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Franco Pepe

Franco Pepe: impasti di famiglia, dal pane alla pizza

Il nonno Ciccio era il fornaio del paese, lui ha fatto conoscere al mondo Caiazzo grazie alle sue pizze straordinarie e a una visione quanto mai nitida.

Se oggi tutti – per lo meno tra gli amanti della pizza – sanno dove si trova Caiazzo, paesino abbarbicato in cima a una collina dell’Alto Casertano che guarda alla placida campagna circostante, si deve a Franco Pepe e alle sue pizze. Buonissime ma anche “intelligenti”, capaci di raccontare un territorio troppo spesso negletto, e di farsi aggregatrici di energie e idee, facendo rete tra gli artigiani e i loro prodotti. Non a caso è indicato come modello su più fronti, dalla qualità degli impasti – soffici, leggerissimi, scioglievoli, ben calibrati – al lavoro sui condimenti, fino all’attenzione dedicata agli aspetti nutrizionali delle pizze; ma ancor di più, per aver saputo diventare un vero e proprio ambasciatore della sua terra.

Un legame, quello con Caiazzo e con gli impasti, che affonda le radici nella storia famigliare e negli esempi del nonno Ciccio (Francesco, come lui) e del padre Stefano: lo racconta la bella foto in bianco e nero che lui espone orgogliosamente nel suo locale Pepe in Grani, che li ritrae al lavoro davanti al forno in cui cuocevano il pane. Tutto nasce infatti con il nonno: fornaio del paese, nel 1937 aveva poi aperto l’osteria che ha cambiato varie sedi fino a trovare quella definitiva guidata oggi dai nipoti, i fratelli di Franco, nella piazza all’ingresso del borgo con l’insegna Antica Osteria Pizzeria Pepe. Anche negli anni più duri della guerra, ricorda Franco, aveva continuato a panificare per i concittadini e lui ne ha seguito l’esempio tenendo acceso finché ha potuto il forno durante il lockdown, anche a locale chiuso, per fare pane per chi ne avesse bisogno.

Era stato invece Stefano, negli anni ’60, ad affiancare la pizzeria con grande successo. «Mio padre amava la pizza e i prodotti di questa terra, che spesso raccoglieva lui stesso, come funghi ed erbe. E la sera accoglieva al tavolo che aveva sistemato vicino al forno della piccola osteria – dove a pranzo io e i miei fratelli ci alternavamo a fargli compagnia – qualche amico con cui amava condividere quello che aveva trovato quel giorno, a parole e sulle pizze».

Franco e i fratelli, appunto, ne hanno seguito le orme gestendo insieme l’osteria-pizzeria. Lui era da sempre addetto al banco; un’arte appresa dal padre, a cominciare dal leggendario impasto a mano nelle madie di legno che lo ha fatto conoscere e apprezzare da pubblico e critica. Come pure l’altrettanto mitica ricetta del calzone con la scarola riccia, messa a crudo con acciughe, olive, capperi e olio extravergine: ormai un signature oggi proposto anche nella versione fritta. E di certo, ne ha ereditato la passione del raccontare il territorio attraverso le pizze. Anche se da giovane non era esattamente questa la sua aspirazione, né quella dei suoi, tanto che aveva preso il diploma ISEF e insegnava educazione fisica a scuola: «I nostri genitori non volevano che noi figli facessimo un lavoro così pieno di sacrifici e anche io avevo una sorta di rifiuto per questo mestiere. Così la mattina insegnavo e la sera mi toccava dare una mano in pizzeria. Poi, con la maturità, ho visto le cose in maniera diversa».

Con il tempo, infatti, la pizza è diventata la sua ragione di vita, dopo la famiglia: un processo lungo e impegnativo, perseguito con determinazione, fatto soprattutto con la prospettiva di lasciare una via tracciata per il futuro. Nel 2012, infatti, Franco ha deciso di separare la propria strada da quella dei fratelli Antonio e Massimiliano e dall’attività storica per seguire la sua idea di pizza, e di pizzeria: dal forte legame con la tradizione, ma capace di guardare avanti, in cerca di un miglioramento continuo che si è tradotto, nel corso degli anni, in pizze superlative e un’accoglienza “da ristorante” (più alcune camere per la notte), pur senza tradire del tutto l’animo popolare della pizza.

Lo testimoniano le lunghe file che si formano sugli scalini della viuzza di Caiazzo dove si trova il palazzetto seicentesco ristrutturato che ospita Pepe in Grani, passaggio obbligato (ora snellito da un sistema di prenotazioni) per conquistarsi un tavolo. Ma per chi cerca un’esperienza diversa, c’è sempre la possibilità di riservare un tavolo nel bel giardino, nella deliziosa Terrazza Belvedere affacciata sulla valle o nella Sala del Gusto al piano superiore, magari abbinando il percorso di degustazione delle pizze a quello nei calici. Oppure un posto o l’intera sala di Authentica, progetto inaugurato nel 2019 e inteso non solo come una nuova frontiera del modo di fruire la pizza, ma anche un omaggio al “tavolino” dove il padre accoglieva gli amici: una stanza con un forno e un tavolo a mezzaluna con otto posti, dove ci si siede non solo per mangiare le pizze sfornate da Franco ma soprattutto per ascoltare i suoi racconti e condividere sensazioni ed emozioni.

Eppure il suo percorso non è circolare, chiuso. Sa andare oltre, guardando alle nuove generazioni: tanto a quelle della famiglia – il figlio Stefano oggi lo affianca nella gestione del locale e nell’ideazione di nuovi condimenti, come quello della Cerasella (pizza fritta condita con fiordilatte, cioccolato fondente fuso e l’Elixir Falernum dell’Antica Distilleria Petrone) dedicata alla nonna – quanto a chi si avvicina adesso al mestiere. «Trasmettere i saperi per me ha un valore fondamentale ma oggi le cose sono diverse. La famiglia non rappresenta più un percorso obbligato ma bisogna dare spazio, stimoli, essere pronti al dialogo. Così, non ho mai detto ai miei figli cosa dovessero fare ma ho cercato di trasmettere loro le mie idee, oltre alle mie conoscenze, in modo che ci possa essere un’evoluzione successiva: solo in questo caso un progetto può dirsi vincente».

Anche per questo, Franco crede molto nella formazione: «Troppi giovani vivono ancora il mestiere del pizzaiolo, o del panificatore, come un ripiego. E troppo spesso la trasmissione delle competenze avviene solo da padre a figlio, in mancanza di un percorso di studi istituzionale. Perciò mi sto impegnando molto, anche dialogando con il Ministro Patuanelli, affinché nel programma degli istituti alberghieri oltre a sala e cucina venga inserito pure un corso per pizzaioli. Se mai succederà, lo considererò un successo anche un po’ mio».

Maggiori informazioni

Pepe in Grani
Vico S.Giovanni Battista, 3
Caiazzo (CE)
pepeingrani.it

foto di Tuukka Koski

Leggi anche: Storie di famiglia nel mondo della pizza

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