Olive verdi o nere, in base al grado di maturazione sulla pianta (e non alla varietà). Condite, ammaccate, infornate. E poi grosse e polpose o minute, dolci o intensamente umami, col nocciolo o senza. I frutti dell’albero di olivo – da cui si ottiene l’olio ma che, per alcune varietà, si prestano di più alla lavorazione “da mensa” o risultano “a duplice attitudine” – sono spesso presenti nei taglieri da aperitivo, nelle colazioni rustiche o anche in alcuni cocktail. Il più famoso? Il Dirty Martini, che si lascia “sporcare” dalla salamoia e cede all’oliva una parte alcolica. Ma le olive sono anche ricche di proprietà antiossidanti e nutrienti – proprio come l’extravergine –, rappresentando uno snack salutare pur se calorico: gli ultimi studi attribuiscono loro anche virtù antidepressive, e non è un caso se nei rituali arcaici siano legate alla capacità di scacciare malinconia e tristezza.
Molto spesso, però, di questi frutti prodigiosi banalizzati da aperitivi trasandati e battute da film, sappiamo davvero poco. A cominciare da come sono trasformati – provate a mordere un’oliva “cruda” e capirete a vostre spese che non è commestibile –, fino alle diverse sfumature di sapore e consistenza di ciascuna varietà, e dagli usi che se ne possono fare.
Partiamo, appunto, dal processo di deamarizzazione che le trasforma da immangiabili in deliziose: c’è il cosiddetto metodo sivigliano, che vede l’immersione delle olive in una soluzione di acqua e soda caustica per qualche giorno, prima di essere sciacquate e messe nella salamoia di conservazione; il metodo Castelvetrano, usato in Sicilia, che allunga i tempi fino a tre mesi; il californiano, utilizzato per le olive nere, che contempla il trattamento con sali ferrosi: e infine il metodo naturale, che prevede di tenere le olive in una salamoia di acqua e sale per molti mesi – fino a 18, in base a grandezza e caratteristiche delle olive, controllandone costantemente la fermentazione – fino a che il frutto non diventa spiccagnolo (quando, cioè, la polpa si stacca facilmente dal nocciolo), ma resta croccante e con un amaro piacevole. Quest’ultimo metodo è l’ideale per mantenere intatte non solo le proprietà nutrizionali, ma anche le caratteristiche di ogni varietà.
Puglia antica e contemporanea: il sapere di Oilivis
«Noi lavoriamo con metodo naturale le olive di Ogliarola Garganica che raccogliamo dagli alberi secolari a ottobre, quando sono di colore cangiante ma ancora verso il verde: è una varietà piuttosto amara e piccante, da cui facciamo anche olio, e che proponiamo pure nella versione locale con aglio, alloro, semi di finocchio e peperoncino.
Sono perfette tra gli antipasti per accompagnare i sapori intensi di formaggi stagionati e salumi grassi, ma anche per insaporire un’orata al forno o un ragù di polpo», spiega Antonio Mitrione, terza generazione della famiglia pugliese che coltiva olivi in provincia di Foggia. E che, dal 2021, si è specializzata nelle olive da tavola e paté con il brand Oilivis: «Siamo partiti dalla curiosità per le varietà a duplice attitudine del Gargano, e dal recupero delle lavorazioni tipiche». La Bella di Capitanata – nome che prende in questa zona la varietà Grossa di Spagna – è imponente e particolarmente croccante, e viene proposta schiacciata, secondo tradizione: «È perfetta per un aperitivo da signori, tre olive saziano! Inoltre, lascia la bocca molto pulita e accompagna bene birra, vino o drink. Mentre si presta meno per la cottura».
A proposito di cocktail, la Picholine – varietà francese molto diffusa in regione – è secondo Mitrione la più adatta, anche grazie alla salamoia gustosa e dalle sfumature rosacee. E il Leccino (che, resistente alla Xylella, sta prendendo piede in Puglia) dà olive che si prestano un po’ per tutte le occasioni, in particolare nella versione denocciolata. Fiore all’occhiello di Oilivis sono poi le Leccino Sal Secco, deamarizzate tenendole sotto sale per oltre 100 giorni e girandole quotidianamente: il risultato sono delle olive raggrinzite – simili a quelle lucane di Ferrandina, che però vengono infornate – che guardano alla tradizione, ma hanno una conservazione molto più lunga e un sapore elegante.
Tra fine dining e mixology nelle Marche di Abou Zaki
Altra latitudine, altra varietà: nelle Marche, lo chef Richard Abou Zaki – che tra Porto San Giorgio e Porto Sant’Elpidio ha messo su una rete che va dal fine dining stellato di Retroscena alla pizza di Controluce – collabora con Agorà, azienda di Ascoli Piceno guidata dall’agronomo ed enologo Manuel Pasquali tutta incentrata (oltre che sulla vite) sull’Ascolana Tenera coltivata su 10 ettari di proprietà. La varietà locale, croccante e carnosa ma al tempo stesso delicata, è protagonista, come tradizione vuole, delle squisite olive farcite e fritte, servite nei locali in città (dal ristorante Agorà alla pizzeria-braceria e cocktail bar Clorofilla) e vendute a privati e ristorazione di qualità. Ma anche dell’extravergine e delle olive verdi denocciolate, lavorate sia al naturale sia con la soda aggiungendo la nota balsamica del finocchio selvatico.
Abou Zaki ne usa diverse versioni sulle pizze di Controluce. Mentre da Retroscena arrivano anche nel bicchiere, nel fresco Smart Negroni rivisto con gin infuso con anice e arancia, amaro, vermouth rosso, bitter e Tenera Ascolana. Lo chef si è cimentato anche con l’amaro spinto e la croccantezza dell’oliva acerba, cotta sulla brace e servita accanto ai cannolicchi in un piatto marino e minerale; mentre nel nuovo menu figura il Ragù di oliva Tenera Ascolana, clorofilla di midollo, limoni acetati e maggiorana.
Ma a dimostrare come l’uso gastronomico delle olive non conosca limiti è soprattutto il suo Riso Adriatico: da quelle in salamoia ottiene un estratto che diventa la base di un brodo freddissimo (per evitare l’ossidazione) in cui cuociono i chicchi, mantecati con l’extravergine e serviti con ricciola, finocchietto e olio all’arancia: un piatto che per lo chef di origini rumene «concentra le Marche contemporanee in un boccone, racchiudendo la mineralità dell’oliva e la sapidità lieve del suo gusto un po’ acerbo».
Nel cuore del Lazio: l’identità delle olive di Gaeta
In Lazio, Cosmo Di Russo porta avanti la lunga tradizione delle olive Itrane nere (o meglio “insanguate”, colte appena mature a inizio primavera, quando hanno colore violaceo e consistenza ottimale) alla base dell’apprezzata Oliva di Gaeta Dop. Frutto della rigorosa lavorazione al naturale, e di una lenta fermentazione in acqua e sale, è imprescindibile per puttanesca, scarola alla napoletana, tiella con il polpo e molto altro, con la sua morbidezza vivace e la nota vinosa.
Ma, approfittando della maturazione lenta di questa varietà e riprendendo una tradizione casalinga della zona, Di Russo punta molto anche sull’oliva “bianca”, raccolta in autunno quando il colore è tra il giallo paglierino e il verde e il calibro più grande (e fatta fermentare in sola acqua prima di andare in salamoia), perfetta per aperitivi e antipasti. Tra le ultime novità – anch’essa frutto della riscoperta di un’abitudine locale per evitare di far andare sprecate le drupe nere che s’iniziano a raggrinzire naturalmente sulla pianta, e dell’uso dei pastori di portarsele in tasca come snack – ci sono le olive grinze: disidratate per circa 40 giorni con sale di Trapani, si mangiano come aperitivo o antipasto.
«In questo modo si riesce ad assaporare fino in fondo il gusto delle olive, che con la fermentazione in qualche modo cambia», specifica Di Russo. Ma se volete davvero farvi sorprendere da una “semplice” oliva, assaggiate anche le sue nere denocciolate trasformate in piccoli bocconi dolci-sapidi-amari dal laboratorio itrano Agrodolce della famiglia Fiortini: private della salamoia, leggermente essiccate in forno e candite in un bagno di acqua e zucchero per 15 giorni, le olive vengono poi ricoperte di cioccolato extrafondente al 70% monorigine, diventando una sorta di bonbon dal gusto unico.
Sorprese dolci-salate: quando l’oliva diventa dessert
Un accostamento, quello tra oliva e cioccolato, sperimentato con successo anche dal Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia, che dalle pregiate Taggiasche delle colline liguri – piccole e delicate, ma gustose – ottiene non solo oli eleganti e olive conservate in una salamoia di acqua, sale, timo, alloro, rosmarino, o in olio extravergine. Ma anche le insolite olive caramellate con zucchero di canna e le croccanti olive disidratate alle erbe, ideali per arricchire insalate e primi piatti, che danno una nota inedita pure alle barrette di cioccolato “taggiasco”, in versione fondente, al latte o bianco. Provare per credere.
OLIVE TAGGIASCHE FRANTOIO DI SANT’AGATA D’ONEGLIA
In salamoia alle erbe o in extravergine, sono ideali come aperitivo o su focacce o per il coniglio alla ligure. frantoiosantagata.com
OGLIAROLA GARGANICA OILIVIS
Fermentate al naturale, le olive verdi accompagnano salumi e formaggi stagionati ma sono adatte anche alla cottura. oilivis.it
OLIVE NERE COSMO DI RUSSO
Fermentate lentamente in acqua e sale marino, sono ideali per la scarola alla napoletana. cosmodirusso.com
OLIVA ASCOLANA DEL PICENO DOP AGORÀ
Alla base delle olive ripiene , sono squisita anche in salamoia. Grosse e polpose, da aperitivo. agoraascolipiceno.com