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Le vigne Monleale (AL), Derthona

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Le radici antiche del Derthona

L’identità peculiare del Timorasso, storico vitigno a bacca bianca dei Colli Tortonesi, è il principe di un rinascimento che affonda le radici nella storia e vuole raccontare la sua evoluzione.

Il racconto di un vino muove dalla terra. Nonostante uno storytelling brioso abbia spinto l’esperienza enoica verso un approccio modaiolo e talvolta astratto dal contenuto del calice, la vigna affonda radici profonde in quello che i francesi chiamano terroir e da quel sottosuolo carico di memorie deriva un’identità peculiare espressa nelle uve e poi, appunto, nel vino. È dunque dalla terra che nasce il profilo peculiare del Timorasso, che fino a qualche anno fa era la perla poco conosciuta da sfoderare a una cena tra eno-appassionati e oggi è sulla bocca di tutti. Questo vino è infatti ormai il principe di un rinascimento che non sembra rallentare il proprio passo verso “magnifiche sorti e progressive”.

Il piano tortoniano

Eppure, per raccontare la forza del Timorasso che nasce sui Colli Tortonesi – nella parte sud-orientale della provincia di Alessandria, in Piemonte – si devono inseguire le contorsioni delle radici attraverso le ere geologiche. Sì, perché è guardando allo stadio stratigrafico più elevato del Miocene medio (che si colloca tra 11,6 e 7,2 milioni di anni fa) che si comprende l’intima complessità di un vitigno che un pugno di vignaioli ha salvato dall’estinzione in meno di quarant’anni costellati di lavoro, tenacia e un po’ di follia. Il Timorasso trae dunque identità da terreni geologicamente così particolari da avere uno stratotipo specifico – il Tortonese appunto. Perché in quei 4 milioni di anni l’evoluzione della superficie terrestre e il ritiro delle acque ha portato a emergere le marne azzurre marine (conosciute come marne di Sant’Agata) che oggi lasciano un graffio peculiare nel vino dei Colli Tortonesi. Se infatti l’area è caratterizzata da asprezze e dislivelli, con vigneti disseminati tra aree boschive e colture di cereali, i terreni hanno una conformazione geologica simile a quella delle aree più vocate al mondo. E in presenza di una ricchezza di zolfo e litio fuori dal normale, il Timorasso – che geneticamente richiama il Sauvignon Blanc e in minima parte Nebbiolo e Vermentino – arriva vicino ai Riesling per mineralità e sentori idrocarburici.

Un Rinascimento di respiro internazionale

Le caratteristiche di questo vino, complesso e profondo, hanno spinto il territorio e la denominazione. «Il momento è molto positivo, eppure siamo solo all’inizio», ammette con soddisfazione il presidente del Consorzio Colli Tortonesi Gian Paolo Repetto. In fin dei conti la storia recente (e consapevole) del Timorasso è lunga solo 35 anni, «eppure possiamo dire di aver raggiunto una riconoscibilità importante – aggiunge – perché siamo presenti, pur con numeri piccoli, su tutti i mercati del vino di qualità. E abbiamo colonizzato solo la fascia alta o altissima». E proprio la limitata disponibilità di bottiglie ha spinto un posizionamento inevitabilmente di eccellenza. Sostenute dalle performance del Timorasso, le aziende vitivinicole dei Colli Tortonesi si stanno strutturando «ma senza snaturarsi – chiosa il presidente Repetto – perché rimaniamo una delle aree più strettamente agricole in Italia. E infatti molte realtà hanno colture integrate, anche se negli ultimi anni hanno avviato progetti di sviluppo per incrementare la produzione di vini di alto profilo e per garantire un’esperienza enoturistica di livello agli ospiti». L’attenzione conquistata su scala internazionale ha letteralmente trascinato il Rinascimento del Timorasso e «l’avvento di aziende strutturate, soprattutto dalle Langhe, ci ha permesso di aprire la strada su mercati complessi (come gli Stati Uniti) in maniera veloce», ammette Repetto.

La liaison con i vicini langaroli

Il terroir lega geologicamente i Colli Tortonesi all’area di Barolo e Barbaresco, in una comunanza che sta diventando un vero “gemellaggio” per il numero consistente di langaroli che investono nell’area più intrigante della provincia di Alessandria. Da Vietti a La Spinetta, da Voerzio Martini a Borgogno, da Vite Colte fino ad arrivare a Pio Cesare, ci sono brand solidi (e storici) che hanno giocato la carta del Derthona tra slancio appassionato e calcolo di business. Più di qualcuno confessa infatti di non aver avuto dubbi confrontando il costo per ettaro rispetto alla Langa. I produttori autoctoni non sembrano però soffrire alcuna sindrome di “colonizzazione”. Anzi, dal Consorzio raccontano di un’apertura piena alla collaborazione, con le aziende locali pronte a dare una mano per l’ingresso di nuovi alfieri del Derthona. Il presidente Repetto respinge però con un sorriso l’idea di una possibile “langhizzazione”, con il vigneto quasi monocoltura in un areale oggi dominato dalla biodiversità. «Il territorio dei Colli Tortonesi è enormemente più grande e si estende su 46 comuni – chiarisce – e ci sarà sempre più vuoto che pieno, anche quando andremo ad espandere gli impianti. Il vino è un’economia sostenibile in un contesto che ha molto spazio da utilizzare, senza che ci debba essere un’invasione». La parola chiave è dunque espansione controllata, mantenendo un paesaggio costellato di borghi e fattorie.

Dal rischio estinzione all’espansione

Parlare di Rinascimento non è improprio. Nel 2000, poco più di vent’anni fa, il Timorasso era un panda a rischio di estinzione con una superficie vitata di 3 ettari in tutto il comprensorio tortonese. È in quel momento che l’entusiasmo scapestrato e visionario di pochi vignaioli preme sull’acceleratore e cambia la storia (almeno enoica) di questo territorio. Se infatti nel 1987 meno di un ettaro era dedicato al Timorasso e ancora nel 2000 se ne contavano appena 3,5, la nouvelle vague l’ha portato oggi a quota 330 ettari (sul totale 1250 ettari vitati sui Colli Tortonesi), con un ritorno decisamente interessante sul valore delle uve e dell’imbottigliato, che attualmente si ferma a quota un milione. L’obiettivo è spingersi fino a tre milioni di bottiglie, ma dal Consorzio garantiscono l’attenzione a una crescita graduale e controllata. «Abbiamo regolato gli impianti – riferisce Gian Paolo Repetto – e con il nuovo disciplinare, che dovrebbe entrare in vigore entro pochi mesi, verrà introdotto l’obbligo della vinificazione in zona (al netto dei diritti acquisiti). Questo significa che chi sceglie di investire qui porterà ricchezza e una presenza effettiva sul territorio». Se infatti il Timorasso – che con il nuovo disciplinare, dalla vendemmia 2023, uscirà come sottozona Derthona – è diventato cool, non è da escludersi una corsa all’oro bianco del Piemonte. Questa zona sembra però avere gli anticorpi per non perdere la bussola, mantenendo la qualità. Sull’onda del successo, è vero però che il richiamo del mercato sembra in parte aver fatto dimenticare la necessità di tempo che accomuna il Timorasso ad altri due gioielli piemontesi come Nebbiolo e Gavi. «Il segreto è vinificare il Timorasso aspettandolo», rivela infatti Walter Massa, che negli anni 80 del Novecento fu pioniere e trascinatore di una riscoperta. È allora questa la sfida: non farsi prendere la mano, ma giocare con prudenza sullo scacchiere dei mercati.

Identità o zonazione?

Il Timorasso non è facile da coltivare e ha bisogno di particolari attenzioni in vigna. Dà il meglio lungo le sei valli – Ossona, Grue, Curone, Scrivia, Borbera, Spinti – che da nord a sud fanno da trama a questo territorio. Un’area molto vasta, caratterizzata da altitudini ed esposizioni differenti anche all’interno della stessa valle, con microclimi specifici. Questa natura polimorfa sembra richiamare alla prossima sfida, che non necessariamente arriva alla zonizzazione, ma che potrebbe spingersi a identificare le peculiarità di ogni area. D’altra parte, per dirla con le parole del presidente Repetto, «abbiamo la fortuna di piantare solo nei cru» e proprio per questo l’ipotesi più plausibile potrebbe essere utilizzare un sistema di classificazione per village. E allora si continua ad assaggiare e a studiare, per comprendere meglio un vino dal pedigree affascinante. Tutto questo sotto l’unica bandiera del Derthona, appellativo della città di Tortona ai tempi della presenza degli antichi romani, scelto per identificare la sottozona con l’obiettivo di unificare il territorio, il vino e il vitigno Timorasso, promuovendolo in etichetta non più come vitigno, ma in aderenza al territorio di provenienza.

Enoturismo, lavori in corso

Se l’obiettivo è uno sviluppo che protegga l’identità dell’area, la vocazione enoturistica può essere una chiave di volta. Oggi sono poche le aziende vitivinicole che dedicano energie e investimenti all’accoglienza di turisti del vino, ma nella zona non mancano alloggi sparsi nella campagna per immergersi tra le colline e scoprirne la natura. Senza contare la ristorazione che rappresenta un’attrazione forte, soprattutto nelle espressioni più vicine alla cucina di territorio: dalle eccellenze riconosciute, come l’istrionica Anna Ghisolfi, che in cucina costruisce un gioco di origami, e il ristorante Cavallino che valorizza un’ottima materia prima, allo storicissimo Bar Ristorante Corona, un punto di riferimento dal 1702 da non mancare per chi vuole assaporare l’anima tortonese. Intrigante anche la ricerca gastronomica dei gemelli Billi alla Billis Osteria, dove la spinta evoluta nel piatto si sposa con uno spazio d’antan. Intanto le cantine stanno investendo sull’ospitalità, soprattutto con spazi dedicati alla degustazione. Meritano una sosta La Colombera e Daniele Ricci (il “naturale” tortonese), entrambe con una proposta culinaria in accompagnamento, e per gli spazi attrezzati Cascina Giambolino, Luigi Boveri, Giacomo Boveri, Giovanni Daglio e Vigneti Massa. Poche le realtà che integrano una struttura per il pernotto nella tenuta vitivinicola: Vigneti Repetto ha 5 camere con piscina e una piccola area wellness, mentre Valli Unite propone appartamenti e un agricampeggio. All’orizzonte c’è dunque un’esperienza sempre più piena dei Colli Tortonesi.

Derthona 2.0: l’Anteprima

Come accade per altre grandi denominazioni bianche in Italia, l’assaggio del Derthona in anteprima è un esercizio complesso. Se infatti si considera la longevità peculiare del Timorasso, la cui vocazione è rivolta all’invecchiamento in bottiglia, i vini dell’annata 2021 non possono che essere crisalidi in attesa di diventare farfalla. La stagione sulle Colline Tortonesi è stata caratterizzata da un inverno non particolarmente rigido e da un’estate certamente asciutta e molto calda di giorno, ma con forti escursioni termiche. Nei calici si trova allora qualche sbilanciamento, che però verrà probabilmente aggiustato dalla componente più importante: il tempo.

Cantine Volpi – Timorasso Colli Tortonesi Doc 2021
Al naso è sottile, quasi sfuggevole, anche se la permanenza nel calice ne fa apprezzare la sobrietà. Il sorso è altrettanto lineare, materico, con una sapidità che lo allunga in attesa di tonalità lievemente rugginose. È un Timorasso identitario e pulito.

Cascina Montagnola – Derthona 2021
All’estrema pulizia del naso fa da contraltare un sorso lievemente sulfureo, nel quale una gran bella tensione esalta l’eleganza cesellata tra agrumi e miele di erica.

La Colombera – Derthona 2021
Troppo, troppo giovane. Al naso spiccano dolcezze fruttate, mentre il sorso è più netto e vibra di note agrumate, sapidità e dolcezza. Si intravedono in controluce i primi toni idrocarburici, che faranno di questo 2021 un vino da bere tra qualche anno.

Oltretorrente – Derthona 2021 Thimos
Perfetto al naso, con un bilanciamento ottimo di frutto e macchia mediterranea, in bocca spicca per acidità agrumata e scivola verso una piacevole sapidità. L’alcol spinge e al palato risulta più evoluto di quanto ci si potrebbe aspettare, tanto che è già piacevole nel calice.

Pomodolce – Derthona 2021 Grue
Il naso seduce per intensità, con sfumature sulfuree e una certa evoluzione, mentre nel sorso si giocano sapidità e dolcezza sostenute dal calore, che non disturba.

Vietti – Derthona 2021
Naso verticale, fiori essiccati e sassi di torrente. Al palato la tensione scivola sulla sapidità, lasciando immaginare un’ottima evoluzione nel tempo.

Vigneti Boveri Giacomo – Derthona 2021 Lacrime del Bricco
Naso evoluto, con una piacevole ispirazione sulfurea, in bocca le dolcezze della gioventù.

Vigneti Repetto – Derthona 2021
Al naso spicca una piacevole commistione di frutto e pietra focaia, con allineamento al palato che rivela una spiccata acidità, proponendo al vino un’ottima prospettiva.

Voerzio Martini – Derthona 2021
Allineamento perfetto tra naso e bocca, con un frutto suadente e richiami di macchia mediterranea, bella sapidità e una tensione apprezzabile del sorso.

Tra gli assaggi di annate antecedenti il 2021, è già bello trovare l’identità del Timorasso resa progressivamente più piena dal tempo. Il Derthona 2020 di Cascina Gentile ha profumi agrumati e pietra focaia, mentre il sorso presenta già tracce di idrocarburo intessute di dolcezze, così come il 2020 di Cascina Giambolino e quello di Vigneti Repetto che spicca per eleganza. Eccellenti il Derthona 2018 La Colombera, sapido e idrocarburico con una bella potenza, il Filari di Timorasso 2017 di Boveri Luigi che sfodera un’eleganza avvicinabile a un Riesling di gran stoffa, il Terre di Libarna Doc Archetipo 2016 di Ezio Poggio, profondo e ineccepibile.

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