il patrimonio genetico autoctono e rivedendo modelli produttivi e disciplinari in chiave sostenibile.
Ci sono molti studi a sostegno di quest’ultima ricerca: urge fare qualcosa
La ricerca di PLOS Climate si inserisce in una serie di studi che negli ultimi anni hanno evidenziato la vulnerabilità della viticoltura europea al cambiamento climatico.
Uno studio del 2023 pubblicato su Global Change Biology ha proposto una proiezione della futura geografia vinicola europea, stimando una riduzione fino al 17% delle aree attualmente vocate per ogni grado di aumento della temperatura globale oltre i 2 °C, con possibili nuovi distretti vinicoli in zone oggi marginali.
Un’ulteriore indagine su OENO One dello stesso anno ha analizzato le simulazioni climatiche per 21 regioni francesi, evidenziando rischi di stress idrico, malattie e calo qualitativo del vino già entro metà secolo, a causa di temperature elevate e minori precipitazioni.
Anche una revisione pubblicata su Atmosphere nel 2020 ha segnalato come le regioni vinicole del Sud Europa, fra cui Italia, Spagna e Grecia, rischino di diventare troppo aride per una viticoltura di alta qualità senza ricorso a irrigazioni intensive, con conseguenze sulla sostenibilità economica delle aziende.
In tutti i casi sopra elencati, gli autori suggeriscono l’adozione di varietà più resistenti al calore, la modifica delle pratiche agronomiche e l’adeguamento dei disciplinari produttivi per tutelare la qualità e la continuità della viticoltura europea. Un urlo univoco della comunità scientifica che va ascoltato al più presto.