Sagrantino Anteprima 2020

La terza via del Sagrantino, il tannino e la finezza

Dopo anni di lotta al tannino, la new wave del vitigno a bacca nera ne scopre il volto raffinato e, con vini più leggeri, sceglie di andare oltre i vecchi schemi, mettendo al centro una “Culturale Experience”.

C’era una volta il Sagrantino, vitigno complesso e indomabile, un cavallo di razza ma sempre recalcitrante con i suoi tannini duri e la sua potenza difficile da controllare. Un’uva da lavorare con caparbietà per ottenere un vino a tratti rustico, ma comunque per palati solidi. C’è stato poi chi, sulla scorta delle mode di fine XX secolo, ha scelto di lavorar sodo su quei tannini ammorbidendoli e arrotondandone le asperità, arrivando però a rendere poco riconoscibile (e molto internazionale) lo stile dei Sagrantino.

L’annata 2020, assaggiata in anteprima a Montefalco, sembra indicare una terza via verso cui i produttori sempre più spesso orientano il proprio lavoro in vigna e in cantina. Perché nel calice si scoprono assaggi sempre più eleganti e meno concentrati, più snelli e scarichi, meno scorbutici nel tannino – che rimane pur sempre un carattere dominante per il Sagrantino, preservato però in chiave di finezza. Un tannino dunque che seduce con il suo graffio anziché incastrarsi tra le gengive, tenendo dritti vini capaci di invecchiare con eleganza, appunto.

Il trend non è nuovo nella denominazione, ma se fino allo scorso anno erano in pochi a tracciare la strada, ora sembra che questo approccio abbia trovato nell’annata 2020 l’ispirazione per una più diffusa consapevolezza. E in fin dei conti l’evoluzione del Sagrantino verso questa terza via – allo stesso tempo più vicina al gusto contemporaneo eppure rispettosa di un vitigno identitario – potrebbe suggerire qualche spunto ad altre denominazioni in cerca di nuove strade per i propri rossi “di carattere”.

Annata facile o cantinieri accurati?

Qualcuno potrebbe dire che la 2020 è stata un’annata “facile”, avendo ottenuto 5 stelle nella valutazione dei tecnici. In realtà, per i vignaioli di oggi, non esiste più una stagione completamente favorevole. La 2020 è stata infatti caratterizzata da un inverno mite e abbastanza asciutto, cui è seguito un inizio di primavera con temperature sopra la media, seguito però da un colpo di coda invernale che ha abbassato le temperature con gelate e grandine. Maggio e giugno hanno visto precipitazioni frequenti e abbondanti, regalando ottime scorte idriche che hanno permesso alle viti di sopportare bene un’estate a tratti torrida. La fine di agosto ha visto un abbassamento delle temperature e l’inizio di un periodo fresco e umido.

I vigneron di Montefalco hanno dunque potuto raccogliere uve sane, perfettamente mature e di grande equilibrio. Eppure c’è sempre la possibilità di sbilanciarsi in cantina, rovinando di fatto tutti gli sforzi compiuti in vigna. Va riconosciuto invece che risulta accurata la descrizione che il Consorzio restituisce delle etichette in anteprime: «Nel complesso i vini dell’annata 2020 risultano seducenti: cesellati sul piano della polpa e della maturità del frutto quanto vibranti e dinamici. Anche i tannini, perfettamente maturi, appaiono impeccabili, saporiti e di buonissima eleganza».

Montefalco, l’enoturismo e l’Umbria in etichetta

Nei 30 anni di Docg la crescita del Montefalco Sagrantino è stata notevole: la superficie di vigneto iscritta a denominazione ha visto un netto incremento dal 1992 (66 ettari) al 2022 (390 ettari). Dal 2000 a oggi la produzione del Sagrantino è quasi raddoppiata: da 660mila a oltre 1 milione di bottiglie. I principali paesi di destinazione dell’export per i vini di Montefalco sono Stati Uniti (13%), Germania (4%), Belgio (3%) e Giappone (3%), una ripartizione che dimostra la multiformità di espressioni capaci di conquistare palati molti diversi.

Non è però solo l’impegno enologico verso un miglioramento costante a rafforzare il posizionamento sui mercati internazionali. Una componente che risulta chiave di volta per l’affermazione dei vini è racchiusa in una parola: territorio. Questo significa innanzitutto mettere al centro la qualità del paesaggio. Ecco perché i Consorzi regionali – con Montefalco capofila – sono uniti in un progetto che ha l’obiettivo di posizionare in maniera ancora più incisiva il brand “Umbria” oltreconfine. Le due Docg della regione hanno già avuto approvazione delle modifiche al disciplinare dalle rispettive assemblee: su Montefalco Doc e Montefalco Sagrantino Docg è stata introdotta la possibilità da parte dei produttori di inserire l’indicazione geografica e la stessa scelta è stata compiuta anche da Torgiano e Orvieto.

Questione di nomi e di parole, ma anche e soprattutto di visione in chiave enoturistica. Perché Montefalco è oggi una destinazione vocata per una fascia sempre più ampia di winelover e bikelover, grazie ai progetti di valorizzazione dell’esperienza in versione green. E in effetti il rapporto diretto con i consumatori del vino – di ogni età, provenienza ed estrazione – è la chiave di un potenziale di crescita che affonda le radici nella terra di queste colline.

Va dato atto al Consorzio di Montefalco di aver saputo costruire un legame solido tra calice ed esperienza di bellezza, tale da consentire di mettere il vino al centro di una “Cultural Immersive Experience” che passa per il Museo del Sagrantino (recentemente inaugurato), i tour in e-bike tra le cantine, l’enogastronomia e lo straordinario patrimonio culturale che ogni visitatore può scoprire nei territori di questo pezzo di Umbria.

Assaggi di qualità, tra Sagrantino e Trebbiano Spoletino

Annata perfetta? Ai posteri l’ardua sentenza. Nel frattempo, quello che si può dire è che i calici del Sagrantino – ben considerando che si tratta di assaggi di vini ancora giovanissimi, praticamente infanti – danno un quadro in evoluzione (positiva).

Si trova innanzitutto una conferma rispetto ai vini di Antonelli, di Scacciadiavoli, di Tabarrini, che si erano distinti negli ultimi anni per una eleganza innata, tanto più intrigante in quanto svelata attraverso espressioni diverse. La compostezza del Sagrantino di Antonelli ne fa da tempo un benchmark per il territorio, lo slancio teso di Scacciadiavoli trova nell’annata 2020 ulteriore eleganza e la personalità dei tre cru di Tabarrini colpisce per l’aderenza alla vigna, anche se l’ultimo nato (Il Bisbetico Domato) per qualcuno risulta poco riconoscibile come Sagrantino per una lunghezza affascinante, diafana e sofisticata.

Accanto ai “soliti noti”, emerge una schiera di ulteriori espressioni di eleganza nel calice: Bocale e Briziarelli mettono in evidenza il frutto senza eccessi, accompagnando un sorso flessuoso, mentre Lungarotti trova una quadra che fa scivolare l’affinamento in legno lontano sullo sfondo; analogamente il Valdimaggio di Arnaldo Caprai mette in evidenza una bella linearità tra frutto e struttura. Convincono l’Etnico firmato Di Filippo e il Terra Cupa di Romanelli, capaci di profondità e di portare il frutto croccante intessuto nella trama dei tannini, mentre altre interessanti etichette come Goretti, Mevante, Valdangius richiedono un’attesa ulteriore per dare il meglio nel sorso.

L’anteprima Sagrantino è anche l’occasione per assaggiare i Trebbiano Spoletino. Uva bianca antica di grande fascino e personalità, raccolta in vigneti spesso ultracentenari e a piede franco, a volte maritate ad olmi o aceri, è una varietà vigorosa, resistente a molte malattie. Nei calici si trovano espressioni di grande bellezza, come il Poggio del Vescovo e il Misluli di Ninni – vini che sono capaci di delicatezza e profondità che ricordano alcuni grandi francesi – o come il Vigna Tonda di Antonelli, un cru capace di esprimere la personalità di un grande bianco. In generale, però, il Trebbiano Spoletino cerca una linea identitaria tra etichette che spingono sul frutto e altre sull’aromaticità, tra sorsi più asciutti e altri più succosi o piacioni.

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