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La carica dei formaggi

Davanti ai più scenografici "chariot à fromage", opporre resistenza è inutile

carrelli dei formaggi

L’ALTA CUCINA FRANCESE richiede una tempra notevole. Dopo una dozzina di piatti elaborati si rischia di non farcela più. Coraggio: l’occasione di riprendersi arriva appena prima del dolce. Ed è il genuino prodotto delle fattorie di tutta la nazione, dalle Alpi ai Pirenei: il formaggio.

In contraddizione con le sue umili origini, il formaggio entra in scena come il Re Sole, sistemato su un carrello rea-lizzato appositamente per lui che i francesi chiamano “le chariot à fromage”: di acciaio satinato, dalla forma avveniristica e provvisto di ruote da carrozzina baby al ristorante parigino di Alain Ducasse, Plaza Athénée; un baule da prestigiatore al Le Cinq, nel Four Seasons della capitale francese, di cui il cameriere apre la parte frontale e quella superiore, svelando le pareti interne a specchio che riflettono i magici fermentati, in un’illusione di fromage infini.

Nonostante competenti osservatori come Lucas Cohen-Aubier, ex Maître D’Hôtel del ristorante Guy Savoy di Parigi, affermino che i francesi oggi non amino più il formaggio, non preoccupatevi: voi in Francia siete dei visitatori, non c’è motivo per cui dobbiate comportarvi come i locali e rinunciare a gustare i loro capolavori a base di latte. E comunque, una volta che avrete posato gli occhi su un madido e rosato Époisses de Bourgogne, un disco di formaggio vaccino che viene lavato con sale e Marc (un distillato simile alla grappa), o su un eburneo cono cremoso di Brousse du Rove, un fresco e dolce formaggio di capra della Provenza; una volta che avrete percepito una tale varietà di profumi, una “sinfonia” di odori che Émile Zola ha classi cato così: “selvatico”, “ammuffito”, “flautato”, “squillante”, “zuccherino”, “umido”, “predominante” — beh, a meno che non siate dotati di un ritegno tutto parigino, resistere vi sarà impossibile.

Anche i più incalliti rivoluzionari cedono a questo fascino. Il celebre attivista Abbie Hoffman finse di essere uno scrittore di Playboy e assaltò il «fenomenale carrello dei formaggi» di Le Bistro d’Hubert, di cui oggi, ahimé, Montparnasse è orfana da più di dieci anni. Il carrello vi attende. Il cameriere può aiutarvi a scegliere alcuni assaggi dalle 10 alle 20 selezioni di stagione. Molte sono prodotte con lait cru (latte crudo, non pastorizzato) che, per quanto riguarda il sapore, non teme confronti. Freschi o stagionati; a base di latte di capra, di pecora, o di vacca; con venature arancioni o blu cobalto; puzzolenti, erbacei o al profumo di frutta secca — le oltre mille varietà di formaggi francesi hanno così tanto carattere da essere servite quasi sempre così come sono, se si eccettua l’accompagnamento di un buon pane e, ad esempio, una striscia di miele delle arnie che prosperano sul tetto del Guy Savoy, o frutta secca e un bicchiere di Sauternes, come capita da Epicure, all’hotel Bristol.

I turisti americani potrebbero comportarsi come la commensale dell’autore nel libro di memorie di Peter Gethers, “Il gatto che andò a Parigi”: «Janis, come al solito, fu impeccabile fino all’arrivo del carrello dei formaggi, quando perse ogni ritegno, continuando a gridare “Ancora!Ancora! Ancora” al cameriere». Ma chi può darle torto? Certo, c’è del delizioso genio nelle creazioni degli chef. Per un piacere puro, semplice e genuino, però, il formaggio non ha rivali.

foto di Benjamin Bouchet