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Sustanza Napoli

Napoli, la Sustanza di Marco Ambrosino

All’interno di ScottoJonno, locale dalle molteplici anime che ha fatto rivivere un antico Café Chantant partenopeo e dato nuovo lustro alla Galleria Principe di Napoli, lo chef procidano propone la sua cucina dove il gusto nasce dal pensiero.

Da 28 Posti, piccolo grande indirizzo sui Navigli trasformato in luogo di alta gastronomia, ai dodici tavoli – dislocati in tre sale di cui una affacciata sulla cucina, tra pareti rivestite da tessuti dai motivi floreali di diversi colori, arredi d’ispirazione Art Nouveau e rimandi alla cultura partenopea – di Sustanza, il ristorante aperto da pochi mesi al piano superiore di ScottoJonno, bistrot, cocktail bar e caffè letterario voluto dall’imprenditore Luca Iannuzzi negli ambienti che in passato ospitarono l’omonimo Cafè Chantant e poi gli uffici della tesoreria comunale. È un “luogo nel luogo”, come lo definisce lo stesso Marco Ambrosino, in piena sintonia con gli spazi che lo ospitano in una sorta di matrioska: ScottoJonno, appunto, e poi le arcate della Galleria Principe di Napoli, costruita nella seconda metà dell’Ottocento dove sorgeva un antico deposito del grano e diventata per qualche decennio uno dei cuori della vita culturale partenopea prima che tutto finisse con il fascismo e la guerra.

Richiamato nella sua Campania da Iannuzzi, all’epoca per un progetto – ancora non abbandonato – sull’isola di Procida, dove è nato condividendo le origini con Vincenzo Scotto Jonno, artefice del locale ottocentesco, Ambrosino si è fatto irretire dalla sirena Partenope e dai suoi richiami, sposando il progetto dell’imprenditore che guida il gruppo Nabilah e l’Archivio Storico. Partiti nella primavera scorsa con il bistrot – che oltre a proporre aperitivi e cene con piatti semplici ma curati e prodotti selezionati, vini e cocktail studiati dai bartender con la collaborazione di Dom Carella, caffetteria e prima colazione nel fine settimana, ospita anche i giovani musicisti del vicino Conservatorio San Pietro a Majella e una collezione di oltre mille volumi – adesso hanno aperto le porte di Sustanza, a cui si accede salendo le scale o con l’ascensore che porta in un’altra dimensione, in sintonia con il fascino Belle Époque degli ambienti sottostanti ma più dichiaratamente incentrato sulla cucina e sull’esperienza gastronomica.

Sustanza, la proposta gastronomica

Quale cucina? Si chiedono in molti domandosi se lo stile di Ambrosino, capace di conquistare Milano con i suoi piatti d’impronta mediterranea e cosmopolita e di matrice colta e antropologica, possa funzionare anche a Napoli. «Sono ripartito da dove avevo lasciato: è quello che mi piace fare e che so fare e non c’era alcun motivo per cambiare», spiega lo chef ribadendo il suo metodo che è imprescindibile dai risultati nel piatto. «Chiaramente va avanti il processo di investigazione sui costumi mediterranei, anche se siamo in una fase di approfondimento molto più ampia, ci stiamo concentrando su aspetti più laterali. Al di là dei piatti, infatti, mi interessa particolarmente esplorare e conoscere come si sia arrivati a determinate preparazioni il cui risultato è storicamente frutto di processi sociali che hanno portato a certi risultati. Poi, naturalmente, su questo innestiamo un lavoro di investigazione tecnica che è quello della cucina». Chi abbia già avuto modo di assaggiare i piatti di Ambrosino sa che questo non è showing off intellettuale, à la Elkann, per così dire. Piuttosto, un metodo di lavoro capace di restituire nel piatto sollecitazioni di diversa natura. Così, sedersi al tavolo di Sustanza può essere un’esperienza dai molteplici livelli di lettura: grande appagamento gastronomico e sensoriale per chi vuole godersi convivialità e cibo, stimolo alla curiosità o anche occasione di approfondimento e conoscenza per chi avesse la predisposizione o il mood adatto.

Il menu, impreziosito da carte e trame e dai bellissimi disegni che nascono dalla mano dello stesso chef ritraendo scugnizzi e artigiani, propone “un surreale giro del Mediterraneo tra conosciuto e sconosciuto come base di future memorie”. Più prosaicamente, tre percorsi – Piccolo cabotaggio, Medio raggio e Lungo corso, dagli 80 ai 140 euro per 5, 8 o 10 portate – in cui ci si imbarca guidati da chef e ciurma in esplorazioni tra mari e terre più o meno vicini: modalità fortemente consigliata perché, spiega Ambrosino, «È così che piace mangiare a me, che mi diverto di più». Lasciando comunque la possibilità di scegliere da una piccola carta che annovera – preceduti da deliziosi assaggi di benvenuto e dal soffice danubio lievitato e una pagnotta su cui spalmare il burro stagionato e fermentato – piatti come Pomodoro, mandorla, tartufo nero, olio di argan, noce moscata, le deliziose Trottole cotte in brodo di lische affumicate, finocchietto, pinoli, burro al tabacco, lardo di pesce azzurro, o l’originale proposta vegetariana del “Carosello del giardino” che mette insieme in più servizi i fagiolini con albicocche, sambuco e nocciole, il porro alla brace con miso e prugne sotto sale e il fico brasato con salsa delle sue foglie, fondo vegetale all’anice stellato e olive.

Dal pensiero al piatto

Ma è soprattutto Agnello e pecora a raccontare – in maniera estremamente appagante – il lavoro portato avanti da Ambrosino: l’agnello viene cotto nel fieno, mentre la pecora, con la sua salsa, trae origine nell’antica tradizione arbëreshë dell’harroje, che vuol dire pressappoco “scordatelo”. «Riprende l’approccio alla cottura delle comunità albanesi del Sud Italia, in cui le donne mettevano la pecora sul fuoco con acqua, limone ed erbe, a sentimento, e la lasciavano cuocere mentre erano impegnate in altre faccende, ottenendo una carne stracotta ma anche un brodo impiegato per bagnare il pane o altro. È un piatto che riprende il discorso di assenza e presenza e il concetto del mangiare quel che c’è a disposizione, non sprecando nulla, nei giorni ordinari, e lasciando invece per i giorni di festa il sacrificio dell’agnello, un animale con ancora tutta la vita davanti. Poi c’è anche l’aspetto simbolico della liturgia dei pranzi di un tempo, dove le diverse parti dell’animale, che anche noi lavoriamo per intero, venivano offerte ai commensali a indicare precise gerarchie».

In questo caso, però, a tutti spettano gli stessi bocconi, densi di sapore e significato: ad accompagnare agnello e pecora nel piatto c’è una quenelle di cetrioli alla griglia e finocchio di mare; a parte vengono serviti la melanzana con aglio nero, limone stagionato e labneh di mandorle e lo spiedo di ritagli di pecora e agnello con scarola marinata, che accosta i ćevapčići della tradizione balcanica al sucuk turco dagli aromi speziati di sommacco, “spezia feticcio” di Ambrosino che racchiude l’essenza del Mediterraneo e delle sue rotte, ispirandosi ad altre preparazioni ancora – dalle kofte alle nostrane polpette – che attestano quanto sia vana la ricerca ossessiva dell’origine geografica e cronologica precisa di ricette e lavorazioni: «Ogni cosa ha sempre un qualcosa che lo precede», sintetizza lo chef. E ancora, c’è pure la pagnotta scavata e riempita di fagioli e garum di agnello, cui la fermentazione dona inattese note agrumate e che scatena istinti primordiali invitando quasi a immergerci la faccia.

Senza dubbio un piatto complesso ed elaborato, per quanto con la sua immediatezza gustativa, di cui s’immagina una genesi laboriosa e lunga. «Può sembrare arrogante ma in realtà molti di questi piatti nascono in maniera veloce. Certo, alcune preparazioni hanno tempi lunghi di ricerca e realizzazione alle spalle ma sono spesso il frutto di studi che portiamo avanti nel tempo senza ancora avere chiaro in mente cosa ne faremo, come ad esempio con le ossidazioni su cui stiamo lavorando molto adesso. È più lungo, invece, il processo per entrare in questo modo di ragionare. Quello che mi dà la maggiore soddisfazione, infatti, è la grande sintonia che si è creata in breve tempo con la mia squadra: con Domenico Cerrone, responsabile di cucina, ci siamo conosciuti soltanto a settembre scorso, mentre solo con Federico Andreini, il pasticcere, avevamo già lavorato insieme. A loro chiedo soprattutto di essere curiosi, di assaggiare il più possibile cose nuove per ampliare il vocabolario gastronomico. Le parole modellano il pensiero, e con nuove parole puoi comporre concetti più ampi: vale per la scrittura come per la cucina. Per me, il prodotto è centrale ma non può prescindere dal pensiero e dall’azione del cuoco, altrimenti resta un ottimo prodotto e basta: è il ragionamento che lo trasforma in un prodotto culturale».

Un simile approccio curioso, ma senza forzature, Ambrosino lo chiede a chi siede alla sua tavola. E non ne viene deluso: «Napoli è sempre stata pronta a qualsiasi cosa, e a fronte di una non elevata efficienza ha sempre offerto una grandissima efficacia; è una città storicamente pronta ad accogliere, qui mai nessuno è stato straniero. Oggi c’è un’energia fortissima, succedono tante cose nuove. Bisogna trovare la chiave per raccontarlo in modo lontano dall’iconografia classica, dalla macchietta, e tutto prende un valore diverso: dalla pizza fritta alla cucina alta».

Maggiori informazioni

Sustanza
Galleria Principe di Napoli
Via Broggia 7, Napoli

 

foto di apertura di Letizia Cigliutti

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