La storia dello Champagne prodotto in Unione Sovietica

L’utopia dello “Champagne Sovietico” voluto da Stalin

Dalla corte degli zar agli ambiziosi progetti propagandistici del Segretario Generale, la Russia ha una sua singolare storia di produzione spumantistica.

Gli spumanti Metodo Classico – come è ad esempio lo Champagne -, da sempre sinonimo di lusso e celebrazione, agli inizi del secolo scorso hanno trovato terreno fertile anche in un contesto storico e politico tanto diverso come quello dell’Unione Sovietica. Ma come è possibile che una bevanda così intrinsecamente legata al capitalismo abbia potuto attecchire in un regime comunista? La risposta risiede in un intrigante intreccio di storia, ideologia e ambizione.

Le prime bollicine russe fecero la loro comparsa ben prima della rivoluzione bolscevica. Già sotto lo zar Paolo I, alla fine del XVIII secolo, si tentarono i primi esperimenti con la produzione di spumanti, ispirandosi ai metodi francesi. Fu però con i Principi Golitsyn, alla fine del XIX secolo, che la viticoltura russa conobbe un vero e proprio boom tanto che ad Abrau-Djurso, in Crimea, pare si producessero vini in grado di rivaleggiare con quelli francesi. Con la Rivoluzione d’ottobre e l’avvento del regime sovietico, il destino del cosiddetto Champagne russo sembrava segnato. Ma Stalin, con la sua visione di una Russia potente, decise di rilanciare la produzione di bollicine. L’obiettivo era duplice: dimostrare al mondo la prosperità del comunismo e offrire un bene di lusso alla popolazione.

Nel 1936, nacque così il Sovetskoe šampanskoye: un progetto ambizioso per produrre Champagne su larga scala e a prezzi accessibili, trasformandolo in un simbolo del benessere sovietico. «L’idea era di rendere disponibili cose come “Champagne”, cioccolato e caviale a un prezzo piuttosto basso in modo da poter dire che il nuovo lavoratore sovietico viveva come gli aristocratici nel vecchio mondo», spiega Jukka Gronow, autrice di Caviar with Champagne: Il lusso comune e gli ideali della buona vita nella Russia di Stalin.

Ma prima che il proletariato potesse stappare queste prestigiose bottiglie, i viticoltori avevano la necessità di coltivare l’uva e produrre il vino a basso costo. Ciò richiedeva una produzione su scala industriale e non un’attività artigianale come avveniva allora in Champagne. Come risolvere il problema? La risposta arrivò dall’enologo Anton Frolov-Bagreyev, che ovviò al più lungo e complesso Metodo Champenoise attraverso l’introduzione di serbatoi pressurizzati (Metodo Charmat) che avevano la funzione di condensare il processo di maturazione di tre anni in un mese, permettendo di produrre lotti da 5mila a 10mila litri alla volta. Inoltre, per trasformare in realtà la scintillante retorica di Stalin, attraverso una serie di leggi il governo sovietico ordinò immediatamente la creazione di nuovi vigneti, fabbriche e magazzini, nonché il reclutamento e la formazione di migliaia di nuovi lavoratori. Obiettivo ufficiale? Arrivare alla produzione di 12 milioni di bottiglie entro il 1942.

Le cose non andarono però come Stalin sperava perché il vino, con la sua bassa qualità, non riuscì a competere con gli standard internazionali, né a conquistare i palati dei consumatori più esigenti. Nonostante questi limiti, lo spumante sovietico trovò un suo spazio nei mercati controllati dall’Unione Sovietica e divenne un simbolo delle celebrazioni ufficiali, utilizzato per promuovere l’immagine del regime. La perestroika, la politica di riforme avviata da Gorbaciov e la successiva dissoluzione dell’Unione Sovietica sconvolsero profondamente l’economia russa e così il “Sovetskoe šampanskoye” subì un forte declino. Molte cantine fallirono e la qualità degli spumanti, già bassa, diminuì drasticamente tanto da renderli difficilmente vendibili anche sul mercato interno.

Tuttavia, l’eredità dello Champagne sovietico è ancora viva e ancora oggi alcune cantine in Russia, continuano a produrre spumanti portando avanti una tradizione vinicola che, per competere a livello mondiale, avrà bisogno di ingenti investimenti in know-how che oggi stentano a partire. Quello che auspichiamo, invece, è che le poche bottiglie di bollicine ancora prodotte possano suggellare l’accordo di pace tra Russia ed Ucraina: la fine di una guerra è sempre un ottimo motivo per brindare.

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