Esistono persone che, quando mangiano fuori, non cercano un’esperienza, ma un pasto: ecco, non è di loro che parleremo in queste righe, dove il piatto, a pranzo come a cena, non è che l’inizio. Succede nei ristoranti dove il design è alla base dell’identità del locale: a volte come connubio tra la proprietà e l’offerta, altre come ingrediente visibile nella disposizione degli ambienti. Il design, in questo senso, è un alleato che plasma l’identità del locale, orienta la fruizione e costruisce impressioni.
Muro a Torino, firmato da Velvet Design
Ne sanno qualcosa studi di architettura come Velvet Design, che da qualche anno non si limita a disegnare ristoranti, ma entra nel cuore dei progetti, fino a diventarne socio operativo: in Italia è un caso non così diffuso. Parliamo di Muro, osteria torinese in cui lo studio guidato da Gianluca Bocchetta ha realizzato un progetto che è scenografico quanto comunicativo. «All’inizio del nostro percorso era difficile conciliare l’idea, il design e l’investimento», racconta Bocchetta. «Ma oggi abbiamo imparato a leggere ogni metro quadro come una possibilità, un valore. La moda ce lo ha insegnato: l’esposizione conta quanto il contenuto. E nel food è esattamente la stessa cosa».
Velvet Design ha firmato progetti per locali come Fra Diavolo, La Pista, We Grill, e l’ultimo è Tan Street, un locale tra Asia contemporanea e design narrativo nel cuore di Torino. È con Muro, però, che vediamo una visione quasi curatoriale dello spazio: quando si entra, l’impressione è quella di accedere a un luogo underground, sorprendente, e anche spiazzante. C’è un contrasto tra l’eleganza di certi aspetti e l’utilizzo dei tag tipici della street art, che insieme offrono una dimensione omogenea e sofisticata ai clienti.

In un ristorante, l’esperienza si disegna anche attraverso i piatti, e da Muro il loro valore assume lo stesso peso del contenitore: la cucina è immediata, di garbo e nello stesso tempo non piatta. Come i tagliolini con fave, piselli e pecorino avvolti dagli aromi del burro alle erbe, o le costine al forno, valorizzate dal chimichurri e stemperate dal cavolo cappuccio: tocchi che al cliente sembrano invisibili, ma che portano equilibrio e freschezza ai piatti.
Anche gli equilibri migliori hanno screziature: design e funzionalità in alcuni casi vanno a braccetto, mentre a volte incontrano il capitolo di spesa che ogni ristoratore teme di più, quello dei pannelli fonoassorbenti. Da Muro l’acustica è chiassosa: un effetto ricercato, ma anche un privilegio dato all’estetica, e a materiali come specchi e vetri, e al budget. La fonoassorbenza, afferma Bocchetta, incide anche il 20/30 % sull’investimento.
Dove il cibo incontra il design, a Roma e Milano
Il matrimonio col design non è un caso isolato. In Italia – e non solo – fioriscono sempre più ristoranti dall’unione tra architettura e imprenditoria gastronomica. Non società vere e proprie come quelle di Muro, ma collaborazioni dove studi e architetti collaborano fin dalle prime fasi per disegnare spazi che funzionano, e comunicano.
A Milano c’è FAAK, il ristorante di Viviana Varese, progettato dallo studio B-arch. Lo spazio unisce pizzeria, pasticceria, panetteria, brace e bar in un ambiente materico e vibrante, dove ferro, legno nero e ceramica costruiscono un’estetica semplice ma radicale. Il Campus Ecooking di Luigi Cassago, sempre a Milano, è un progetto ambizioso che integra architettura – firmata dal Renzo Piano Building Workshop –, wellness, formazione e alta cucina.
A Roma, Shell Libreria Bistrot, firmato da Schiattarella Associati, nasce in una vecchia officina e si trasforma in un rifugio letterario e gastronomico, dove scaffali di libri e cucina naturale convivono in un’atmosfera intima e calda. Mentre Naessi Studio ha progettato il nuovo Santo Palato di Sarah Cicolini, dimostrando come uno studio di design sia funzionale anche per una trattoria, ad esempio quando disegna i tavoli per ottenere più coperti o crea una sala al piano inferiore che diventa insieme privé e spazio per eventi e lezioni di cucina.
Una questione di famiglia
C’è poi un altro caso ancora: quello in cui il design e l’architettura sono una passione di famiglia e non un mestiere, ma questo non impedisce di lavorare sui materiali e sui colori per trasmettere una certa sensazione. Vittoria Vitali del ristorante Serra di Quartiere a Milano ci racconta che è stata soprattutto la madre la firma di questo locale che parla di casa e di tranquillità: dalla scelta del marrone per le pareti, alle luci di legno svedesi, al bancone di pietra di Vicenza. L’attenzione al dettaglio, d’altronde, è appannaggio di sempre più clienti da qualche anno a questa parte. Impegnarsi in prima persona per raggiungere quella cura non è per tutti: ci vuole magari più tempo, ma il design domestico, in casi come questo, dona un tocco certamente unico e sofisticato.

Altro esempio a Gabicce Monte, con Dalla Gioconda: anche qui il progetto è di famiglia, curato dalla coppia formata da Stefano Bizzarri e Allegra Tirotti Romanoff, ex fashion designer. Il locale rappresenta un caso virtuoso di sostenibilità e design: premiato con la stella verde Michelin, è il primo ristorante in Italia certificato plastic-free.
La contaminazione arriva anche in hotel
Insieme ai ristoranti, a farsi contaminare dal design ci sono anche diversi ristoranti d’albergo: It Maison a Milano all’interno del VMaison Boutique Hotel, che offre un ambiente elegante curato dallo stesso studio che ha progettato l’hotel. Oppure, Beefbar Milano, all’interno dell’hotel Portrait Milano, è un gioiello firmato Humbert & Poyet, che gioca con riferimenti anni Quaranta e Sessanta per un risultato scenografico e sofisticato.
Non è solo questione di bellezza e fascino: una buona progettazione ha due enormi vantaggi. Il primo è di riuscire a trasmettere l’identità di un locale attraverso sensazioni che rimangono impresse. La seconda è saper valutare il volume dell’investimento, laddove chi progetta conosce i costi e le aziende che ruotano intorno alla parte tecnica, alla cucina, e agli impianti.
Il design è una forma di cura, di visione e di relazione: col cliente, e con chi investe. Due cose non da poco, per chi fa da mangiare.