Si potrebbe pensare di essere dentro una delle creazioni del visionario architetto spagnolo Antoni Gaudí, tra grotte e colonne di roccia, antri segreti e quelle che sembrano le rovine di un castello, decori in ferro ritorto e pavimenti artistici. Invece siamo in Sardegna, su una collina a ridosso della costa tra il paesino di Baja Sardinia e l’incantevole spiaggia di Li Mucchj Bianchi. Qui, nel 1970, Andres Fiore – architetto originario di Parma ma anche commerciante di gioielli, avventuriero e mente inquieta e visionaria, personaggio geniale e fuori dalle righe come lo disegnano racconti e testimonianze – decise di aprire il Ritual: uno dei primi club del nord della Sardegna, all’epoca non ancora trasformata in un paradiso deluxe. Fiore aveva comprato praticamente “sulla carta” questa collina senza nemmeno averne visto del tutto l’incanto. Quello che oggi si gode venendo qui al tramonto per osservare lo spettacolo del sole che scompare tra rocce di granito e mare azzurro, magari con in mano un calice di Moët & Chandon – tra i partner di prestigo del locale – o un drink ben fatto.
Anno dopo anno, Fiore l’ha trasformato in uno dei club più amati della Costa Smeralda – che, tecnicamente, finisce qualche chilometro prima di arrivare a Baja Sardinia ma che proietta fin qui tutto il suo fascino glam, senza perdere quel tocco selvaggio che rende questi luoghi unici appena si esce un po’ dai resort di super lusso e dai centri dove la natura sarda ha ceduto il passo a boutique e ristoranti –, aggiungendo angoli riservati e scalette, e forgiando in prima persona i tondini di ferro che oggi decorano gli ambienti come sculture. In cima a tutto, ricreando una sorta di castello, immaginò la propria casa, da cui dominare la sua creatura e l’ambiente circostante.
Dal 2004 è Francesca Fiore, la figlia di Andres, a guidare il Ritual: all’epoca poco più che ventenne, ha saputo portarne avanti l’eredità mettendoci tutta la sua anima – allegra e determinata, intraprendente e profonda a dispetto da quello che ci si aspetterebbe dal mondo del clubbing e da queste terre solitamente bollate come modaiole – e riuscendo a fare del Ritual un luogo ancora più accogliente e sfaccettato, anche grazie a una squadra di collaboratori che lavora con professionalità, sorrisi e affiatamento. Se dal 2006 ha portato da queste parti la musica elettronica e un certo tipo di clubbing che guarda più al Pacha di Ibiza che al Billionaire, e che continua a evolvere senza necessariamente seguire le mode, a lei si deve anche l’apertura del ristorante rooftop Le Terrazze Ritual, inaugurato nel 2019 (e dunque giunto quest’anno alla sua sesta stagione, inaugurata il 12 giugno, anche se ne ha contate almeno due decisamente difficili per via della pandemia). Trasformando la parte superiore della struttura e le stanze del padre, ha creato ancora un altro spazio e un’altra occasione per vivere la magia di questo posto, tra angoli bar e tavoli a portata di sguardo sulla natura.
Fiore avrebbe anche potuto sorvolare sulla qualità dell’offerta, probabilmente, ma non l’ha fatto: se al Ritual Club si va per divertirsi e ballare sulle diverse piste ma anche per bere ottimi drink, la proposta gastronomica de Le Terrazze riesce a tenere il passo con la bellezza del luogo e, quando i calici si riempiono e i piatti arrivano in tavola, non è un gran sacrificio distogliere per un po’ l’attenzione dallo scenario circostante per concentrarsi sul cibo e fare un brindisi con uno Champagne millesimato, un vino sardo di ottima qualità o un eccellente cocktail della drink list studiata da Marco Pisellini, ispirata dall’idea del viaggio e della contaminazione tra culture. E anche il servizio – sorridente, premuroso ed efficiente nonostante i grandi numeri e l’atmosfera talvolta effervescente – è da ristorante di livello, anche grazie alla guida esperta e salda di Tiziano Rossi, direttore del rooftop restaurant e mixology bar.
A guidare la brigata di cucina – che lavora in quelle che furono le stanze di Andres Fiore – è da quest’anno lo chef Alessandro Cabona: di origini liguri e con diverse esperienze in hotel e relais 5 stelle, ha riletto alcuni classici delle Terrazze come gli ottimi Gamberi in Tempura e Misticanza accompagnati da tartufo nero estivo di Acqualagna, yuzu, maionese al dragoncello e peperoncino, la cui sapidità e freschezza vengono esaltate da un calice di Moët & Chandon Grand Vintage 2015 o la Calamarata “come una zuppa di pesce” (calamarata del Pastificio Mancini saltata in un brodetto di pesce in bianco e accompagnata da frutti di mare, crostacei, pesci di scoglio e dragoncello), ben accompagnata dalla struttura del Grand Vintage Rosé 2015 della maison. E ha inserito proposte personali come l’Orata e Mango (tartare di orata, mango, finocchi e peperoncino candito che rivisita il ceviche in maniera delicata) e l’interessante trancetto di ricciola con gazpacho tiepido verde, anguria e gel di pomodoro camone. Il menu si snoda tra proposte fresche e non banali, d’impronta decisamente mediterranea e prevalentemente a base di pesce, in cui l’aggiunta di frutta, spezie e un tocco molto ben equilibrato di piccante accompagnano le serate conviviali.
Nella carta dei vini del Ritual ci sono anche le etichette delle Cantine Surrau, bella azienda poco fuori Arzachena che si inserisce nella campagna gallurese con una struttura dall’allure contemporanea in armonia con il paesaggio circostante, i cui spazi interni sono in continuità con l’esterno grazie alle ampie vetrate, al legno e alle opere di arte contemporanea, fotografia e design disseminate tra i tavoli per le degustazioni e l’accoglienza, le bottaie e i prati. Voluta dalla famiglia di imprenditori edili di Arzachena Demuro riprendendo a partire dal 2001 l’antico stazzo con tre ettari vigneto che oggi sono diventati 70, e l’esempio del padre che in città aveva un emporio dove vendeva un po’ di tutto – dal cemento al vino sfuso – Surrau è oggi un nome importante tanto per la vitivinicoltura sarda che per l’enoturismo: aperta tutto l’anno, la bella struttura progettata dall’architetto Cecilia Olivieri (che segue anche la programmazione artistica e i diversi progetti della cantina) accoglie circa 22mila visitatori l’anno proponendo, oltre alle degustazioni “classiche”, anche quelle incentrate sui singoli vitigni, su verticali o sul territorio ad ampio raggio.
Ma pure aperitivi gourmet con prodotti locali e, al giovedì, la Tasting dinner con quattro vini in abbinamento ad altrettante portate create dallo chef Roberto Erbì. Nei filari ordinati, accarezzati da venti freschi come Maestrale e Tramontana, crescono su suoli ricchi di granito soprattutto varietà autoctone: vermentino in primis naturalmente, alla base anche dell’apprezzato Vermentino di Gallura Sciala, ma pure Cannonau, Carignano, Muristellu (nome tradizionale del Bovale sardo) e il raro Caricagiola, vitigno gallurese in gran parte abbandonato che qui diventa invece protagonista del Giola, fresco e sapido rosato Colli del Limbara Igt: «”Un vino da spiaggia”, come lo definisce l’enologo Mario Siddi senza alcuna intenzione di sminuirlo, anzi». E tra le etichette da assaggiare c’è il Montidimola, Vermentino di Gallura Docg da vendemmia tardiva il cui nome rimanda al toponimo originario – cantato anche da Fabrizio De André riprendendo un’antica filastrocca locale – della zona costiera di Arzachena che va da Capo Ferro fino al golfo di Cugnana: quella che oggi chiamiamo Costa Smeralda.