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Colline Teramane

Colline Teramane, il Montepulciano gioca meglio da giovane che in Riserva

Degustazione delle Anteprime della denominazione che si estende dal mare agli Appennini, con spiccate differenze tra i calici. L’allungo delle Riserva cerca un’identità più precisa.

C’è un Abruzzo “speciale” racchiuso tra il massiccio del Gran Sasso e il mare Adriatico, un anfiteatro fatto di colline e vigneti intermezzati da uliveti, campi coltivati, boschi, borghi, abbazie e monumenti di rilevanza storico-culturale. In questo territorio, articolato in quattro valli solcate dai fiumi Vomano, Tordino, Salinello e Vibrata, il Montepulciano d’Abruzzo trova una culla accogliente. E questo grazie all’orografia che favorisce una buona ventilazione (brezze di mare e di monte) e alla natura dei terreni (costituiti da depositi plio-pleistocenici), alla piovosità omogenea sull’anno e al clima temperato con importanti escursioni termiche tra giorno e notte. Per tutelare, valorizzare e promuovere l’identità sfaccettata di questo Montepulciano, è nato dunque nel 2003 il Consorzio di Tutela Vini Colline Teramane, che ha in seno la prima Docg abruzzese. L’area di produzione abbraccia l’intera collina litoranea e interna della provincia di Teramo. Attualmente la denominazione si estende su una superficie totale di 172 ettari con una produzione annua di circa 400 mila bottiglie, di cui almeno il 60% è destinato al consumo nazionale, il resto all’esportazione.

TRADIZIONE E ZONAZIONE

Uno studio (del 2009) realizzato dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Teramo in collaborazione con il consorzio ha messo in rilievo la solida vocazione vitivinicola del territorio, testimoniata almeno dal III secolo aC. Il lavoro è sfociato in un progetto di zonazione accurata, che sovrapposta alla mappa delle aziende agricole ha messo in evidenza come la sapienza antica abbia portato, nel tempo, gli agricoltori teramani a collocare i vigneti proprio nelle aree più favorevoli. Dagli scritti di Edoardo Ottavi e Arturo Marescalchi si apprende che l’Abruzzo di fine Ottocento contava su una produzione di circa 1,8 milioni di ettolitri da circa 170mila ettari di vigneto. E in quel periodo si colloca l’opera di modernizzazione svolta da Giuseppe De Vincenzi (già ministro dell’agricoltura e presidente della Società dei viticoltori italiani) che, partendo dalle osservazioni fatte in Borgogna, avviò un’attività di sperimentazione sui vigneti, evolvendo la produzione in cantina con nuove tecnologie e collegando i vigneti via rotaia. Dopo l’abbandono del primo Novecento, causa fillossera e spopolamento per l’emigrazione, con la fine della mezzadria le Colline Teramane hanno visto affermarsi aziende medio-piccole che, con alcuni pionieri al traino, hanno spinto sull’obiettivo della qualità a scapito di produzioni massive, imponendosi regole precise e un disciplinare rigoroso.

SOSTENIBILITÀ IN CHIAVE BIO

Dalla volontà di distinguersi deriva la scelta di preservare il territorio attraverso pratiche agricole improntate alla sostenibilità ambientale. «Oggi le aziende e il Consorzio sono concentrate sulla promozione di processi produttivi e gestionali di concezione avanzata – rimarca il presidente Enrico Cerulli Irelli – in sinergia con lo sviluppo di un turismo di scoperta e di prossimità che aiuti a valorizzare il lavoro dei nostri viticoltori. Oltre l’80 per cento delle nostre aziende ha scelto di lavorare in modo sostenibile: chi in regime biologico, chi in lotta integrata, chi seguendo pratiche biodinamiche. Le Colline Teramane insistono su un’area che comprende un parco nazionale, tre aree marine protette e sei riserve naturali».

UN MONTEPULCIANO “TERAMANO”

Viene da chiedersi, in questo contesto, quale sia la natura specifica del Montepulciano d’Abruzzo nella Docg Colline Teramane. Sotto il profilo del disciplinare, pur potendo integrare fino al 10% di Sangiovese, la schiacciante maggioranza dei produttori vinifica Montepulciano in purezza. E le tipologie attualmente presenti sono Giovane (invecchiamento obbligatorio di un anno, di cui almeno due mesi di affinamento in bottiglia) e Riserva (invecchiamento di almeno tre anni, di cui almeno un anno in botti di legno e almeno due mesi affinamento in bottiglia). La vera differenza emerge però guardando alla posizione: estendendosi dal livello del mare ai versanti appenninici, la denominazione accoglie produzioni nettamente variegate, con spunti sapidi e caldi nelle etichette che vengono dall’area costiera e invece maggiore verticalità e mineralità dalle aziende che hanno vigneti in altitudine.
Cosa raccontano dunque i calici? Tra i Colline Teramane Giovane emergono spunti stimolanti, soprattutto per chi ama la beva fresca (pur con una tendenza al calore), con una linearità essenziale e piuttosto sobria nello Yang 2020 di Barba o nel Le Murate 2020 di Nicodemi, ma anche nelle edizioni 2019 del Gruè di Cerulli Spinozzi e del Versosera di Velenosi. Apprezzabili, nonostante la spinta sul legno, anche i 2019 di San Lorenzo e Contucci Ponno. Tra i vini in allungo, da segnalare il Cortalto 2018 di Cerulli Spinozzi, il Voluptas 2016 di Monti e il Santa Maria dell’Arco 2015 di Faraone. Diverso il discorso rispetto i Colline Teramane Riserva, che in assaggio mostrano una certa pesantezza legata al legno ingombrante e a qualche scivolamento verso un’eccessiva riduzione. Se in anteprima molte etichette zoppicano, si segnalano alcune che trovano poi conferma scendendo in verticale: Escol 2016 di San Lorenzo spinge sul legno, che si integra bene nell’annata 2010; il brusco 2015 di Abbazia di Propezzano mantiene invece freschezza assaggiando la Riserva 2012; il pur sobrio Torre Migliori 2015 di Cerulli Spinozzi non convince del tutto, ma degustando il 2013 e il 2005 viene da dire che il tempo gli fa gioco.

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