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Formaggi Dop

Formaggi Dop, un tesoro da valorizzare (anche al ristorante)

Spesso protagonisti di menu e aperitivi, i prodotti caseari italiani d’eccellenza non vengono sempre giustamente menzionati e comunicati. AFIDOP e FIPE collaborano per definire le corrette linee guida.

Dalla pizza o dalla caprese con Mozzarella di Bufala Campana alla Cacio e Pepe con il Pecorino Romano, dal risotto radicchio e Gorgonzola ai più classici spaghetti al pomodoro con una generosa grattugiata di Parmigiano Reggiano: piatti deliziosi che rappresentano la quintessenza culinaria del nostro Paese e che ne raccontano, negli ingredienti, le peculiarità di regioni e produzioni; a cominciare dai formaggi utilizzati, che sono il frutto di lavorazioni spesso antiche, di pascoli e paesaggi specifici, di manualità uniche. Eppure molto spesso, sui menu dei ristoranti italiani (anche fuori dai confini nazionali), la grande ricchezza casearia nostrana – che vanta ben 56 prodotti tra Dop e Igp – non è adeguatamente e correttamente valorizzata.

Lo dimostra una ricerca effettuata da Griffeshield (società specializzata in nuove tecnologie informatiche a difesa della proprietà industriale) per AFIDOP- Associazione dei formaggi Dop e Igp Italiani, che riunisce 22 consorzi di altrettanti prodotti a indicazione geografica. Realizzato nel marzo 2023 analizzando i menu online di un campione rappresentativo di 21.800 ristoranti, lo studio evidenzia che all’incirca in un ristorante italiano su 4 (25,3%) i formaggi Dop – in questo caso ristretti a nove prodotti: Parmigiano Reggiano, Gorgonzola, Grana Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Fontina, Provolone Valpadana, Quartirolo Lombardo, Taleggio, Montasio – sono citati tra gli ingredienti dei piatti, con punte del 90% per Parmigiano Reggiano, Gorgonzola, Grana Padano e Mozzarella di Bufala Campana, ma non sempre nel modo più corretto.

Così, ad esempio, spesso le tipologie dai nomi composti vengono citate riportando solo la prima parola o addirittura – come ha raccontato Roberta Sala Peup, chief protection officer Grieffshield, in occasione della presentazione della ricerca presso il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste con la partecipazione del Ministro Francesco Lollobrigida, il 25 settembre – con fantasiose commistioni tra più denominazioni. Solo un ristorante su 10, poi, ricorda di riportare l’acronimo Dop, che rappresenta invece un’importante indicazione di provenienza e qualità per il cliente: fa eccezione solo la Mozzarella di Bufala Campana Dop, correttamente citata nel 46,5% dei casi. Ancora più rara l’indicazione dei mesi di stagionatura del formaggio, riportata quasi esclusivamente (e per ben l’82,7% dei casi) per il Parmigiano Reggiano.

Bene ma non benissimo, insomma: i formaggi Dop sono senz’altro riconosciuti come una parte importante del patrimonio culinario e agroalimentare italiano ma molto ancora si può fare per la loro valorizzazione. Anche considerato il notevole valore economico: le circa 457mile tonnellate prodotte, pari al 45% della produzione casearia nazionale, muovono quasi 4 miliardi e mezzo di euro di cui 2,5 di export, con una crescita notevole e costante negli ultimi tre anni. Lo ha ricordato Antonio Auricchio, presidente AFIDOP, che con l’occasione ha presentato anche il nuovo logo dell’associazione: una goccia e una forma, a riassumere l’intera filiera nelle sue tante sfaccettature.

Per migliorare una situazione comunque di per sé felice, va dunque migliorata la parte di racconto, comunicazione e – inevitabilmente – di formazione e sensibilizzazione degli operatori della ristorazione. Pensiamo ad esempio a quanto potrebbe giovare l’individuazione di modi originali ed efficaci per non svilire i classici (e spesso anonimi e noiosi) taglieri di aperitivo ormai onnipresenti. Nasce così la collaborazione – presentata sempre al Ministero – tra AFIDOP e FIPE-Federazione Italiana Pubblici Esercizi, rappresentata dal direttore generale Roberto Calugi: «Va fatto un lavoro di formazione, di recupero di conoscenza, di riscoperta del valore culturale ed economico del formaggio, per raccontare le specificità dei prodotti e le tante storie che ci sono dietro». Così facendo, ha affermato Calugi auspicando un ritorno in grande stile del carrello dei formaggi, «si potrebbe fornire un importante strumento per un salto di qualità della ristorazione», soprattutto in un momento in cui questo settore fondamentale per il comparto agroalimentare italiano (dal punto di vista degli acquisti e dei numeri, ma anche della “rappresentanza”, riuscendo a raggiungere un ampio pubblico di italiani e stranieri) sta lentamente tornando ai fatturati pre-Covid.

Dal canto suo, Auricchio non ha mancato di chiedere al Ministro Lollobrigida – di cui ha lodato l’intraprendenza e la dedizione alla causa della cucina italiana, candidata anche al riconoscimento Unesco – azioni concrete e supporti precisi: dall’arginare le spinte verso le etichette condizionanti (come quelle previste dal sistema NutriScore) a una normativa che eviti la confusione tra prodotti Dop e non Dop sugli scaffali e nei cesti della grande distribuzione, a tutela della scelta libera ma informata del consumatore che viene spesso tratto in inganno da disposizioni “furbette” dei prodotti (già più volte denunciate da AFIDOP e dai consorzi, e sanzionate). E lancia un’idea che – come ci ha specificato – non è destinata a rimanere solo tale: «Sogno una “guida Michelin” dei formaggi, per raccontarli nel modo giusto».

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