Furore è soprannominato il “paese che non c’è” della Costiera Amalfitana. Perché non ha un centro storico ma solo una manciata di case, sparpagliate sulla montagna e aggrappate tenacemente alla roccia. È celebre per il suo profondo e spettacolare fiordo e per i suoi vigneti eroici, a picco sul mare, da cui nascono vini vigorosi e ammalianti come quelli di Marisa Cuomo. Il furor latino che dà il nome al borgo sembra però restare fuori dalla porta del Furore Grand Hotel. Quando varco l’ingresso non c’è frastuono ma una quieta eleganza, un silenzio dolce ad avvolgere gli ospiti, per lo più internazionali, che come me apprezzano il côté contemporaneo di questo albergo cinque stelle lusso con trentacinque camere e suite, una Spa indoor e outdoor e due piscine, di cui una infinity.
È qui che trascorro un rigenerante weekend di inizio estate, incuriosito soprattutto dall’offerta gastronomica, interamente supervisionata da Enrico “l’uomo delle stelle” Bartolini e garantita ogni giorno dall’ottimo resident chef Vincenzo Russo, classe 1995, già al fianco di Antonino Cannavacciuolo a Villa Crespi. Acquarasa è l’all day dining dall’identità casual e comfort: per una volta rinuncio a ordinare il Club Sandwich (la mia personale ossessione) e mi lascio tentare dal menu “È casa”, in cui Russo condivide i sapori della sua infanzia e dei pranzi della domenica, tra peperone ‘mbuttunat, genovese e polpette della nonna. Bluh Furore è invece lo spazio fine dining, premiato con una stella Michelin nell’edizione 2024, a pochi mesi dal debutto.

È aperto solo a cena: c’è ancora luce, quando mi accomodo a tavola sulla terrazza coperta, in prima fila, per godermi lo spettacolo. È un bagliore che contiene tutte le sfumature dell’azzurro. Lo sguardo, da qui, può allungarsi fino al Cilento, abbracciando tutto il Golfo di Salerno. Un orizzonte rasserenante, ipnotico, che mi predispone al meglio per la cena. Così come la sala – ammantata di bianco; la mise en place – minimale; il servizio – giovane, sorridente e volenteroso. La scelta tra i quattro menu degustazione – Amore e Furore, Il Filo Bluh, Ombre e Orme, Respiro della terra – è un dilemma e così lascio che sia la cucina a comporre un percorso su misura. Russo, con talento e lucidità di pensiero, racconta il territorio in una chiave moderna e identitaria, senza cadere nel folklore che a volte attanaglia la Costiera. Molte materie prime provengono dall’orto sintropico dell’hotel, inaugurato lo scorso anno, il resto viene da fornitori locali di fiducia. I piatti esprimono tecnica ed eleganza, tenendo ben dritta la barra del gusto: ecco il Festival di pomodoro e totani, la Pasta maritata di mare, i Bottoni alla parmigiana, la Rana pescatrice e zucchine e infine il Babà, sorbetto di rosa alla brace e gavotte al pralinato di caffè, un dolce che si ispira alla tradizione tutta napoletana del caffè sospeso. Per ogni corsa mi viene proposto un calice in abbinamento, che la sommelier Giovanna Ragno è brava a scegliere tra tante produzioni di nicchia presenti in carta (ma non mancano i grandi nomi, anche internazionali).
La precisione della cucina si conferma anche al momento della colazione, servita à la carte. Un cameriere mi mostra una selezione di viennoiserie di altissima scuola e io scelgo un fiocco al lampone, fragrante e perfetto, che è l’ulteriore e deliziosa nota di una partitura ben composta.