Il lei hawaiano non è soltanto una ghirlanda decorativa: per i Kanaka Maoli rappresenta un imprescindibile legame con la terra (ʻāina), le genealogie alimentari e l’identità culturale. Legato a piante native che una volta nutrivano le popolazioni, il lei disvela radici profonde fin dentro al cibo rituale e quotidiano delle isole. Vediamo insieme questa interessante tradizione dato che dal nostro lato del mondo siamo abituati ad associare il lei solamente ai resort e al benvenuto che fanno ai turisti.
Storia del lei e relazioni gastronomiche
L’usanza del lei ha origini ancestrali che risalgono all’epoca delle grandi migrazioni polinesiane, quando i primi abitanti delle isole Hawaii giunsero a bordo delle loro waʻa (canoe a doppio scafo), portando con sé semi, tuberi, piante medicinali e un ricco bagaglio culturale, fatto di canti, genealogie e riti connessi alla terra. Tra queste usanze, la confezione di ghirlande — intrecciate con elementi vegetali e marini — occupava un posto centrale nella vita quotidiana, spirituale e alimentare della comunità.
In epoca precoloniale, il lei non era solo ornamento estetico: era un segno di connessione con l’ʻāina (la terra intesa come madre e nutrice), nonché strumento di comunicazione sociale. A seconda dei materiali impiegati, indicava lo status sociale, l’appartenenza a una determinata ‘ohana (famiglia estesa) o la funzione cerimoniale di un individuo. Le piume del gallo ‘ōʻō, i fiori di lehua o le foglie di tī, ad esempio, erano riservate a capi, sciamani o guerrieri. Ma più spesso, i lei erano un modo per celebrare la fertilità, i raccolti, il passaggio delle stagioni — e quindi, indirettamente, la disponibilità e varietà di cibo.
Nel tempo, il lei ha attraversato la storia dell’arcipelago mutando funzioni, pur conservando il proprio valore simbolico. Dopo l’arrivo dei missionari protestanti nel XIX secolo, la confezione dei lei venne temporaneamente stigmatizzata come pratica pagana. Solo con il Rinascimento hawaiano degli anni Settanta del Novecento, e in particolare grazie al movimento Hawaiian Sovereignty, il lei ha riacquisito visibilità e riconoscimento pubblico come arte culturale e linguaggio identitario.
Oggi è parte integrante di ogni cerimonia importante: consegnato negli aeroporti in segno di benvenuto, donato a lauree, matrimoni, compleanni, funerali e persino durante eventi sportivi o politici, il lei rappresenta un gesto di rispetto, amore o lutto. Non viene mai tolto alla presenza di chi l’ha donato: farlo sarebbe considerato un grave affronto, quasi a spezzare il legame simbolico che la ghirlanda incarna.
Ogni isola conserva una propria “botanica identitaria” nella creazione dei lei, legata all’ecologia del luogo e alla disponibilità delle essenze. Niʻihau, la terra più isolata e meno contaminata, produce i rari lei fatti con piccoli gusci di conchiglia pūpū o Niʻihau, veri gioielli naturali. A Kauaʻi dominano i profumi speziati del mokihana, bacca aromatica che ricorda l’anice, spesso intrecciata con le felci lauaʻe. Su Molokaʻi si predilige il kukui nut, che viene abbrustolito per ottenere l’inamona, una pasta densa e saporita utilizzata nella preparazione del poke.
Non è un caso, infatti, che molti dei materiali impiegati nella creazione dei lei siano anche ingredienti cardine della cucina tradizionale hawaiana. Le foglie di tī, ad esempio, vengono usate per avvolgere il lau lau, un piatto cotto a vapore, mentre le noci di kukui vengono pestate e mescolate con sale marino per condire pesci crudi o verdure fermentate. I petali di hibiscus e le radici di ʻawa (kava) trovano posto tanto nei rituali quanto nelle bevande cerimoniali. Le piante selezionate per i lei non sono mai casuali: il loro uso risponde a criteri che combinano sacralità, stagionalità e disponibilità ecologica. Su Oʻahu, per esempio, uno dei fiori distintivi è l’‘ilima, un piccolo fiore dorato che richiede grande pazienza nella raccolta, poiché servono centinaia di boccioli per creare un solo lei. Ma lo stesso ‘ilima è stato storicamente impiegato per le sue qualità medicinali e in infusi digestivi, oltre a comparire talvolta in pietanze cotte a vapore. Le alghe limu līpoa, utilizzate per decorazioni marine e per profumare il corpo, sono anche ingrediente centrale in preparazioni a base di pesce, in particolare nel poke, dove apportano croccantezza e una nota salmastra ricercata.
A Maui, il rosso intenso del lehua — fiore dell’ʻōhiʻa, pianta sacra alla dea Pele — non solo decora i lei cerimoniali, ma racconta anche di mieli monoflora dalle tonalità speziate, usati nei condimenti o come dolcificante naturale. Il kukui, noto anche come noce candela, viene celebrato nei lei neri lucidi tipici dell’isola di Moloka‘i e, al contempo, ridotto in pasta (inamona) per arricchire insalate di pesce crudo o condimenti di verdure fermentate. Il frutto dell’ʻulu, o albero del pane, è simbolo di fertilità e sostentamento: cotto nel forno sotterraneo imu, fornisce una fonte energetica centrale nella dieta arcaica e viene spesso avvolto in foglie di tī, anch’esse presenti nei lei e impiegate anche come piatto naturale o involucro per la cottura.
Perfino l’‘awapuhi, comunemente detto “zenzero shampoo” per il suo succo profumato usato come detergente naturale per corpo e capelli, è un rizoma commestibile che un tempo veniva cucinato come contorno o utilizzato per aromatizzare carni e pesce. Anche le foglie e i fiori del taro (kalo), pianta sacra e madre mitologica del popolo hawaiano secondo il Kumulipo (il canto genealogico della creazione), figurano nei lei e costituiscono la base dell’alimentazione hawaiana tradizionale, in preparazioni come il poi o il laulau.
I lei, dunque, sono il riflesso vivo di un sapere ecologico profondamente radicato: un sapere che non distingue nettamente tra ciò che si indossa e ciò che si consuma, ma anzi intreccia dimensioni simboliche e materiali, estetiche e nutrizionali. Indossare un lei significa anche evocare un paesaggio alimentare, profumare di ciò che si cucina, portare con sé — anche sulla pelle — gli stessi ingredienti che compongono i sapori dell’infanzia, delle cerimonie, delle feste.
In questo intreccio tra botanica e gastronomia, si cela la visione profondamente olistica della cultura nativa hawaiana: un sistema in cui tutto è interconnesso, e dove il cibo, la terra, il corpo e lo spirito dialogano costantemente. I lei diventano così non solo ornamento, ma patrimonio comestibile, simbolo tangibile della relazione sacra tra uomo e natura, tra festa e sopravvivenza, tra radice e memoria.