Un dipinto del pittore romano Giovanni Stanchi, realizzato nel XVII secolo e passato all’asta da Christie’s nel 2014, consente di osservare l’aspetto originario dell’anguria nei primi anni della sua diffusione in Europa. Il frutto, molto diverso da quello odierno, è stato progressivamente modificato attraverso selezioni agronomiche mirate. L’anguria in origine aveva dei semi molto più grossi, un colore meno intenso (che forse portava a un contenuto zuccherino minore) e delle grosse voragini all’interno, non molto invitanti. A spiegarlo è il professore James Nienhuis, docente di orticoltura presso l’Università del Wisconsin. Andando a scavare più in profondità nella storia dell’arte scopriamo che tanti sono stati gli artisti che hanno dipinto questo frutto estivo, regalandoci un incredibile fotografia della botanica dei secoli passati.
L’evoluzione della specie: dall’Africa all’Europa, attraverso le rotte del Mediterraneo
L’anguria, appartenente alla specie Citrullus lanatus, ha origini antichissime che si collocano nel continente africano, in particolare nella fascia subsahariana tra Sudan, Egitto e i territori dell’attuale Libia. Le prime testimonianze della sua coltivazione risalgono a oltre 5mila anni fa, come dimostrano alcuni geroglifici e dipinti murali rinvenuti nelle tombe egizie, dove il frutto viene rappresentato come riserva d’acqua per i viaggi nel deserto.
Dal Nord Africa, la coltivazione dell’anguria si è diffusa gradualmente verso il Medio Oriente, in particolare lungo le rotte carovaniere e mercantili, raggiungendo Persia, Anatolia e le coste del Mediterraneo orientale. In posti così estremamente caldi, un frutto che riesce a dare ristoro e a reggere climi aridi e temperati è una manna dal cielo: in queste nazioni l’anguria prolifera.
L’arrivo in Europa è documentato tra il tardo Medioevo e l’inizio dell’età moderna, ma è nel XVII secolo che l’anguria inizia a diffondersi stabilmente nei giardini nobiliari e negli orti privati dell’Italia centro-meridionale e della Spagna, per poi spingersi in Francia e nel resto del continente. È proprio in questo periodo che il frutto compare in numerosi dipinti di nature morte, tra cui quelli di Giovanni Stanchi, che offrono una preziosa testimonianza visiva sull’aspetto originario delle angurie europee.
Secondo quanto ricostruito dal professor James Nienhuis, docente di orticoltura presso l’Università del Wisconsin, queste antiche varietà conservavano ancora caratteristiche più vicine ai progenitori africani, con una polpa di colore chiaro, una tessitura meno compatta e una quantità significativa di semi. Nienhuis utilizza il dipinto di Stanchi e altre raffigurazioni coeve come esempi pratici nei suoi corsi di storia dell’orticoltura, per illustrare il processo di domesticazione delle colture e l’intervento selettivo dell’uomo sulle piante alimentari.
La selezione agronomica operata nei secoli successivi, specie tra Ottocento e Novecento, ha progressivamente privilegiato le angurie con polpa più rossa e zuccherina, meno semi e maggiore resa, adattandole al gusto moderno e alle esigenze della grande distribuzione. È interessante notare che il colore rosso, inizialmente sviluppato nella pianta per proteggere e nutrire i semi, sia diventato nel tempo uno degli attributi più ricercati per motivi esclusivamente estetici e commerciali.
Il significato del colore e la selezione agronomica
Nienhuis spiega che, sebbene il sapore delle angurie nel Seicento fosse già simile a quello delle varietà attuali, l’aspetto estetico e strutturale risultava molto differente. La polpa, più pallida e disseminata di semi, aveva originariamente la funzione biologica di proteggere i semi stessi. Con il tempo, gli agricoltori hanno progressivamente selezionato le angurie per ottenere frutti dalla polpa più rossa e succosa, qualità preferite dai consumatori.
Questo processo di selezione agronomica ha portato a ridurre progressivamente il numero di semi e ad aumentare il colore intenso della polpa, che nella sua funzione originaria serviva esclusivamente da supporto nutritivo per i semi. La pressione commerciale e il gusto del mercato hanno quindi modificato radicalmente l’aspetto del frutto rispetto alle sue versioni più antiche. Secondo il professor Todd Wehner, docente della North Carolina State University che studia la coltivazione delle angurie «i dipinti museali sono un metodo interessante per studiare le antiche cultivar. I dipinti mostrano il tipo di angurie che gli europei mangiavano nel Medioevo durante la stagione del raccolto estivo», afferma Wehner. «Abbiamo ancora oggi a disposizione cultivar come quella nel dipinto, provenienti dalle nostre collezioni di germoplasma, una sorta di biblioteca genetica che include molte varietà diverse». Secondo gli studi, le cavità nel cuore possono conferire un aspetto particolare, simile a quello di un melone acerbo o poco maturo.
In realtà, scandagliando la storia dell’arte, notiamo che ci sono numerosi dipinti che hanno angurie dall’aspetto normale come la Natura morta con frutta e fiori di Brueghel. Tuttavia, la varietà di angurie disponibili non smentisce che le angurie non coltivate, come quelle nel dipinto di Stanchi, fossero significativamente diverse da quelle che consumiamo oggi. L’anguria di Brueghel poteva anche essere tutta rossa, ma anche l’anguria matura di Stanchi era considerata degna di essere dipinta. Nel tempo, la selezione ha contribuito a definire l’anguria ideale.
La prima anguria simile a quella nostra ce l’abbiamo nel 1858 con Wagguno, Frutta e Ittero di Baltimora. L’anguria è stata dipinta innumerevoli volte ma per molti secoli avevano queste grosse cavità all’interno che si sono via via rimpicciolite
La prossima evoluzione: angurie senza semi
Secondo quanto illustrato dal professor James Nienhuis e confermato da numerose pubblicazioni agronomiche recenti, il futuro della coltivazione dell’anguria sarà segnato dalla progressiva scomparsa dei semi. Questa tendenza, in realtà, è già avviata da alcuni decenni grazie allo sviluppo delle varietà apirene, ovvero angurie prive di semi visibili o contenenti soltanto abbozzi molli e impercettibili durante la masticazione.
Le angurie senza semi non sono il risultato di modificazioni genetiche in senso stretto, ma vengono ottenute tramite incroci naturali tra piante con diverso assetto cromosomico. Il metodo più diffuso consiste nel far incrociare una pianta diploide (con due set di cromosomi) con una pianta tetraploide (che ne possiede quattro). Dalla loro unione nasce una pianta triploide, sterile, incapace di produrre semi vitali ma capace di generare frutti commestibili e di alta qualità. È un procedimento già noto in orticoltura anche per altre specie, come l’uva senza semi e alcune varietà di agrumi.
Le varietà apirene sono state introdotte negli Stati Uniti negli anni Cinquanta, ma hanno trovato una più ampia diffusione commerciale a partire dagli anni Novanta grazie alla crescente richiesta dei mercati internazionali per frutti più pratici, facili da consumare e dall’aspetto più uniforme. Oggi rappresentano una quota significativa della produzione mondiale di angurie, in particolare nelle grandi serre spagnole di Almería, nei distretti agricoli del Marocco e nei principali poli produttivi di Cina, Messico e Stati Uniti.
Tra le varietà di angurie senza semi più diffuse sul mercato si possono citare la Reina de Corazones e la Fashion spagnola, la giapponese Densuke – famosa per il suo prezzo elevato e la buccia nera lucida – e la Sugar Baby Triploide, molto apprezzata per le sue dimensioni compatte e la polpa dolce e croccante.
Questa evoluzione agronomica, che prosegue il percorso di selezione avviato secoli fa e testimoniato anche dalle raffigurazioni pittoriche seicentesche, risponde a esigenze contemporanee di funzionalità e sostenibilità. Le angurie apirene, infatti, oltre a incontrare il favore dei consumatori per la loro comodità d’uso, riducono gli scarti alimentari e permettono una maggiore efficienza nella lavorazione industriale e nel confezionamento.
Nonostante alcune resistenze culturali nei mercati più tradizionalisti, l’anguria senza semi si sta affermando anche in Italia, soprattutto nei canali della gdo, dove compare ormai stabilmente nei mesi estivi accanto alle varietà classiche.