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Gino Sorbillo, questione di Dna

Gino Sorbillo è uno dei grandi protagonisti della pizza napoletana. Accanto a lui, da sempre, ci sono il padre Salvatore e il fratello Toto.

Gino Sorbillo è riuscito a portare il suo nome e l’orgoglio della pizza autenticamente napoletana ben oltre i confini partenopei, pur restando molto legato alla città e al “quartier generale” di via dei Tribunali. Lui in pizzeria c’è cresciuto, guardando il padre Salvatore che lavorava al banco e cercando di rubare con gli occhi il mestiere senza avere il permesso di mettere le mani in pasta, come prevedeva la lunga gavetta delle pizzerie napoletane. «Mio padre avrebbe preferito che facessi pratica in altri locali, con estranei, anziché con lui», racconta.

Poi, in seguito a un incidente di Salvatore, si è trovato da un giorno all’altro a fare sul serio, e da allora non ha mai smesso: «Quando ebbi la possibilità di toccare finalmente l’impasto e stenderlo, capii che quello poteva essere il mio futuro. Mio padre mi ha insegnato il rispetto della materia prima, il taglio giusto per ottimizzare il prodotto, la cura nella conservazione di impasti e ingredienti: avendo lavorato, da giovane, nel settore siderurgico vantava sempre le caratteristiche dell’acciaio e si faceva da solo le cassette che usava per l’impasto, per mantenere meglio la temperatura. Ogni cosa era ragionata al fine di ottenere una buona pizza, gli ingredienti non dovevano mai essere troppo aggressivi o stonati».

Viene dal padre, ad esempio, l’attenzione che Gino riserva ai salumi: «Mi diceva sempre di guadare bene come il salumiere pesasse i prodotti, che erano principalmente quelli della tradizione nostrana: il salame Napoli – senza peperoncino, chi vuole lo aggiunge a parte – o i cicoli. Ma era anche molto attento a come usarli: ancora oggi, il salame lo tagliamo in tre parti, longitudinalmente, e poi in tocchetti e non in rondelle. Ed evitiamo di metterlo in cottura, tranne che per la Diavola». Tra gli insegnamenti di Salvatore anche i “segreti” del forno, elemento fondamentale per una buona pizza tanto più se si usa quello a legna: «Lui prediligeva la cottura “a bocca di forno”, un po’ più lunga ma più accurata, che garantisce pizze più asciutte come volevano i suoi clienti più affezionati. E teneva il forno con grande cura, evitando di metterci qualunque cosa fosse diverso dalla pizza: mettere troppa legna, o fare movimenti bruschi, può rovinare la base o la canna fumaria. Ancora oggi è molto presente in pizzeria, supervisiona la creazione dell’impasto, controlla le temperature di conservazione degli ingredienti e lo stato della legna: se è bagnata, oltre a pesare e dunque costare di più, c’è il rischio che rovini il forno».

Insegnamenti preziosi che ne hanno guidato il percorso professionale, per quanto Gino ci abbia decisamente messo del suo grazie a un carattere eclettico e a un’indole irruenta e sperimentatrice. Nonostante, infatti, sia spesso visto come un paladino della tradizione – ed è stato fondamentale il suo impegno, insieme a quello di altri colleghi, per l’inserimento dell’arte del pizzaiuolo napoletano nel Patrimonio Unesco – non è certo un “passatista”: «Se un prodotto si può migliorare, come è stato per la Pizza Napoletana, e in generale per la pizza negli ultimi anni soprattutto per quanto riguarda norme igieniche e tecnologie, che ben venga. C’è un romanticismo inutile nel voler rimanere legati al passato a tutti i costi».

Lui, invece, ha guardato sempre avanti. Nel 1996, insieme a uno dei suoi fratelli minori – Antonio, detto Toto, che lo affianca in ogni sua avventura, mentre la sorella Anna Carolina oggi si occupa dell’accoglienza e della cassa – apre la sua pizzeria proprio accanto al minuscolo locale dove aveva iniziato a muovere i primi passi accanto al padre. Tanto Gino è sotto i riflettori, quanto Toto è schivo: «Lui è molto tecnico e molto preciso, come mio padre. Quello sempre in movimento sono io. Così come so che sono stato io a creare un “punto di rottura”, non solo in famiglia ma nella pizza napoletana in generale: da mio padre ho preso l’ordine e la meticolosità, ma fino a un certo punto. Ho deciso di esprimere me stesso e di aprirmi al pubblico anziché lavorare in maniera chiusa, “segreta”, come si faceva una volta. Ho capito che stavano cambiando i tempi e penso di aver dato il mio contributo a questo cambiamento».

Oggi la pizzeria Sorbillo è un locale moderno ma senza fronzoli – se non per il grande tavolo a ferro di cavallo della sala “scaramantica” –, accogliente per tutti e con una fila perenne per accaparrarsi un tavolo. La linea che guida lui e Toto è fare una buona pizza napoletana – quella “dei quartieri”, stesa piuttosto sottile fino a strabordare dal piatto e condita in modo generoso ma semplice, pensata per appagare il palato e lo stomaco come voleva la tradizione napoletana – alla portata di tutti. Ma Gino – oltre alla bravura e agli insegnamenti del padre – ha dalla sua una marcia in più: quella della comunicatività, che lo ha portato a essere tra i primissimi pizzaioli a diventare “personaggio”, utilizzando con grande spontaneità tanto i media classici (a cominciare dalla televisione, dove è spesso presente) quanto i social. Non lo fa però, per egocentrismo.

Oltre che a essere un’espressione della sua istintiva estroversione – cui fa da contraltare una grande riservatezza per quel che concerne la sua vita privata e la famiglia, composta dalla moglie Loredana e dai tre figli – diventa anche un modo per far “passare” messaggi importanti: dalla legalità alla condanna dei botti di Capodanno che fanno vittime tra i giovani del quartiere, dalle denunce politiche all’impegno per la città, le sue pizze diventano spesso “fogli” su cui scrivere missive con pomodoro e mozzarella. La fama mediatica e il crescente successo della sua pizza – che nel mentre si è affinata seguendo l’evoluzione del settore, trovando impasti più curati e ingredienti di qualità che spesso attingono alle Dop o ai Presidi Slow Food, ma senza mai tradirne lo spirito popolare – lo hanno portato poi ad aprire altri locali e altre insegne, tanto in città (come quella sul lungomare) quanto a Roma, Milano, New York, Miami e Tokyo, facendo conoscere ovunque l’autentica pizza napoletana ma anche la deliziosa e umile pizza fritta, cui ha dedicato un format apposito.

E a proposito di guardare al futuro, Gino ama circondarsi di ragazzi che dimostrino soprattutto di essere volenterosi e di buon cuore più che “fenomeni da palcoscenico”; per molti, lavorare con lui è stata un’occasione di riscatto in un quartiere difficile e, accanto ai più giovani, ci sono anche collaboratori storici che sono con lui da oltre vent’anni e sono ormai come persone di famiglia. Mentre per i figli, dice, a dispetto del Dna non ha aspettative professionali: «Vorrei solo che fossero liberi di scegliere cosa fare».

Maggiori informazioni

Gino Sorbillo
Napoli – Roma – Milano – Genova – Torino
New York – Miami – Tokyo

Leggi anche: Storie di famiglia nel mondo della pizza

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