Quando il 14 luglio 1789 la Bastiglia fu presa d’assalto, il suo potente valore simbolico oscurò una realtà quotidiana fatta anche di cibo e disuguaglianze. Dietro le alte mura di quella prigione parigina si nascondeva infatti un microcosmo alimentare che rifletteva le profonde disparità sociali dell’Ancien Régime. Questo dettaglio apparentemente secondario offre invece una chiave di lettura cruciale: già allora, il cibo era uno strumento di potere e di esclusione.
La Bastiglia: carcere per privilegiati e miserabili
Contrariamente all’immaginario diffuso, la Bastiglia non era solo prigione per criminali comuni. Molti dei suoi ospiti erano nobili caduti in disgrazia, oppositori politici o semplicemente vittime delle cosiddette lettres de cachet, i provvedimenti con cui il re ordinava incarcerazioni senza processo. Questo determinava una netta distinzione nella qualità del vitto: mentre i detenuti più umili ricevevano razioni miserrime, i prigionieri facoltosi potevano disporre di cuochi personali e ordinare cibo dall’esterno, trasformando le loro celle in piccole enclave.
I registri storici e le testimonianze, inclusi gli studi di Odile Roblin per l’Institut Européen d’Histoire et des Cultures de l’Alimentation, documentano una dieta carceraria standard piuttosto povera. Per i detenuti comuni il pasto quotidiano prevedeva pane nero, una zuppa acquosa a base di cavoli o rape e, raramente, carne. Il vino era concesso in quantità minima, mentre acqua e birra annacquata completavano l’alimentazione.
Decisamente diversa era il menu dei prigionieri di rango, i quali potevano approvvigionarsi dai fornai parigini o farsi recapitare prodotti raffinati: pasticci di carne, formaggi stagionati, pâté, ostriche e persino pregiati volatili come piccioni e pernici. Alcuni di essi avevano accesso a vini di Borgogna e Bordeaux, cioccolato e confetture di frutta. Questo doppio registro alimentare rifletteva la stratificazione sociale della Francia prerivoluzionaria anche dentro la prigione che più di ogni altra simboleggiava l’assolutismo.
Il ruolo politico e simbolico del cibo
Il cibo nella Bastiglia non aveva solo valore nutrizionale, ma anche politico. Le disparità alimentari tra detenuti facevano eco alle ingiustizie sociali all’esterno. Le cronache riportano che, durante le visite ufficiali o le ispezioni, i piatti migliori venivano esibiti per testimoniare una presunta umanità del trattamento carcerario, mentre nella realtà gran parte dei prigionieri sopravviveva a stento.
La dottoressa Roblin evidenzia come il vitto dei reclusi fosse usato come strumento di ricompensa o punizione: un privilegio alimentare poteva essere concesso a fronte di buona condotta o revocato in caso di trasgressioni.
Dopo il 14 luglio 1789, i rivoluzionari trovarono nei depositi alimentari della fortezza tracce della vecchia cucina aristocratica, un elemento narrativo che divenne rapidamente propaganda per rafforzare l’immagine di una monarchia distante e corrotta. I racconti sui pasti opulenti dei nobili incarcerati circolarono per tutta Parigi, alimentando l’indignazione popolare.
Curiosamente, alcuni piatti di quel tempo, come le zuppe di cipolle e le terrine di selvaggina, rimasero nella tradizione culinaria francese, depurate dei significati politici, ma cariche di memoria storica.