Una volta bastavano panna e granella. O al massimo quella colata di cioccolato che si solidificava in pochissimi secondi. Oggi, se in gelateria chiedete «che topping avete?», potreste ritrovarvi con un idrolato di foglie d’ulivo nebulizzato al momento, un croccante realizzato con pane raffermo rigenerato o persino una copertura al peperone crusco.
Dimenticate, insomma, l’idea del topping come accessorio. Per molti gelatieri la variegatura è diventata una questione di identità, estetica e persino di etica. Non solo per ciò che si mette sopra, ma per come quella guarnizione costruisce – letteralmente – il gusto e la consistenza. È una nuova grammatica sensoriale, dove la decorazione diventa struttura e il gelato entra in territori prima riservati alla cucina.
A Torino, ad esempio, Alberto Marchetti gioca con un classico del territorio: i nocciolini di Chivasso (noasèt, in dialetto). Minuscoli, friabili, a base di meringa e Tonda gentile, nelle gelaterie del maestro piemontese (oltre alla città della Mole ci sono sedi a Cocconato, Milano e Alassio) questi amaretti alla nocciola sono diventati l’aggiunta artigianale per eccellenza, abbinati tanto al fior di latte quanto allo Zabà, il suo mitico zabaione in vasetto. «Stanno bene ovunque», dice lui, e i suoi banconisti confermano. Ma la semplicità è solo apparente: i nocciolini oggi sono disponibili anche in versioni all’arancia candita e caffè, a dimostrazione che la tradizione può evolvere con leggerezza.
Chi ha messo in discussione l’intero concetto di farcitura è Stefano Ferrara, la mente dietro al progetto romano di Formaessenza. «Non è solo sapore: è consistenza, equilibrio, masticazione», racconta. Così, nel suo I-Conico si alternano salsa, cremoso, base e croccante, come in un piatto pensato al ristorante. I suoi variegati contengono fino al 70% di frutta fresca, con cottura sottovuoto per preservarne aroma e struttura. «Il senso del gusto viene in un certo senso superato: è anche tatto, masticazione, attesa, scioglimento».
Innovazione e olfatto: i nuovi orizzonti dei topping
Una coppia punta, invece, sull’olfatto. Luigi Buonansegna ed Erika Quattrini – lui in Basilicata, lei nelle Marche – uniscono approccio artigianale, impatto visivo e un’affinità creativa inusuale. In particolare, Luigi, con Officine del Gusto a Pignola, in provincia di Potenza, ha introdotto gli idrolati aromatici come accessorio olfattivo da banco. Distillati in alambicco, possono essere spruzzati sul gelato al momento del servizio: «Rose, limone, foglie d’ulivo. Odori forti all’inizio ma che svaniscono presto. Non modificano il sapore, ma lo amplificano. Il cliente arriva al gusto passando per l’olfatto». Erika, con i due laboratori a Falconara e Sirolo, lavora sull’inclusione e la temperatura. Le sue «coperture croccanti», preparate con burro di cacao, zucchero e vegetali essiccati, sono a tutti gli effetti delle variegature. «Le chiamiamo cioccolati, ma sono di basilico, peperone crusco e lampone».

Nel frattempo, la cultura del recupero è entrata di prepotenza anche nel mondo del gelato. Valerio Esposito, da Tonka ad Aprilia, utilizza ingredienti «esausti» – come l’orzo delle birre artigianali o il pane raffermo – trasformandoli in crumble e croccanti che fanno da base (o da finale) a un gusto. E se a Senigallia Paolo Brunelli esplora la gestualità con il suo progetto Pausa, ispirato alla grattugiata di Parmigiano Reggiano o tartufo, come fosse un insaporitore, a Milano, da Martesana, il topping diventa «cuore del dolce». Come? Panettone in pezzi, torta in cubetti, crema alla vaniglia pura: ogni elemento arriva direttamente dal repertorio dei signature della casa, trasportato però in coppetta. Anche Alessandro Giuffrè, a Roma, porta avanti una visione di variegatura che sia prima di tutto gusto, non decorazione. «In carapina, il topping ha sempre avuto una funzione strutturale», racconta. Ma nei nuovi format in arrivo all’Eur e a Prati, l’idea è quella di spingere sulla personalizzazione. Elementi croccanti, salati, fatti artigianalmente: cereali, dadini di brownie, frutta secca e salse naturali alla frutta o al caramello diventano ingredienti da combinare in un piccolo bicchiere da passeggio. «Vogliamo creare esperienze giocose, vicine alla pasticceria e ai gusti delle nuove generazioni», spiega.
Il gelato oltre il dessert: fine dining e identità
Il gelato, insomma, ha superato i suoi stessi confini. Non sorprende, quindi, che lo chef Salvatore Sodano lo presenti a tavola come fine pasto. Da Local, una stella Michelin a Venezia, il suo carrello dei gelati sostituisce la piccola pasticceria: due soli gusti, crema alla vaniglia e sorbetto al cioccolato fondente, volutamente semplici, scelti con piglio quasi nostalgico. A supporto, un cono home-made, con piccole palline sotto zero già adagiate alla base.

Poi arriva il coinvolgimento del commensale: «Abbiamo introdotto una linea di topping tra cui scegliere e ogni cliente compone in questo modo il proprio gelato. Ci sono praline al cioccolato, lamponi e yogurt liofilizzati, confettini colorati, quelli che in Campania si utilizzano sopra gli struffoli, caramello salato e biscottini. In questo periodo, dalla mia regione faccio arrivare la pellecchiella del Vesuvio, l’albicocca del Monte Somma». Una coccola finale che, in realtà, è un manifesto: il gelato non è solo dolce, ma linguaggio, e anche nel contesto di un fine dining può ritrovare materia, emozione, identità. Perché oggi, in fondo, la variegatura non è più solo una guarnizione: è una firma.