Le chiocciole – o lumache, se vogliamo chiamarle con un termine più diretto – sono un alimento divisivo: non solo c’è chi le ama e chi le detesta, ma anche chi considera il loro consumo una scelta sostenibile e chi un vezzo gourmand. Dietro il loro guscio si agitano diverse domande: sono un alimento “a basso impatto”? Sostituiranno davvero la carne nel lungo termine? Come e da chi vengono usate in cucina?
Il primo quesito ha a che fare con la loro catalogazione: cosa sono le chiocciole? Nel 1500 le lumache erano classificate come pesce dalla Chiesa cattolica, e potevano essere mangiate anche durante la Quaresima. Sono animali, eppure il loro allevamento viene regolato da norme di elicicoltura, ossia un’attività agricola, e quindi non classificato come zootecnia. In questo articolo, le consideriamo per quel che sono: carne.

Quando mangiamo le chiocciole nei ristoranti, di solito ci sono due tipologie più diffuse di altre: la Helix Aspersa Maxima, più grande di altre e usata per le preparazioni alla francese, e la Helix Aspersa Muller, conosciuta anche come vignaiola. Ma di questo mollusco ermafrodito esistono ancora altre specie, come la Helix Lucorum o la Theba Pisana, che hanno una resa diversa in cucina.
In Italia ci sono aziende che coltivano chiocciole in diverse regioni, accomunate (o divise) dai metodi di selezione e allevamento: tutte però vendono chiocciole parzialmente lavorate, quindi spurgate, frutto di un’alimentazione controllata. In questo racconto ci concentreremo sul Piemonte, e sulla zona di Cherasco, in provincia di Cuneo.
Cherasco, l’epicentro delle chiocciole
Fino a pochi decenni fa, le lumache si raccoglievano nei campi dopo un temporale. Cibo povero, da stufare con aglio e pomodoro: una ricetta che permetteva di ammorbidirne il retrogusto di terra. Oggi il mercato sta orientando l’allevamento in funzione del gusto e degli utilizzi cosmetici: le chiocciole vengono allevate in recinti protetti, sfamate con piante selezionate, e lavorate in ambienti sanitariamente controllati. La spinta decisiva a questa trasformazione è arrivata da Cherasco, borgo piemontese dove ha sede l’Istituto Internazionale di Elicicoltura, pioniere nella creazione di una filiera organizzata, brevettata e certificata: il Metodo Cherasco.
Questa tecnica, fondata sul cosiddetto “Ciclo Naturale Breve”, prevede l’utilizzo di baby snails prodotte in incubatori e poi cresciute in recinti agricoli con rete protettiva e agricoltura simbiotica. Il ciclo dura circa sei mesi, ed evita agli allevatori la fase più critica e dispendiosa: la riproduzione. Secondo i promotori, si tratta di un sistema virtuoso: le chiocciole vengono tracciate, e la loro coltivazione impiega meno acqua di quelle degli allevamenti bovini. Carne, gusci, intestini e bava vengono poi riutilizzati in cosmesi, alimentazione, ortopedia e nutraceutica.
Il dubbio però rimane: è corretto parlare di sostenibilità quando parliamo di allevamento e di uccisione di animali? E anche: che impatto ha questa “monocoltura” di poche tipologie in relazione alla biodiversità? Le chiocciole, in natura, assumono diversi ruoli, tra cui ripristinare il suolo ed essere fonte di cibo per uccelli o insetti. Gli ingredienti, insomma, dovrebbero sempre essere valutati all’interno di un ecosistema più ampio: di filiera, e di consumi.
Al ristorante: chi le prepara e come
Andiamo infine al ristorante, dove a oggi le chiocciole, come le ostriche, sono riconosciute come cibo di lusso, mentre un tempo erano apprezzate come fonti di proteine a basso costo. L’allevamento di chiocciole ad ampio raggio risponde anche a questa nuova domanda, che richiede un prodotto standard, con un sapore non smaccatamente terroso. Accadeva anche nell’antica Roma: i romani della classe media mangiavano lumache dai loro orti, mentre i consumatori d’élite sceglievano quelle allevate ad hoc, nutrite con spezie, miele e latte.
Abbiamo indagato nelle cucine di diversi ristoratori del Piemonte – con una breve incursione in Lombardia – per capire come vengono usate e percepite. Diego Rossi, da Trippa a Milano usa proprio le chiocciole Metodo Cherasco: «Le trovo ideali, perché si sente il lavoro fatto sull’alimentazione, e in più hai una lumaca che è pulita, perfetta, facile da lavorare: un prodotto di altissima qualità, rispetto ad altre che magari non sono sempre costanti. Di solito uso l’Helix Aspersa Aspersa, che è una lumaca un po’ più piccola rispetto alla Maxima».

Pasquale Laera, chef del ristorante Borgo Sant’Anna a Monforte d’Alba, nel cuore delle Langhe, propone un risotto con chiocciole, lumachine di mare e limone tostato: le prime vengono cotte in brodo di gallina e concentrato di pomodoro, le lumachine vengono saltate invece per 10 minuti e poi condite con limone, olio extravergine d’oliva, erba cipollina, sale e pepe al mulinello. Il riso viene cotto con del fumetto di pesce, a cui lo chef aggiunge un burro all’acciuga e un olio all’aglio.
Non solo Cherasco: origini, allevamenti, raccolta
Abbiamo parlato anche con lo chef Seul ki Kim, che con Federica Vaira guida URI – Sapori Condivisi a Roddino, sempre in Langa: nel loro menu che mescola Piemonte e Corea, hanno in carta hanno un piatto di lumache, aglio orsino, peperoncino sott’aceto, scorza di limone, amaranto e gochujang. Le chiocciole che usano sono quelle che Paolo Bove alleva nelle Langhe, alimentate con bietola, cavolo, girasoli, rapa da foglia, foglie di acacia, carote, zucchine, pesche, angurie e meloni: risultano carnose, ma delicate. Spiega Kim: «Qui le usiamo alla stregua di un ingrediente gastronomico, come il piccione: ci permette di offrire una maggiore varietà ai nostri clienti, col vantaggio di avere un prodotto immediato da usare, con zero scarti e pochi margini di errore. Molti clienti sono scettici, ma il nostro lavoro è anche invitarli a essere curiosi sul cibo: il risultato è sempre stato gradito».
Le chiocciole sono un prodotto pregiato anche per il loro food cost: alcune costano 70 euro al chilo, o 3 euro per cinque lumache. Il ricarico quindi diventa importante, ed è anche per questo che si trovano nei ristoranti di fascia alta. C’è anche chi sceglie altre strade, però: Juri Chiotti, chef patron di REIS – Cibo di Montagna – ristorante agricolo d’alta quota in provincia di Cuneo – considera le chiocciole un vezzo gastronomico. A volte però le inserisce nel menu, anche se di rado perché ormai le considera mainstream.
«A volte mi capita di usare le Helix Aspersa che alleva un ragazzo qui a Melle. Io però vado a raccoglierle quando piove, e cerco la Helix pomatia alpina, una chiocciola tipica della Val Varaita e della Val Stura: è una grossa, bianca, che ci mette anche 3-4 anni a diventare di quelle dimensioni. Lumache come quelle, in allevamento, costano tantissimo, visti i tempi di crescita. Quindi preferisco così: quando ci sono, vado a raccogliermele, così so che ho la cosa più etica, naturale e sostenibile».