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Corleone sta vivendo una rinascita agricola che punta sulla sostenibilità

Da simbolo ingombrante del passato a laboratorio rurale del futuro, Corleone, in provincia di Palermo, oggi si racconta in un’altra lingua: quella della terra, del lavoro silenzioso, della bellezza quotidiana. Tra vigne, grani antichi e nuove energie imprenditoriali, il cuore della Sicilia interna torna a pulsare.

A Corleone, città collinare a soli 58 chilometri da Palermo, negli ultimi anni, sta prendendo forma un cambiamento lento ma concreto. Non cerca riflettori, ma si fa notare tra chi osserva da vicino il mondo agricolo e i suoi ritmi. Una terra spesso raccontata attraverso luoghi comuni sta oggi trovando nuovi modi per esprimere se stessa, a partire proprio da ciò che ha sempre avuto: la campagna, il lavoro quotidiano, la forza della terra.

Qui si curano vigne con attenzione, si recuperano antiche varietà di grano, si rimettono in moto filiere che sembravano dimenticate, con metodi tradizionali e innovativi. Torna protagonista la forza discreta di chi ha scelto il lavoro e la bellezza del fare. Aziende storiche, custodi di tradizioni contadine mai sopite, si affiancano a piccoli e giovani produttori che hanno deciso di coltivare, di restituire senso alle radici. È una trasformazione agricola silenziosa, ma vera. E soprattutto, radicata.

Corleone, l’antico granaio di Sicilia: la ricchezza che nasce dalla terra

Chi conosce davvero Corleone lo sa: prima ancora delle cronache, del cinema, del mito — c’è la terra. E quella, qui, è generosa. È un paesaggio fatto di colline, boschi, radure e rocche di pietra. C’è acqua ovunque: la Cascata delle Due Rocche, che si nasconde tra i vicoli del paese, è un piccolo miracolo incastonato nel cuore del borgo. Rocca Busambra domina tutto, con la sua imponenza silenziosa. E intorno, il Bosco della Ficuzza, il Gorgo del Drago, i campi che ondeggiano tra il verde e l’oro. Già nel 250 a.C., Corleone era attraversata da una delle prime vie dell’isola: la Via Francigena Mazarese, che collegava Mazara del Vallo a Ragusa e Santa Croce Camerina. Una rotta di commerci, di scambi, di storie.

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E qui, nel cuore montuoso della Sicilia, si incrociavano le rotte del Mediterraneo. Non a caso, tra i colori della bandiera siciliana, il giallo rappresenta proprio Corleone: il “granaio” dell’isola. Oggi, quel passato glorioso torna a germogliare.

Principe di Corleone: la forza della storia, lo slancio del futuro

Tra i protagonisti di questo rinascimento agricolo c’è una delle realtà storiche del vino siciliano: Principe di Corleone. Con oltre un secolo di esperienza alle spalle, l’azienda rappresenta un capitolo fondamentale nella storia vitivinicola siciliana. Il suo legame con la terra, con l’identità rurale del territorio, è profondo e tangibile, come i filari che attraversano le alture collinari di questo lembo di Sicilia. Alla guida dell’azienda c’è da cinque generazioni la famiglia Pollara, che ha partecipato da protagonista alla grande stagione di rinascita del vino siciliano negli anni Ottanta. Oggi, quell’impegno non si è affievolito. Anzi, si è rinnovato con forza grazie all’ingresso delle nuove generazioni. In particolare, sono i giovani Leoluca e Pietro, fratelli e nuovi volti della famiglia Pollara, a portare una visione fresca e innovativa, capace di proiettare l’azienda verso nuove sfide e mercati. Con uno sguardo contemporaneo, attento alla sostenibilità, alla comunicazione e all’evoluzione dei gusti globali, stanno accompagnando l’azienda in una fase di profonda trasformazione, sempre nel solco della tradizione.

La famiglia Pollara ha scelto di investire in una viticoltura centrata sulla qualità, non solo in cantina ma soprattutto nel vigneto. Colture di tradizione, pratiche sostenibili, attenzione ai dettagli e alle esigenze del suolo: è una visione agricola che tiene insieme la memoria e la contemporaneità, il rispetto per la terra e la competizione nei mercati internazionali. Nei vigneti si coltivano varietà autoctone come Nero d’Avola, Inzolia, Catarratto, insieme ad alcune varietà internazionali, sempre nel segno dell’equilibrio e della coerenza territoriale.

Gaetano Di Carlo: la scelta di chi torna a restituire senso alle radici

A Corleone, c’è anche chi ha scelto di tornare. È il caso di Gaetano Di Carlo, agricoltore che ha fatto del ritorno alla propria terra un gesto consapevole e profondo. Quando è tornato, Gaetano non ha preso subito in mano le vigne di famiglia. Prima ha voluto studiare la sua terra, camminarla, comprenderla. Ha scoperto che sotto i suoi piedi c’era sabbia antica, sabbia dolomitica, le calcareniti mioceniche. Come se un pezzo delle Dolomiti si fosse fermato qui milioni di anni fa. Non è solo una curiosità geologica, ma l’anima stessa del terreno: quella che nutre le viti, plasma il vino, identità a ogni sorso. Poi, piano piano, ha ricominciato. È partito da un vigneto di Catarratto a 750 metri d’altitudine. E oggi ha sette ettari di vigneto, una cantina raccolta, e una produzione che non supera le 20.000 bottiglie all’anno. Tutto è seguito da lui. Ogni vigna, ogni bottiglia (in totale cinque etichette), ogni parola che accompagna il vino.

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Gaetano Di Carlo insieme al figlio

Ma accanto alla vite, Gaetano coltiva anche olio e grani antichi come Tumminia, Perciasacchi, Russello Ibleo detto anche “manto di Maria”, con cui produce farina e pasta artigianale: una filiera completa, agricola e culturale, che guarda al futuro tenendo ben salda la memoria del passato.

Casale del Drago: la zucca come simbolo di rinascita

La rinascita corleonese passa anche da colture umili, ma potenti. Come la zucca rossa, protagonista del lavoro del Casale del Drago. L’azienda, a conduzione familiare, nasce nel 1983 e oggi è portata avanti da Paola e da suo marito Luca. «Tutto iniziò quasi per gioco», racconta Paola, «quando i miei suoceri scelsero di coltivare la zucca per differenziarsi da altre produzioni più comuni». Ma oggi i numeri raccontano una crescita autentica: 15 ettari coltivati, raccolta tra metà agosto e metà settembre, e una produzione biologica trasformata in caponate, vellutate e paté secondo ricette tradizionali.

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La zucca di Casale del Drago

Le zucche, che vanno dai 3 ai 10 kg, vengono lavorate interamente a mano. L’azienda guarda avanti con progetti per un laboratorio di trasformazione e percorsi esperienziali per far conoscere il paesaggio circostante.

Giovani casari e miele d’altura: nuove energie in fermento

Accanto ai campi e ai vigneti, sta rifiorendo anche l’arte casearia. A Corleone e nei suoi dintorni stanno nascendo piccoli caseifici artigianali, guidati da giovani casari che uniscono rigore tecnico e passione. Tra questi, spiccano i fratelli Campagna, che hanno fondato un’azienda zootecnica dove il benessere animale si traduce in qualità del latte. Vacche allevate tra la pianura e la montagna, metodi tramandati nel tempo, strumenti antichi e legni selezionati per la stagionatura: nasce così il loro caciocavallo, un formaggio che racconta identità, tempo e radici.

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allevamento – pascolo all’aperto-Fratelli Campagna

E tra le colline, le api completano il quadro. Corleone oggi ospita una comunità apistica fiorente, con circa venti apicoltori attivi sul territorio. Alcuni di loro hanno già avviato laboratori di smielatura e strutture dedicate alla lavorazione del prodotto, ma accanto a queste realtà più strutturate stanno emergendo anche piccole produzioni nate quasi per passione. È il caso di Apicoltura Cannella, una giovane realtà familiare nata per hobby, con l’idea di puntare tutto sulla qualità. Senza fretta, ma con crescente convinzione, sta trovando spazio tra chi apprezza un miele autentico, pulito, lavorato con cura. Una produzione piccola ma promettente, spinta da una richiesta inaspettata e dal valore riconosciuto del prodotto.

Tra i giovani apicoltori spicca anche la storia di Salvatore Paternostro, 26 anni, che ha iniziato quasi per caso nel 2020 mentre frequentava le scuole superiori in elettronica. Oggi gestisce circa 700 arnie, produce ogni anno circa 7 tonnellate di miele — in particolare miele di “sulla”, che nasce dalle colline amaranto di primavera, ma anche di eucalipto, millefiori e millefiori di bosco, grazie alla vicinanza del bosco di Ficuzza. Ha costruito un proprio laboratorio di smielatura e vende anche sciami per l’impollinazione. «Sono state le api a cercare me», racconta. Oggi il settore è in pieno fermento, con una rete giovane, appassionata e in crescita, che guarda con fiducia al futuro.

Il Pomodoro Riccio Corleonese: un frutto che resiste

A completare il paesaggio agricolo corleonese c’è un’altra eccellenza che merita attenzione: il pomodoro riccio, detto anche siccagno corleonese. Una varietà autoctona coltivata in asciutta, senza irrigazione, grazie alla fertilità dei terreni ricchi di sabbie dolomitiche. Tra le realtà più dinamiche, si distingue la startup Feudo Realbate della famiglia Mirabile, che destina circa 2 ettari alla produzione del pomodoro per una produzione attuale di circa 1.400 quintali. Accanto al riccio tipico, coltivano varietà come il Big Rio, il Rio Grande e il Miss Betty, ma il cuore della trasformazione resta il pomodoro siccagno corleonese, usato per pelati, pomodori secchi e si sta pensando già alle conserve artigianali. Un ritorno consapevole alla terra, in chiave contemporanea.

Zafferano e lumache: la biodiversità che nutre il futuro

Anche lo zafferano è parte di questo rinascimento agricolo. Quattro aziende lo coltivano con metodo biologico. Tra queste, la Leone s.a.s., fondata da Emanuela e Giuseppe, due cognati seguiti con passione dal padre novantenne. Hanno puntato su una produzione limitata ma di alta qualità: circa 1 kg di zafferano all’anno, venduto in vasetti da 0,25 e 0,50 g. Tutto viene svolto in famiglia, con lavorazioni manuali, dalla scerbatura alla raccolta, per preservare l’artigianalità e la sostenibilità.

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Lo zafferano dell’azienda leone

Corleone è anche terra di lumache. Quattro giovani aziende si dedicano all’elicicoltura biologica, in impianti innovativi all’interno di serre a impatto zero. Le chiocciole vengono allevate per la bava (brevettata per usi cosmetici e oggetto di studi farmaceutici), e presto anche per produrre il caviale da destinare ai ristoranti per il consumo alimentare. «Siamo ancora in fase di ricerca e sviluppo ma il comparto a Corleone è in crescita», spiega Leoluca Misuraca, uno dei quattro allevatori.

E mentre queste piccole realtà si strutturano, animate da entusiasmo, ciò che accade oggi non è solo economia rurale: è cultura, identità, rigenerazione. Il rinascimento agricolo di Corleone è la prova che il futuro non arriva dall’alto. Si semina. E poi si aspetta. E poi si raccoglie. Con dignità. Con orgoglio. Semplicemente ricordando e rispettando le vere radici di una terra ricchissima per natura.

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