Il biryani è molto più di un semplice piatto di riso: è un viaggio attraverso secoli di commerci, religioni e contaminazioni culturali tra Persia, India e Medio Oriente. Nato come pietanza regale e approdato oggi nei menu di mezzo mondo, questo riso basmati speziato, accompagnato da carne, pesce o verdure, racconta di incontri e scambi che hanno plasmato intere civiltà. A differenza del più noto pilaf, il biryani prevede la cottura separata del riso e dei condimenti, per unire poi i sapori in un’esplosione di profumi e consistenze.
Storia del biryani
L’etimologia, dal persiano berya(n) — “arrostito” o “fritto” — è la prima traccia di una migrazione culturale che dalle steppe e dalle corti safavidi condusse alle cucine regali del subcontinente indiano. Non a caso, molti storici culinari, come Clifford Wright nel suo “A Mediterranean Feast” lo considerano un piatto di confine: nato dall’incrocio tra la tecnica persiana di cuocere carne e riso insieme e l’inclinazione indiana all’uso di spezie, erbe fresche e ghee.
L’arrivo del biryani in India viene spesso associato alla dinastia Moghul, che tra il XVI e il XIX secolo trasformò la cucina di corte in un crocevia di influenze persiane, turche e locali. Nell’Impero Moghul, piatti come il pulao esistevano già, ma furono la stratificazione aromatica e la cottura sigillata dum pukht a fare del biryani un capolavoro di equilibrio. Nelle cucine di Hyderabad e Lucknow, due capitali del gusto, si affinarono tecniche che ancora oggi definiscono la grammatica di questo piatto: marinature lunghe, uso calibrato di acqua di rose e zafferano, cipolle fritte per creare dolcezza e croccantezza.
Alcuni cronisti ricordano che il biryani fosse cucinato nei grandi degh, calderoni di metallo capaci di nutrire centinaia di persone, soprattutto nei banchetti reali. Al tempo stesso, esistono fonti che raccontano come fosse servito ai soldati: uno strato di riso e carne, cotti insieme per fornire energia senza rinunciare al gusto. È in questa doppia dimensione – regale e popolare – che si spiega la sua diffusione rapidissima.
Con la caduta dei Moghul e la diaspora delle corti aristocratiche, il biryani iniziò a frammentarsi in mille varianti regionali. A Calcutta, con l’arrivo dell’esiliato Wajid Ali Shah da Lucknow, si aggiunse la patata, segno di adattamento a una città cosmopolita ma non sempre opulenta. Nel sud dell’India, in Kerala e Tamil Nadu, il riso cambiò volto: niente basmati, ma varietà autoctone profumatissime come jeerakasala e seeraga samba, che diedero vita a consistenze nuove. In Pakistan si impose un registro più robusto, con peperoncino, prugne secche e un tocco acidulo dato dal limone o dal tamarindo.
L’espansione del biryani non si fermò al subcontinente. In Iran, la parola stessa continuò a vivere in preparazioni diverse, come il beryani di Isfahan, a base di carne arrostita e servita con pane, quasi a rievocare le origini del termine. Nel Medio Oriente e nel Golfo Persico divenne un piatto comunitario per le grandi feste, adottato e adattato da ogni comunità migrante. Nel Sud-Est asiatico – da Yangon a Kuala Lumpur, fino a Singapore e Bangkok – incontrò ingredienti come anacardi, latte di cocco e spezie locali, fondendosi con le cucine islamiche regionali.

Oggi il biryani è riconosciuto come simbolo identitario dell’Asia meridionale, ma anche come piatto “di diaspora”: le comunità indiane, pakistane e bangladesi lo hanno portato a Londra, New York, Dubai e Johannesburg, rendendolo un patrimonio globale. Ovunque venga cucinato, resta fedele a due principi: il rispetto per la stratificazione di riso e condimenti e l’idea che la convivialità passi da un piatto unico, capace di raccontare storie di viaggi, commerci e contaminazioni culturali.
Quali ingredienti si utilizzano
Alla base del biryani c’è quasi sempre il riso basmati, lungo e profumato, che grazie alla sua consistenza rimane sgranato dopo la cottura. Viene insaporito con un’ampia gamma di spezie, tra cui cardamomo, chiodi di garofano, cannella, zenzero, cumino e zafferano, spesso accompagnati da foglie di menta, alloro e coriandolo fresco.
Gli ingredienti proteici variano enormemente: pollo, agnello, capra, manzo, pesce, gamberi, ma anche uova e verdure per le versioni vegetariane. In molte regioni il piatto è completato da yogurt, cipolle fritte, frutta secca, uvetta o patate. Ad accompagnarlo troviamo spesso raita allo yogurt, chutney, curry o insalate speziate, che ne esaltano la complessità.
Tutte le tipologie di biryani
Quando si parla di biryani, non si indica una ricetta unica ma una costellazione di stili. È una famiglia. Cambiano il riso (basmati, jeerakasala/kaima, seeraga samba ma solitamente è basmati), la tecnica (cotte “dum”, cioè a vapore in recipiente sigillato, oppure “pukka”, con ingredienti preparati separatamente), i profumi (kewra, acqua di rose, zafferano) e gli elementi identitari, dalle patate del Kolkata ai frutti secchi in versione persiana. Qui trovate le principali tipologie, ciascuna raccontata con un livello di dettaglio utile a orientarvi tra sapori, consistenze e tradizioni.
Hyderabadi biryani
Nell’immaginario collettivo è “il” biryani di corte. A Hyderabad convivono due scuole: la versione kacchi prevede carne marinata a crudo in yogurt e spezie, messa sul fondo della pentola, coperta da riso basmati parzialmente lessato e sigillata per la cottura dum; la versione pakki cuoce carne e riso separatamente prima della stratificazione. Il timbro aromatico è complesso: cardamomo verde, chiodi di garofano, cannella, foglie di alloro, pepe nero e zafferano, con note floreali di kewra o acqua di rose. Le cipolle fritte (birista) regalano dolcezza e croccantezza, mentre l’accompagnamento classico è il mirchi ka salan, una salsa a base di peperoncini, sesamo e arachidi, e la raita allo yogurt.
Lucknowi o Awadhi biryani
Eleganza e misura definiscono lo stile di Lucknow. È un biryani pukka: carne e riso si preparano a parte, poi si compongono gli strati. Il brodo di carne (yakhni) aromatizza il riso, che resta chiarissimo e sgranato. Il profumo è aristocratico: zafferano in infusione, un uso calibrato di spezie intere e talvolta un tocco di ittar (essenze naturali), che avvolge senza mai sovrastare.
Kolkata biryani
L’esilio del nababbo Wajid Ali Shah a metà Ottocento ha portato a Calcutta (Kolkata) la grammatica awadhi, ma con un segno distintivo: la patata, nata come “sostituzione” della carne nelle case meno abbienti, è oggi ingrediente identitario. Troverete spesso uova sode, una dolcezza di fondo data dalle cipolle fritte e un profilo aromatico gentile con accenti di acqua di rose. Il colore varia tra l’avorio e un giallo tenue da zafferano.
Bombay/Mumbai biryani
Più opulento e ricco di contrasti, gioca su strati evidenti, pomodoro, prugne secche o alu bukhara, patate e un carattere speziato deciso. Il riso risulta spesso bicolore per l’uso alternato di condimenti allo zafferano e strati “bianchi”, con un finale leggermente dolce-sapido dato dalle cipolle caramellate.
Sindhi biryani (Pakistan)
Celebre per la sua intensità. La marinata combina yogurt, peperoncino, coriandolo, cumino tostato e talvolta succo di limone. Patate e prugne secche introducono note sapide-acidule; il riso alterna strati molto carichi di spezie a zone più neutre, per un effetto vibrante al palato. È tipico delle città di Karachi e Hyderabad (Sindh).
Memoni biryani
Cugino stretto del Sindhi ma più asciutto e diretto. La comunità Memon privilegia l’agnello, riduce il pomodoro, rinuncia quasi del tutto alla colorazione artificiale e spinge su peperoncino e spezie tostate. Il risultato è un biryani meno dolce, più netto.
Kalyani biryani

Considerato il biryani da trattoria. È più quotidiano, spesso con manzo o bufalo, spezie semplificate e minor uso di zafferano. Mantiene la cottura dum e la stratificazione, ma cerca immediatezza e sazietà.
Kacchi biryani (Bangladesh)
Icona di Dhaka. La carne – di solito montone – viene marinata a lungo a crudo con yogurt e spezie, poi coperta da riso e cotta ermeticamente. Le patate sono frequenti, così come gli aromi di cardamomo e noce moscata. In tavola compaiono spesso uova sode e insalate croccanti per alleggerire l’insieme.
Sri Lankan biryani
Molto speziato e piccante, risente delle spezie di Ceylon: cannella “vera”, chiodi di garofano, cardamomo, foglie di curry e peperoncino. Pollame, manzo o montone incontrano contorni tradizionali come achcharu (pickle agrodolce), cashew curry e mint sambol. L’impronta è festiva, con colori caldi e profumi fruttati.
Kozhikode o Thalassery biryani
Qui il riso non è basmati ma jeerakasala (o kaima), corto e profumatissimo. Il condimento predilige ghee, anacardi, uvetta e spezie calde, mentre la piccantezza è più contenuta rispetto ad altre regioni. La cottura dum è sigillata con un cordone di pasta; spesso si servono versioni di mare, dal pesce ai gamberi.
Ambur e Dindigul biryani
In Tamil Nadu (sud dell’India) domina il riso seeraga samba, sottilissimo e avvolgente. Ad Ambur l’uso marcato di peperoncino secco e l’acidità dello yogurt definiscono un biryani sobrio ma intenso, spesso accompagnato da dalcha di legumi. A Dindigul l’acidità è più evidente per la presenza di succo di limone e yogurt; la salsa di carne è scura e aromatica, la granulosità del riso resta perfetta.
Bhatkali biryani
Identità costiera, senza curcuma. Cipolle in grandi quantità, peperoncini verdi e un profilo asciutto che mette in risalto il sapore delle proteine, spesso ittiche. Gli strati si distinguono per colori chiari e per la fragranza del riso.
Beary biryani
La comunità Beary lavora su un biryani gentile, con riso profumato, ghee, erbe fresche e un equilibrio tra dolcezza delle cipolle fritte e speziatura media. Le versioni di mare sono molto diffuse, con gamberi o pesci locali.
Kashmiri biryani

Più raro, ma interessante: integra spezie del nord, frutta secca e talvolta zafferano della valle. Il tono è aromatico, meno piccante, con un’eleganza che richiama i piatti del wazwan.
Iranian “beryani” di Isfahan
Qui il nome trae in inganno: il celebre beryani di Isfahan non è un riso speziato ma un impasto di montone (anche frattaglie cotte e macinate), profumato con cannella e servito su pane caldo tipo taftoon. È una “parentela linguistica” più che gastronomica con il biryani indiano, ma testimonia l’etimo persiano beryān (arrostito).
Iraqi biryani

In Iraq il termine indica un piatto di riso più vicino al pilaf, con vermicelli tostati, polpettine o dadini di carne, patate fritte, uvetta e frutta secca. È un mosaico di consistenze che conserva il nome “biryani” pur allontanandosi dallo schema indiano a strati.
Burmese biryani (Myanmar)
In Myanmar il biryani si arricchisce di anacardi, uvetta, piselli, foglie di alloro e zafferano; spesso pollo e riso cuociono insieme, per un risultato morbido e speziato. A Yangon esistono ristoranti dedicati esclusivamente a questa preparazione, consumata anche in occasione di cerimonie.
Thai biryani
Diffuso nelle comunità musulmane del sud della Thailandia, propone pollo o manzo con riso profumato, spezie “calde” e una cottura che ricorda il pilaf più che il dum sigillato. I contorni freschi – cetriolo e cipolla – bilanciano la grassezza.
Nasi beriani di Malesia e Singapore

Il riso è spesso cotto nel ghee con spezie intere; la portata arriva a tavola con curry denso (anche rendang) e contorni agrodolci. Le versioni Gam, tipiche dello stato di Johor, stratificano carne e riso in un’unica pentola per un effetto più intenso.
Nasing biringyi (Filippine)
Nelle comunità musulmane di Mindanao e nell’area di Sulu sopravvive una variante locale, servita in ricorrenze e matrimoni. Le spezie sono meno pungenti, l’uso del riso profumato resta centrale, il servizio è spesso corredato da salse e insalate locali.
Tahari/Tehri (vegetariano)

Nato per rispondere a precetti religiosi e scelte alimentari, mette al centro le verdure: patate, carote, piselli, cavolfiore. La speziatura è piena ma non aggressiva; l’assenza di carne sposta l’attenzione sul profumo del riso e sul gioco tra ghee e cipolle fritte. In Bangladesh il termine tehri può indicare anche una tecnica in cui la carne si aggiunge al riso e non viceversa.
Egg biryani
Più che una regione, un tema: le uova sode – talvolta fritte in padella con masala – diventano protagoniste. È molto popolare come “biryani del lunedì” nei locali che riducono l’offerta di carne in certi giorni o nelle mense universitarie.
Prawn biryani (biryani ai gamberi)
Velocissimo rispetto alle versioni con montone o manzo, esalta la dolcezza iodata dei crostacei con un masala meno invadente. Nel sud dell’India e lungo la costa del Malabar è un classico domenicale; si accompagna a raita fresca e limone per ravvivare il boccone.
Come orientarvi (e come ordinarlo)
Se cercate profumi nobili e un riso chiarissimo, vi riconoscerete nello stile Lucknowi; se amate contrasti e intensità, lo Hyderabadi – kacchi o pakki – è il vostro riferimento. Patate ed equilibrio dolce-sapido vi porteranno a Kolkata o a Mumbai; speziatura vibrante e punte acidule vi faranno scegliere un Sindhi o un Memoni. Chi è curioso di risi “non basmati” dovrebbe puntare al Malabar, ad Ambur o Dindigul, dove jeerakasala e seeraga samba cambiano radicalmente texture e profumo.
Per mare e spezie mediterranee dell’Oceano Indiano, Sri Lanka e costa del Karnataka sono un passaggio obbligato; se preferite leggere somiglianze lontane, le piste del Sud-Est asiatico – Myanmar, Thailandia, Malaysia, Singapore e Filippine – raccontano come il biryani si sia adattato alle dispense locali.
In ogni caso, ricordate la regola d’oro: un grande biryani non è mai un minestrone di spezie, ma una stratificazione leggibile, in cui riso e condimenti si incontrano senza confondersi. Il resto è geografia del gusto.