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Antonia Klugmann

Identità Golose 2022, gli highlights del secondo giorno

Dai pascoli delle Dolomiti alle campagne siciliane, passando per i territori di confine l’elemento selvatico è al centro di una nuova cucina sensibile. Il viaggio è la condizione che unisce oriente e occidente, nord e sud del mondo, valorizzando il talento dei giovani chef in movimento.

«Non è un ritorno al passato ma uno scatenato desiderio di futuro». Come da tradizione ad aprire la seconda giornata di Identità Golose è Carlo Cracco, amico del Congresso dalla primissima edizione, affiancato sul palco da Luca Sacchi, fedele sous-chef al ristorante Cracco in Galleria da più di quindici anni: «‘Il futuro è oggi’ l’abbiamo pensato 20 anni fa, partendo da tante speranze che avevamo in mente. Luca è da noi dal 2007 ed è già figlio del cambiamento». Cuoco ma anche filantropo, lo chef si mostra impegnato sul fronte umanitario in Asia meridionale dove ha preso parte a una missione promossa dall’IFAD, il fondo internazionale per lo sviluppo dell’agricoltura. Un programma momentaneamente interrotto a causa della pandemia che lo chef  ha voluto ricordare – proprio in occasione della Giornata della Terra – come fondamentale per il sostegno che dà a piccoli agricoltori e comunità rurali in quelle zone disagiate, travolte dal cambiamento climatico.

Di biodiversità e virtuose (apparenti) contraddizioni geomorfologiche è la Calabria di Antonio Biafora, giovane chef patron di Hyle, a 1250 metri sul livello del mare dove, a buon diritto, si può parlare di cucina di montagna. Qui il tempo non è scandito dalle stagioni ma dalle conserve, quelle di pomodori, di melanzane, di ciliegie che per aprirle bisogna aspettare qualche mese. È il tempo della pazienza che è servita a Biafora per stagionare il lardo di pecora che ha trovato nuova vita come condimento del suo spaghetto. È il tempo della ricerca, che ha permesso allo chef con l’ausilio dell’Università di Cosenza di capire come intenerire la tenacia muscolare della carne iniettando del cloruro di calcio per stimolare gli enzimi dormienti nel cuore di vitello, mantenendo comunque l’integrità del gusto. È il tempo della terra, che chiede sensibilità all’uomo per saper cogliere nelle piccole cose la bellezza del luogo, come nelle patate della Sila Igp «con cui ho sempre avuto un cattivo rapporto, perché le trovavo un po’ banali», riscoprendo invece la loro versatilità in un dolce. Un bocciolo a forma di rosa che accoglie anche la limetta calabrese, agrume autoctono e incrocio tra limone, cedro e bergamotto, da accompagnare a uno shottino di mandorla locale da bere freddo (sì, perché non tutti sanno che la punta d’Italia è altresì virtuosa per la produzione di frutta secca).

Dall’Appennino calabrese alle Dolomiti bellunesi “Un passo alla volta” non è solo il mantra degli appassionati di montagna, concentrati sulle salite che li conducono alle vette più impervie, ma anche il nome del miscelato presentato durante la prima masterclass di Identità Cocktail. Il bartender Domenico Carella di Carico, Milano, e Riccardo Gaspari del Sanbrite di Cortina raccontano la genesi di un drink che profuma di alture, pascoli e malghe accoglienti. Protagonista il Pratum — amaro biologico di Bonaventura Maschio, con aromi balsamici, appunto, di prati appena falciati — lavorato in fat washing insieme al celebre burro prodotto dallo chef ampezzano. Ad alleggerire la base alcolica provvede una soda fait maison a base di ananas fermentata e infuso di cera d’api, misurata per completare un abbinamento con un carpaccio di vacca affumicato, maionese al levistico, scalogno sottaceto e brodo di trota. Dal bicchiere alla tavola, l’umore è quello di una cucina rigenerativa, circolare, ben radicata nel territorio e improntata al zero waste.

Sconfinando di regione in direzione nord-est fanno eco le parole di Antonia Klugmann. «Credo fortemente in una cucina in cui l’ego del cuoco non prevarichi mai il rispetto per l’ambiente». Si apre così l’intervento della chef, e stabilisce il tono di una lezione incentrata sul racconto delle ricette, perché «è solo per mezzo della condivisione delle pratiche e del pensiero alla base dei piatti che i cuochi — secondo la chef dell’Argine a Vencò — possono contribuire a tracciare nuove strade». Occhi puntati, dunque, sui Cannelloni alla ricotta ed erbe di campo, in cui una sfoglia traslucida a base di albumi (funzionale per bilanciare il sovra-consumo di tuorli) accoglie una glassa di ortica, menta e lamiaria, legata con i soli amidi della pasta. La lista degli ingredienti, breve e concisa, cede il passo ai vegetali spontanei, veri protagonisti dei piatti che Klugmann concepisce con passione dai tempi di Venissa. Il suo si conferma un operare basato sulla sensibilità più che sulla tecnica, che valorizza quelle erbe selvatiche «che crescono in abbondanza nei nostri boschi e campagne, dal valore di mercato praticamente nullo, ma dalla personalità gustativa sorprendente».

In occasione dell’Earth Day, è al generoso ecosistema siciliano — umano e naturale — che si rivolge Corrado Assenza. «Dobbiamo badare prima di tutto alle persone, altrimenti è impossibile prendersi cura del pianeta. Questo è il luogo in cui coabitiamo con gli altri esseri, viventi e non viventi; da qui dobbiamo trarre ciò che ci permette di essere liberi, lieti, gioiosi e costruire quello che sarà il futuro». Dai bergamotti calabresi salvati dall’oblio ai prodotti che un’acetaia di Vignola sviluppa sartorialmente per le sue ricette, Assenza intesse relazioni, getta ponti tra settentrione e meridione e porta avanti un’idea di pasticceria che non somiglia a nessun’altra. Al suo Caffè Sicilia, a Noto, continua a fare scuola con la ricerca sulla componente dolce dei vegetali, dosata in preparazioni ideali per l’aperitivo. Carote e fave sono le materie prime che trasforma in piccole e gustose tapas: le prime esaltate dalle note lattiche del finocchietto selvatico e sferzate da limone candito, curry, aceto giovane e miele di fiori d’arancio. Le seconde, proposte in abbinamento con origano secco, cipollotto, bergamotto, cagliata e una spruzzata di London Dry Gin, armonizzano il passaggio dalla vetrina dei dessert al bancone dell’aperitivo.

Una pizza che non c’era (almeno fino a tre giorni fa) e d’ispirazione green è il futuro di Franco Pepe, pizzaiolo casertano che non ha nulla da invidiare ai celebrity chef.  La novità sul menu è Il tempo che germoglia che trova nelle erbe spontanee e nella misticanza la speranza di un domani in cui si possano raccogliere i frutti del proprio lavoro. «Spero che un giorno il pizzaiolo possa intraprendere un percorso gratuito, riconosciuto e istituzionale per diventare professionista». Per i dieci anni (il prossimo autunno) di Pepe in Grani a Caiazzo, comune campano con poco più di 5mila abitanti, e ormai meta di pellegrinaggio per pizzalover, il maestro riprende la sua Pinsa conciata del ‘500 nata nel 2012 che celebra il conciato romano, uno dei più antichi formaggi italiani stagionato in vasi di terracotta, per ricordare il tempo in cui pomodoro e mozzarella di bufala non si trovavano; un morso attualizzato nel 2012 con l’aggiunta di fichi freschi raccolti a mano (o in confettura, a seconda della stagione), manipolando la tradizione con rispetto e memoria. «Se non siamo consapevoli del presente, non possiamo programmare un nuovo futuro: la mia forza sta nell’avere creato una comunità di lavoro, utilizzando due elementi importanti, il territorio e il centro storico. Da 7 ragazzi che eravamo siamo passati a 43 unità lavorative e riusciamo a portare più di 500 persone al giorno in quel vicoletto, generando un’economia circolare». 

La ristorazione di provincia torna a farsi carico di responsabilità verso il futuro con i fratelli gemelli Billi: Alessandro (cucina) e Filippo (sala) di Osteria Billis a Tortona, con una brillante carriera tra estero e Italia, hanno sconvolto le certezze dei loro 30mila concittadini deformando il concetto di fine dining in fun dining, sotto il segno di un convivio alleggerito dalle sovrastrutture gourmet, che anche a loro andavano strette, e in cui, ancora una volta, il vegetale si prende il centro del piatto. Nella nuova linea di Bad Veg che partirà da maggio la carne si fa da parte (o si fa fondo bruno) e lascia spazio a quel Riso Rosto nato quasi per un problema di cucina: «avevamo una partita scoperta di primi, senza un risotto. Allora ci siamo chiesti “perché non partiamo da un concetto di arrosto”?».

Non deve sorprendere, quindi, se la carne si fa accessoria, rivestendo della verza arrosto con lenticchie, come nel piatto di Domingo Schingaro di Borgo Egnazia, resort pugliese da sogno, dove la cucina dell’orto trova forza anche in una tartare di bieta, tanto trasformata da sembrare carne. Gli alimenti vegetali diventano una scelta consapevole che guarda a un futuro green e d’autore con Garden Gastronomy, progetto varato da Veuve Clicquot e di cui lo chef del Due Camini è l’unico portavoce italiano.

La compagine dei talenti emergenti porta in scena racconti di migrazioni tra Oriente e Occidente, percorsi che attraversano le latitudini e ricompongono le distanze tra tradizioni e costumi. Il diario di viaggio si apre con le parole d’ordine della cucina di Tèrra Restaurant, Copenaghen: minimalistasostenibile e creativa. Nel tragitto da Roma alla capitale danese, lo chef Valerio Serino e la maître Lucia De Luca hanno portato con sé la memoria dei profumi e dei gusti di casa. Le materie prime invece no, scegliendo di confrontarsi ogni giorno con il mercato locale scandinavo, meno generoso ma non meno stimolante. La coppia presenta uno snack a base di Sedano rapa e cozze, ideato per sfidare le potenzialità di un ingrediente di solito relegato a base o contorno, che qui è sfruttato in doppia consistenza. Una parte fritta e asciugata in forno, un’altra cruda e marinata, utilizzate come un taco per racchiudere una farcitura iodata che guarda ai mari del nord. Ciò che resta della buccia e degli scarti viene essiccato e trasformato in farina, per i Belgian waffle serviti più avanti nel menu degustazione. Perché servire lo stesso ingrediente in due diverse portate è una concessione più che lecita, se in ballo c’è la circolarità della cucina e la lotta allo spreco. Nel locale, premiato con una stella verde Michelin, si applica di fatto una rigorosa filosofia “zero spreco assoluto”: scegliere un ingrediente (meglio se vegetale), manipolarlo in ogni sua parte e impiegarlo per intero.

È partita invece dalla Cina per approdare a Firenze la giovane Xin Ge Liu. Classe 1993, agli studi di moda antepone presto la passione per la cucina, dimostrando come il senso estetico trascenda e riunisca le discipline creative. Al suo Il Gusto Dim Sum — il piccolo locale aperto nel 2020 con bancone a vista e un unico chef’s table che conta nove posti — serve un menu nel quale i canoni della grande tradizione culinaria cinese accolgono ingredienti occidentali. Ancora prima che da ricette codificate, le sue preparazioni derivano da visioni, moodboard e studi cromatici, sviluppati passo dopo passo in un progetto immaginifico ma ben controllato. Sono nati così piatti già iconici come il Pollo shibari, il Glu glu bao e il Petit Voyage; quest’ultimo un progetto gastronomico che gioca a restituire le sensazioni di una passeggiata sotto la pioggia francese. La raffinata pasta cristallo orientale (così chiamata per la sua elegante trasparenza) si tinge col viola dell’acqua di cavolo e racchiude un ripieno di funghi shiitake, orecchie di Buddha, champignon e tartufo. Alla base, una salsa alla maniera francese con senape di Digione, miele e latte di soia a sostituire la panna.

«In India esistono 100mila cuochi; io non volevo accontentarmi di essere il numero 100mila e uno». È così che il 35enne Himanshu Saini ha deciso di spostarsi da Delhi —centro verso il quale confluiscono le numerose tradizioni culinarie del subcontinente —a Dubai. Nel capoluogo emiratino lo chef ha trovato lo spazio che merita, brillando alla guida del nuovo Trèsind Studio. Il locale-bomboniera, fratello minore dell’omonimo Trèsind, si trova sull’iconica isola artificiale The Palm e propone una cucina indiana dai gusti profondi e dalle radici solide. «Per me, per ritrovare il futuro è necessario guardare alla storia. Da dove vengo io diciamo che se non si impara dalla storia, si diventa storia a nostra volta; e per me non c’è nulla di più vero». Saini attinge al nutrito calderone di ingredienti, preparazioni e tradizioni regionali che fanno della sua nazione uno scrigno di biodiversità gastronomica e ne mette in mostra una versione rispettosa. Guarda al vegetarianismo e ai principi dell’ayurveda come a risposte di valore contemporaneo e rinuncia programmaticamente all’utilizzo di tecniche che prevedono l’impiego di macchinari complessi. Una “decrescita felice”, quella della sua pratica, che potrebbe tracciare una traiettoria alternativa verso il domani.

Se semanticamente il viaggio indica uno spostamento da un preciso luogo di partenza a un altrettanto preciso punto di arrivo, di nostos, ovvero il corrispondente greco di “viaggio” da cui origina la parola “nostalgia”, ha il sapore la storia di Fatih Turk. Si può affermare che il successo della nouvelle vague della cucina turca passi da Istanbul, dove nella parte più contemporanea della città alla fine del 2019 ha aperto Turk. Dopo aver strutturato la sua carriera all’estero nell’alta ristorazione, dal Noma a Copenaghen al Ryugin a Tokyo, si è convinto a tornare in patria dopo aver causato la commozione di un connazionale all’assaggio di un suo piatto medio orientale. Un mix di contemporaneità dove ogni elemento è sartoriale, dalle stoviglie forgiate da artigiani locali ai tavoli in legno lasciati ‘nudi’ secondo i canoni nordeuropei di una mise en place in cui l’etichetta è sparita da tempo. Il cibo, però, è turco e realizzato con prodotti turchi con upgrade in fatto di tecnica e sapori che non fa fatica a convincere anche i conservatori. Dalla tarhana – preparazione disidratata in genere costituito da una miscela fermentata di grano e yogurt – che trova sostanza in un fungo, ai mussels dolma, o cozze ripiene di riso, uno degli snack preferiti dello street food di Istanbul, che Turk serve stratificati come guscio edibile al gusto di nero di seppia e dentro aglio, cipolla, uvetta, riso, cozze fresche e maionese alla birra.

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Foto di copertina: Brambilla Serrani

Leggi anche: Identità Golose 2022: gli highlights del primo giorno.

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