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Campo di Luppolo

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Il cambiamento climatico sta scuotendo il mondo del luppolo

Uno degli ingrediente irrinunciabili nel processo di produzione birraria è a rischio. Se l’Italia cerca di limitare i danni, in Germania le stagioni più calde e secche minacciano una varietà autoctona, lo Spalter.

Tra le figure più importanti della millenaria storia della birra c’è senza dubbio Santa Ildegarda di Bingen, monaca benedettina, proclamata Dottore della Chiesa nel 2012 da Papa Ratzinger. Scrittrice, musicista, filosofa, profetessa e creatrice di una delle prime lingue artificiali, Ildegarda è un personaggio poliedrico ed estremamente complesso. Ma cosa c’entra questa mistica visionaria, vissuta nel XII secolo, con la bevanda alcolica più bevuta al mondo? Tra le tante vocazioni della Santa c’era pure quella per l’erboristeria e, nella sua opera enciclopedica Il libro delle creature, non mancò di fornire informazioni preziose sul luppolo: “Grazie alla sua amarezza blocca la putrefazione di certe bevande al quale lo si aggiunge, al punto che possano conservarsi molto più a lungo”.

Il suo contributo è stato decisivo per far sì che le infiorescenze femminili dell’Humulus Lupulus diventassero un ingrediente irrinunciabile nel processo di produzione birraria, soppiantando il precedente mix di erbe chiamato Gruyt. Compiendo un salto di diversi secoli, di recente il luppolo, con le sue nuove varietà dall’impatto aromatico particolarmente caratterizzante, ha contribuito a un’altra grande rivoluzione, quella della birra artigianale.

Al pari di altre colture però, anche quella del luppolo si trova ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici, che indistintamente colpiscono sia territori vocati storicamente alla sua produzione, quanto le aree in cui sono presenti nuovi impianti. Come riportato in un recente articolo del New York Times, una situazione particolarmente complicata è quella di Spalt, paesino bavarese di circa 5mila abitanti, famoso per la produzione di una varietà autoctona, chiamata appunto Spalter, che nei secoli si è sviluppata in un clima fresco e umido. Le stagioni sempre più calde e secche degli ultimi anni stanno minacciando i raccolti e, con essi, delle tradizioni secolari. Il rischio è infatti che i coltivatori concedano sempre più spazio a nuove cultivar, che tuttavia non incontrano le esigenze di birrai poco intenzionati ad adattare le loro ricette, soprattutto per stili classici (Pilsner e Kölsch in primis) in cui lo Spalter sembra insostituibile. Non solo. C’è anche il problema dell’aumento dei costi per il sempre più frequente ricorso agli impianti di irrigazione.

Del tema dell’impatto dei cambiamenti climatici in ambito brassicolo, ne ha scritto a più riprese Andrea Turco sul web magazine di settore “Cronache di Birra”. Oltre ai report periodici con dati poco confortanti (in America quello del 2022 è stato il peggior raccolto degli ultimi 24 anni), una delle notizie più curiose sul tema riguarda l’iniziativa di New Belgium, birrificio statunitense che ha realizzato una birra volutamente “cattiva”.  Con la Torched Earth Ale, si è voluto mostrare ai consumatori un’ipotetica birra del futuro, fatta con materie prime scadenti, come quelle che si potrebbero trovare in giro da qui a qualche anno. Nello specifico, al posto dei luppoli sono stati impiegati fiori di tarassaco e un estratto di luppolo di qualità non eccellente.

Ma qual è la situazione in Italia? Sebbene con nomi diversi a seconda delle zone, le varietà selvatiche sono presenti un po’ in tutte le regioni della Penisola, spesso utilizzate anche in ricette tradizionali: il risotto ai bruscandoli, in Veneto, ne è un esempio. Le condizioni pedoclimatiche nel nostro paese non sono proibitive, dunque, ma la mancanza di una tradizione brassicola nazionale ha fatto sì che non si creassero interessi imprenditoriali intorno alla coltivazione del luppolo. Le cose però sono drasticamente cambiate negli ultimi anni, su impulso, manco a dirlo, della domanda proveniente dai birrifici artigianali. Il fatto che i luppoleti in Italia siano stati impiantati di recente è un vantaggio rispetto a situazioni come quella dello Spalt, poiché la selezione varietale è stata effettuata anche in base alle mutate condizioni climatiche e ambientali. Le insidie però non mancano: «Per i produttori di luppolo italiani i problemi legati ai cambiamenti del clima non riguardano solo il riscaldamento globale – afferma Carlo Schizzerotto, direttore del Consorzio Birra Italiana –. Dopotutto si tratta di una cannabinacea, che quindi ama il sole». Piuttosto è la questione idrica a preoccupare. «Il luppolo ha bisogno anche di tanta acqua. E, a tal proposito, la problematica più allarmante riguarda la concentrazione delle precipitazioni in pochi avvenimenti atmosferici estremi». E se il luppolo non sta bene, un altro ingrediente base della birra non sta meglio: «In realtà il luppolo, almeno in Italia, non è messo malissimo – dice Schizzerotto –. È la situazione dell’orzo a essere davvero drammatica».

Le operazioni di raccolto di quest’anno in Italia si sono appena concluse ed è certamente presto per tirare le somme, ma le prime sensazioni non sono totalmente positive. Katya Carbone, “primo ricercatore” CREA, spiega: «Rispetto all’anno scorso, a giudicare dalle osservazioni preliminari in campo compiute presso alcuni produttori italiani, si rilevano alcune criticità sul raccolto 2023, legate principalmente alle significative escursioni termiche che si sono registrate nel corso della stagione primaverile-estiva. L’alternarsi di temperature oltre i 40° e piogge torrenziali, in alcuni areali italiani, sembra aver inciso sulle dimensioni dei coni di luppolo e sui relativi quantitativi alla raccolta. Sono in corso le analisi per valutare se ci siano stati impatti significativi sui contenuti di luppolina, acidi amari e soprattutto aromi». Al di là della scelta di cultivar più resistenti, come è possibile cercare di limitare i danni degli agenti atmosferici estremi? «I fattori da considerare sono tanti. Di base ci vuole una grande conoscenza della pianta e delle sue esigenze. Così come è fondamentale conoscere il proprio terreno di coltivazione, al fine di poter applicare tecniche agronomiche di supporto, principalmente per evitare ristagni, che a una rizomatosa non fanno bene. Poi, alcune accortezze aiutano sicuramente, come dotarsi ad esempio di una sensoristica a terra per avere riscontri sulle esigenze della coltura. In definitiva, un’appropriata gestione agrotecnica è uno strumento essenziale per ottenere livelli produttivi soddisfacenti, soprattutto per una coltura nuova e in nuove aree di coltivazione».

Tra le realtà produttive italiane più attente alle tematiche ambientali c’è sicuramente Luppolo Made in Italy, una rete di imprese umbre, presieduta da Stefano Fancelli, il quale ha ben chiaro il da farsi: «I danni sono sempre più gravi ed evidenti a ogni stagione. La nostra filiera del luppolo nasce con un progetto di cooperazione per l’innovazione, sostenuto dai fondi regionali ed europei, che si è posto l’obiettivo della piena sostenibilità economica, sociale ma soprattutto ambientale delle produzioni, in linea con il Green New Deal e l’approccio Farm to fork. In concreto questo significa prendere atto che i cambiamenti climatici hanno modificato in maniera per ora irreversibile le condizioni di produzione di luppolo, in tutti i paesi europei, quelli storici e quelli nuovi come l’Italia, e che ogni impresa produttrice è chiamata a fare la sua parte». Un approccio che, secondo Fancelli, deve tradursi quindi in azioni concrete: «Orientando i nostri investimenti per perfezionare la collocazione degli impianti, scegliendo il pedoclima ideale e la logistica più efficiente, risparmiando acqua e riducendo gli input per la profilassi e gli interventi fitosanitari, puntando all’integrazione con l’agrovoltaico, lavorando sul miglioramento genetico e nuove varietà più adatte alle mutate condizioni climatiche e investendo sulla produzione biologica».

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Foto di apertura: Campo di luppolo vicino al Lago di Costanza, Germania (Shutterstock.com)

 

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