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Tasmania da assaporare: patria di vini eccellenti, di una vivace scena gastronomica e di un’aria purissima

Lo stato insulare dell'Australia è una delle terre più interessanti per tutti gli appassionati del buon cibo e del buon vino.

È stata la prima cosa che ho notato appena uscita dall’aeroporto di Launceston: il profumo inconfondibile dell’aria pulita della Tasmania. I parchi e le aree selvagge coprono il 40% dell’isola, mentre quasi tutto il resto è occupato da terreni agricoli. Spazzata dai Roaring Forties, ruggenti venti occidentali che soffiano nell’emisfero meridionale, la stazione meteorologica di Cape Grim, all’angolo nord-occidentale dello stato, registra regolarmente l’aria più pura del pianeta. Nello stato più a sud dell’Australia, non lontano dall’Antartide, anche solo respirare è una delizia. Ma non finisce qui. L’uva conserva una succosa acidità grazie al clima freddo e marittimo della Tasmania (o Lutruwita, nome indigeno nella lingua palawa kani). Dopo aver assaggiato a New York gli avvolgenti Pinot Noir di Tolpuddle Vineyard, dalle intense note di mirtillo rosso e scorza d’arancia, ho deciso di fare un vero e proprio pellegrinaggio sull’isola alla scoperta delle sue vigne.

Pipers River: le radici dello spumante

Era sabato, così mi sono recata all’Harvest Market di Launceston, vetrina della generosa produzione locale. Qui ho capito perché la seconda città più grande della Tasmania, con le sue case vittoriane e il tranquillo e verdeggiante centro, è stata nominata Città della Gastronomia Unesco nel 2021. Tra banchi di bacche e patate, ho scoperto la Tassie scallop pie, un tipico snack locale dalla sfoglia friabile farcita di pesce. Dopo averne divorate due mi sono diretta a nord, verso Pipers River, la regione vinicola più settentrionale dell’isola. Il tragitto si snoda su strade tortuose tra gli eucalipti, fino ad arrivare dove l’omonimo fiume serpeggia tra colline ricoperte di vigneti e foreste, prima di sfociare nello Stretto di Bass, che separa la Tasmania dal continente.

Sebbene William Bligh avesse piantato delle viti lungo la costa della Tasmania già nel 1788, la viticoltura sull’isola è rimasta stagnante fino alla metà del XX secolo. Fu solo nel 1973 che le cose iniziarono a cambiare, con l’arrivo di Andrew Pirie, vignaiolo con un dottorato in viticoltura e grande appassionato della cultura enologica francese. «All’epoca, in Australia si produceva vino solo nelle zone più calde, come la Barossa Valley e la McLaren Vale. Ma la Borgogna, con il suo clima freddo, continuava a produrre il vino più pregiato (e costoso) di tutta la Francia», mi ha raccontato.

Pirie e suo fratello fondarono la Pipers Brook Vineyard, piantando Chardonnay e Riesling in questa zona fresca. I loro spumanti vinsero ben presto premi internazionali, proiettando la Tasmania sulla scena enologica mondiale. Il loro successo ispirò altri produttori a seguire la stessa strada, dando così inizio a una vera e propria vocazione isolana per le bollicine.

  • Jansz: dove oggi è possibile degustare la loro Premium Cuvée, un blend di Chardonnay e Pinot Noir, dai sentori floreali e di lievito, ammirando il panorama sul lago.
  • Clover Hill Wines: dove nel fine settimana nell’elegante sala degustazione vengono serviti piatti franco-giapponesi insieme al loro Noir en Bois, sapido e con un finale che ricorda la cera d’api.

Oltre le bollicine: il nuovo pinot noir

Oggi, infatti, quasi il 40% del vino prodotto in Tasmania è spumante. A causa del riscaldamento globale però, le temperature più elevate nel continente stanno rendendo la Tasmania un territorio ideale per produrre vini eccezionali anche oltre le bollicine: in particolare, il Pinot Noir rappresenta la seconda varietà più coltivata sull’isola.

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Nella cantina della sua attuale azienda, Apogee, Pirie mi ha versato un Pinot dal colore rubino che sprigionava profumi di rosa, ciliegia amara, spezie e mentolo. «Il Pinot Noir non deve essere necessariamente troppo robusto per essere buono», ha spiegato.

Questo fenomeno si ripete per molti altri vitigni. A causa della siccità e del caldo che colpiscono i vigneti dell’Australia continentale, aumentandone i livelli alcolici, molti produttori si stanno trasferendo in Tasmania, dove il clima più fresco permette di creare vini più leggeri e, al momento, molto apprezzati dai consumatori. Ne è un esempio Ricky Evans, che nel 2017 ha lasciato Adelaide per trasferirsi sull’isola.

All’Havilah, il suo wine bar situato nel cuore del centro Art Déco di Launceston, ha messo musica New Wave anni Ottanta mentre mi versava i suoi vini. Ho assaggiato:

  • Il suo OGG, un blend succoso e tropicale di Pinot Gris e Gewürztraminer fermentato a contatto con le bucce.
  • Il Pinot Noir Three Wishes dalle note di prugna, perfetto con le costolette di agnello speziate con dukka.
  • Un aromatico Cabernet Franc con delicate note di mirtillo.

La sua carta dei vini privilegia piccoli produttori come lui, anche se questa scelta gli dà qualche pensiero. «I prezzi dei terreni sono ancora bassi, ma avviare un’attività in questa zona è sempre più difficile. La domanda di uva è pazzesca», mi ha detto. La Tasmania produce appena l’1% del vino australiano, ma si stima che la produzione possa crescere di quasi il 400% nei prossimi 15 anni. «Gli investitori aziendali stanno acquistando vigneti e stanno mettendo in difficoltà i piccoli produttori», mi ha confidato.

Tamar Valley e la rivoluzione del Riesling

Il giorno successivo ho fatto visita a una coppia che, fin da subito, è riuscita a farsi strada nel dinamico mercato vinicolo della Tasmania. Constance Oliver, che ha studiato in Borgogna, ha conosciuto suo marito James nella Yarra Valley, nel continente australiano.

Nel 2022, hanno acquistato la tenuta Moores Hill Estate (mooreshill.com.au), alimentata da energia solare, nella Tamar Valley, la regione vinicola più antica e più grande dell’isola. Qui, i vigneti si arrampicano sul ripido versante meridionale del fiume Tamar, rivolti a nord. Moores Hill sorge su un crinale a circa cinque chilometri dal fiume. Ci siamo inerpicati fino alla sommità della proprietà, dove la brezza proveniente dallo Stretto di Bass mi ha costretto a indossare il maglione.

Nonostante la corsa alla terra in atto, gli Oliver trovano che il panorama vinicolo della Tasmania preservi un carattere semplice e genuino. «Ci rispecchia», mi ha detto James. Stanno ancora imparando a conoscere il loro vigneto, eppure i vini mostrano già un equilibrio straordinario. Il loro Riesling, dalla consistenza vellutata data dal contatto con le bucce e con un leggero residuo zuccherino a bilanciarne l’acidità, sprigionava un profumo di primavera e un gusto intenso di pesche.

Il Riesling raggiunge il suo apice da Pressing Matters (pressingmatters.com.au), nella Coal River Valley. Per questo motivo, da Launceston ho deviato a sud lungo la National Highway 1, in direzione di Hobart, una città circondata da cantine. Pressing Matters vanta un’ampia collezione di premi, un raffinato menu e una vasta selezione di Riesling con diversi livelli di zuccheri residui. Sebbene sia secco, il Riesling R0, grazie alla sua struttura decisa, si è sposato alla perfezione con le ostriche cosparse di furikake. Il Riesling R139, prodotto con uve colpite dalla botrite (il fungo chiamato “muffa nobile” per gli aromi di albicocca e miele che conferisce al vino), ha accompagnato splendidamente una fetta di cheesecake.

La Huon Valley e l’influenza italiana

Il giorno dopo ho seguito il fiume Derwent fino a Stefano Lubiana Wines. In questa zona meridionale dell’isola, il clima secco rende agevole la viticoltura biodinamica. «Le uve riescono davvero a esprimere il sapore del territorio e la loro capacità di invecchiamento è superiore grazie alla maggiore concentrazione che riusciamo a ottenere», ha spiegato Marco Lubiana, enologo di sesta generazione con origini istriane.

Con un’osteria in loco, una cantina sotterranea con pareti in pietra e un alambicco in rame dove il padre di Marco, che dà il nome all’azienda vinicola, produce la grappa, l’atmosfera che si respirava era tutta italiana. Ma i vini parlavano la lingua della Tasmania: il Pinot Gris bilancia la dolcezza fruttata con una nota marina e salina, mentre il Pinot Noir lascia in bocca un retrogusto di amarena e una leggera sfumatura affumicata. Anche lo Shiraz, l’emblematico vino rosso australiano, qui mantiene un profilo sorprendentemente agile.

Kate Hill (katehillwines.com.au) vinifica in un ex magazzino di mele, tra le verdi colline e gli storici frutteti della Huon Valley. Situata nella parte meridionale dell’isola, questa è la regione vinicola più fredda della Tasmania. «Abbiamo persino piantato lo Shiraz, una scelta che molti ritengono folle», mi ha raccontato la vignaiola al suo bancone di degustazione all’aperto. Raccoglie le sue uve così tardi che le foglie delle vigne sono già cadute. «Ma con la maturazione lenta otteniamo una maggiore intensità aromatica, un colore più profondo e tannini e corpo migliori», ha aggiunto.

Il suo Four Winds Estate Shiraz si distingue per un finale agrodolce, con note floreali e pepate.

Hobart: un centro gastronomico vivace

Con i suoi 160 produttori che realizzano vini di qualità straordinaria, la Tasmania offriva ancora molto da scoprire e degustare a Hobart. Se Launceston conserva l’atmosfera rilassata di una regione agricola, Hobart è invece una vivace città portuale, con una scena gastronomica dinamica e facilmente esplorabile a piedi. Ne ho approfittato. Per pranzo, le fettuccine con sugo bianco accompagnate da uno Chardonnay di Sonnen che sapeva di ananas brûlé al caffè Rosie in My Midnight Dreams. Poi il magnifico menu fisso del ristorante italiano Fico, abbinato a vini come un Pinot Gris Grey Sands 2018 che ricordava i funghi e la frutta con nocciolo. Per concludere un rinfrescante Sylvaner di Rivulet servito con una pralina alla nocciola nel vivace wine bar Sonny. All’Institut Polaire, la proprietaria Louise Radman ha abbinato il dentice in salsa vierge a un Pinot Noir prodotto da suo marito Nav Singh – un vino pigiato con i piedi, dalla terrosità che richiama la Borgogna –, spiegandomi il motivo del loro trasferimento da Adelaide: «Potevamo permettercelo e il clima era ideale».

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Il mio ultimo giorno in Tasmania ho pranzato al Bangor Vineyard Shed (bangorshed.com.au) sulla penisola di Forestier, nota per il suo clima rigido. Qui, Matt Dunbabin, agricoltore di quinta generazione, gestisce oltre 6mila ettari di terreno. «Con il riscaldamento globale, quest’area è diventata sempre più adatta alla coltivazione dell’uva da vino e sempre meno alla pastorizia», ha spiegato. «Per questo oggi, accanto ai vigneti, la cantina ospita e protegge 200 diavoli della Tasmania, un migliaio di wombat, wallaby e altre affascinanti specie selvatiche».

Con un sorriso, Dunbabin mi ha versato il suo Late Disgorged Blanc de Blanc, un delizioso spumante a sboccatura tardiva che unisce il gusto fresco della mela a una texture cremosa. Abbiamo brindato alla biodiversità della Tasmania, alla sua aria cristallina e, per ultimo, alla bellezza dei suoi vini.

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