La storia dello Spritz è affascinante perché nasce da una lamentela: quella dei soldati austro-ungarici che, nell’Ottocento, trovavano il vino italiano troppo carico di alcol per i loro gusti e chiedevano agli osti di allungarlo con un po’ d’acqua. Sebbene oggi sia il cocktail più venduto in Italia – il più amato, onnipresente in maniera quasi ossessiva sui tavolini dei bar all’ora dell’aperitivo –, le sue origini sono tutt’altro che mondane. Per comprenderne davvero il valore e il percorso è necessario tornare a due secoli fa, in un Nord-Est ancora segnato dalla dominazione Asburgo-Lorena.
Lo Spritz tradizionale nasce proprio con l’arrivo dei soldati austriaci nelle terre del Veneto e del Trentino: furono loro, inconsapevolmente, a dare il via alla storia di questo drink. Abituati alle birre leggere della tradizione mitteleuropea, i militari si trovarono di fronte a vini locali decisamente più alcolici. Per renderli più gradevoli e affini ai propri gusti, chiesero agli osti di spritzen – ovvero spruzzare un po’ d’acqua nel calice di vino – abbassandone così la gradazione. Quel gesto semplice, nato per necessità, si trasformò col tempo in un’abitudine destinata a radicarsi nella cultura popolare.
La storia dello Spritz: dall’acqua al seltz e poi al bitter
Dopo il Congresso di Vienna del 1815, con la nascita del Regno Lombardo-Veneto e l’annessione diretta del Trentino all’Impero Asburgico, le truppe austriache si stabilirono nelle città e nei borghi di queste regioni. Abituati alle leggere birre chiare della loro tradizione, i militari si trovarono di fronte a vini locali ben più strutturati e con un tenore alcolico decisamente superiore a quello cui erano avvezzi.
Per adattare i bianchi veneti e trentini al proprio gusto e alle abitudini della guarnigione, i soldati iniziarono a chiedere agli osti di aggiungere una spruzzata d’acqua al vino, così da ridurne la gradazione alcolica e renderlo più simile alle bevande a cui erano abituati. In tedesco, il verbo spritzen significa infatti “spruzzare”: ed è proprio da quel comando, ripetuto decine di volte al giorno, che nasce il nome stesso di Spritz.
Non si trattò, all’origine, di un vero e proprio cocktail né di una preparazione studiata a tavolino, ma di un’abitudine nata per quieto vivere, che trovò terreno fertile in una regione come il Triveneto. Il gesto di aggiungere acqua frizzante — e, più tardi, seltz, grazie all’introduzione di questa tecnologia dall’Inghilterra nei locali cittadini — si consolidò progressivamente, fino a diventare una consuetudine popolare.
A testimonianza di quanto questa tradizione si sia radicata nel tessuto sociale e gastronomico locale, basta ricordare che ancora oggi, in molte zone del Friuli, del Veneto e del Trentino, se si ordina uno Spritz senza ulteriori specifiche, ci si può ritrovare con un semplice bicchiere di vino bianco allungato con acqua gassata, privo di bitter. È la traccia più autentica di quell’antica usanza militare, sopravvissuta a oltre due secoli di storia e ormai parte integrante del rito quotidiano dell’aperitivo.
Fu solo nel corso del Novecento, con la crescente attenzione verso la miscelazione e la diffusione di amari come il Select, il Cynar o l’Aperol, che quella pratica rudimentale si trasformò in un cocktail vero e proprio. Prima codificato nelle osterie veneziane, poi nei manuali di mixology contemporanea, lo Spritz iniziò a prendere la forma che conosciamo oggi. A Venezia, Padova e Treviso il nuovo ingrediente — il bitter — trovò subito terreno fertile, ma la vera svolta arrivò negli anni Venti, quando il drink ne accolse stabilmente l’aggiunta.
Si aprì così un nuovo capitolo, con la nascita di un bitter “ufficiale”. All’epoca, la scelta ricadeva tra il Select, prodotto dai fratelli Pilla di Venezia, e l’Aperol, presentato alla Fiera di Padova nel 1919. Inizialmente fu la versione lagunare a dominare, ma dagli anni Settanta in poi fu l’Aperol — ideato dai fratelli Barbieri — a imporsi, dando vita allo Spritz che oggi conosciamo e vediamo ovunque.
La fama dello Spritz è sorprendentemente recente
Oggi ci sembra tutto scontato: lo Spritz è una bevanda diffusissima, onnipresente sui tavolini dei bar. Eppure, per molti decenni, è rimasto una specialità quasi esclusiva del Triveneto. Certo, lo si poteva trovare nei grandi bar di Milano, Roma o Firenze, ma veniva spesso messo in secondo piano rispetto a cocktail più blasonati come il Negroni o il Mi-To. Non era affatto comune entrare in un locale e ordinare uno Spritz.
La vera svolta arrivò nel 2008, quando Campari decise di investire strategicamente nella promozione su scala nazionale dell’Aperol Spritz, trasformando quello che fino ad allora era considerato un drink “di provincia” in un fenomeno culturale e di costume. Il celebre spot pubblicitario, ambientato in una piazza gremita di giovani intenti a fare aperitivo, condensava in pochi secondi tutta la leggerezza e la spensieratezza associate a quel gesto conviviale. A catalizzare l’attenzione era il momento in cui una ragazza dai capelli rosso fuoco — colore che richiama il bitter — mimava il gesto del seltz nel bicchiere, dando il via a un’ondata collettiva di richieste di Spritz. La colonna sonora, una rivisitazione della celebre Street Life di Randy Crawford & The Crusaders, ribattezzata per l’occasione Spritz Life, fece il resto.
La campagna ebbe un successo così travolgente da cambiare perfino il modo in cui il cocktail veniva servito: lo Spritz, nato in un tumbler basso, venne progressivamente trasferito in un ampio calice da vino, proprio come mostrato nello spot. Tecnicamente la differenza è minima — l’importante è che il bicchiere abbia una capienza di circa 250 ml — ma questa modifica estetica è emblematica dell’impatto che la televisione ebbe nella diffusione capillare del drink.
La campagna non solo segna l’inizio della diffusione nazionale del cocktail, ma ridefinisce l’immaginario dell’aperitivo italiano contemporaneo, proiettandolo su scala internazionale. Per la prima volta, lo Spritz diventa simbolo di socialità urbana, incontro generazionale e cultura pop mediterranea. Il drink entra stabilmente nei menu di bar e locali in tutta Italia, fino a conquistare le capitali europee, gli Stati Uniti e l’Asia.
A consacrare il successo planetario dello Spritz è anche la sua capacità di adattarsi ai nuovi linguaggi mediatici. La semplicità della ricetta, il colore vivace e il rituale del brindisi collettivo hanno trovato terreno fertile nell’estetica visuale di Instagram e TikTok, contribuendo a renderlo uno dei cocktail più fotografati e condivisi degli ultimi quindici anni. In parallelo, brand internazionali e produttori locali hanno cavalcato l’onda del successo, creando varianti, edizioni limitate e reinterpretazioni che ne hanno ulteriormente alimentato la popolarità.
Le molteplici varianti regionali e le versioni moderne
Nonostante il successo globale abbia portato alla codificazione di una ricetta riconoscibile – a base di Prosecco, Aperol e seltz – ogni città del Triveneto continua a difendere con orgoglio le proprie varianti storiche. A Padova si preferisce il vino bianco frizzante, a Treviso domina il Prosecco, mentre a Venezia è ancora diffuso l’uso di un vino fermo. In Friuli, la tradizione vuole l’impiego del Friulano, mentre le interpretazioni più recenti sperimentano con amari alternativi. Nel panorama attuale della mixology, “Spritz” non indica più soltanto un cocktail preciso, ma una vera e propria famiglia di drink.