Cerca
Close this search box.
Trattoria Amerigo in Valsamoggia

Ritorno in trattoria

Una piccola rivoluzione sta investendo la tavola italiana. Complice forse anche l’avvicinamento di quegli chef da fine dining, cerchiamo di capire meglio in cosa consista questo vento di cambiamento, in un viaggio da nord a sud attraverso i luoghi che stanno scrivendo il futuro della nostra.

Alcuni anni fa l’iniziativa imprenditoriale di un ristoratore dei colli bolognesi, Alberto Bettini (alias Amerigo a Savigno) faceva sì che quella che poteva restare una semplice trattoria del comune di Valsamoggia si trasformasse in un laboratorio di qualità in cui il quotidiano diveniva speciale grazie a un attentissimo approvvigionamento di materia prima di qualità, alla sistematizzazione del lavoro, a una valorizzazione del contenuto attraverso il racconto e la proposta originale. Alberto aveva viaggiato e si era ispirato alle grandi case stellate d’Europa per poter costruire il suo Amerigo dal 1934 (dal nome del nonno), solo che lo stile, l’attenzione per il dettaglio, le proposte
degustazione qui vengono applicati a una trattoria e non alla cucina creativa. Non è un caso che questo sguardo al futuro, ma con radici saldamente ancorate al territorio, possa vantare anche 25 anni di stella Michelin, sostanzialmente l’unica mai data in Italia a una trattoria che fa davvero la trattoria, perché invece di ristoranti vestiti da trattorie ce ne sono tanti. L’eccezione che conferma la regola, insomma, perché di stelle a insegne del genere la Michelin continua a non darne. Qualche anno dopo, nel 2008, nasce un’altra trattoria emblematica che farà storia: il Consorzio di Torino. Andrea Gherra e Pietro Vergano, non nuovi del settore, mettono insieme l’idea di trattoria che a Torino non c’era, tanto che gli appassionati del tema dovevano rifugiarsi nelle Langhe. Gli ingredienti di base sono la fortissima valorizzazione dei prodotti del territorio e l’esclusiva proposta di vini naturali, con un’attualissima propensione alla provocazione tra frattaglie sconosciute ai più e produttori estremi. Le loro relazioni e la capacità di far rete con ciò che di rivoluzionario stava avvenendo in gastronomia, unitamente all’alta qualità della proposta, fanno del Consorzio un indirizzo di culto che finisce in breve tempo sulle copertine delle riviste di settore di mezzo mondo. E il Consorzio, non va dimenticato, è un ristorante che ha visto passare dalle sue cucine chef di valore, come l’attuale Valentina Chiaramonte, ma che rimane un locale che si fonda più sull’identità della sala che non sulla griffe di cucina.

Bene, abbiamo scelto questi due locali perché in qualche modo possono essere considerati veri apripista, due modelli che per mille diverse ragioni hanno ispirato la nouvelle vague della trattoria. Una nuova tendenza che non si basa, però, su una semplificazione della ristorazione di alto livello in chiave tradizionale. Che non c’entra nulla, per noi, con gli spin-off dei ristoranti né con l’ondata, pur interessantissima, della nuova bistronomia. E neanche con le cucine sostenibili in masserie di lusso. Quella di cui vi raccontiamo qui è la riscrittura della trattoria con il vocabolario della trattoria stessa: sono progetti che partono dal basso e che vogliono essere inclusivi. Non si propongono a chi è annoiato dai ristoranti o ai gourmet ma a tutti: famiglie, giovani, talvolta addirittura a chi cerca una ristorazione di servizio per una pausa lavoro o in viaggio. Sono luoghi autenticamente aperti e che sanno fare rete con il territorio che li ospita, che si tratti di produttori (la cucina può anche essere fantasiosa ma le materie prime sono sostanzialmente di prossimità) o di avventori, perché buona parte del loro mercato è locale. La nuova trattoria è questo ed è stata riscritta da un’imprenditoria giovane e indipendente.

Vogliamo dunque raccontarvi lo stato dell’arte di questo affascinante mondo nuovo dalle radici profonde, in un ipotetico viaggio da nord a sud che possa regalare non solo sfumature di gusto ma significative esperienze umane. Una delle cose più belle del mondo delle trattorie e delle osterie risiede proprio nelle storie degli uomini che lo compongono, creatori o timonieri che siano, cucinieri o osti. Sono storie che si traducono in esperienze in cui la tavola non è solo un luogo del mangiare ma un importante luogo del vivere. Dove la convivialità è tutto. Da questo punto di vista non si può non partire da una delle vicende più intense e affascinanti del Piemonte, quella di Juri Chiotti. Siamo sulle montagne cuneesi, nel vallone di Valmala, frazione di Chiot Martin, non lontano da Busca e da Costigliole Saluzzo. Ci si arriva facile dalle strade a valle, una mezz’ora di viaggio in auto, ma qui c’è poco in comune con la dolcezza dei paesaggi del cuneese più conosciuto. Questa è montagna vera, una delle tante valli che si susseguono dal Monviso alle Alpi Marittime. Una montagna incontaminata che Juri ha scelto per un percorso di libertà, quello di Reis (che significa radici), cibo libero di montagna, appunto. Una fuga dalle esperienze stellate a cui Chiotti si era dedicato anni fa per costruire una gastronomia davvero olistica fra piccoli allevamenti e foraging. I piatti hanno una forte dose di creatività ma è una creatività utile, dalla genesi familiare (questa è la borgata da cui proviene la famiglia dello chef), e l’accoglienza è davvero inclusiva.

Altre montagne, anzi colline, quelle dei Cacciatori di Cartosio, sempre in Piemonte ma a più di due ore e mezza di strada da Chiot Martin, sui rilievi dolci che dall’alessandrino portano in Liguria. Cartosio è ai margini del Monferrato, in una zona di grande interesse ambientalistico in cui i paesaggi si mescolano e si fondono (e con loro i tratti distintivi dei sapori), situato su una strada che una volta era una delle poche che portavano i lombardi e piemontesi al mare, quando ancora non esisteva l’autostrada. Se andate a cercare su vecchie guide turistiche il Cacciatori lo troverete, perché ha una lunga storia e tante glorie. Non era una trattoria, ma un importante ristorante con camere per la sosta. Sono gli eredi di questa bella vicenda, Federica Rossini e Massimo Milano, a semplificare accoglienza e proposta in chiave contemporanea. Oggi qui potete trovare una delle migliori trattorie d’Italia, forse l’unica a cucinare tutto ancora con la stufa a legna, meglio conosciuta come “cucina economica” o, qui in Piemonte, putagé. Cotture lente ma non particolarmente invasive, riflessione sulle materie prime e grande attenzione agli equilibri sono i punti fermi di Federica. La frittata con l’erba San Pietro, i tagliolini pomodoro e prezzemolo, il pollo alla cacciatora e una straordinaria crostata (trovate qui la ricetta) possono essere il percorso emblematico per comprendere questa tavola. Scendendo verso il mare, e poi virando verso Levante, una delle tappe imperdibili per comprendere passato e futuro della trattoria italiana è a Ne, piccolo comune sparso della provincia genovese, che non è però sul mare. La Brinca dista infatti, in linea d’aria, una manciata di chilometri da Portofino ma si trova nascosta fra colline che disegnano un altro mondo. È una campagna verde intenso che produce tanto dal punto di vista vegetale. Qui la famiglia Circella ha creato un tempio dell’ospitalità che offre autentica cucina ligure di terra: pesto, prebuggiun, lattughe in brodo. Con lungimiranza Sergio, il babbo, ha lasciato spazio ai suoi due figli, Matteo e Simone che oggi, fra tavola e cantina, propongono la loro attualizzata visione di questa irrinunciabile tavola di campagna.

Ma adesso torniamo in montagna – anche perché la montagna è uno dei topos più importanti per il mondo delle nuove trattorie – per incunearsi in una laterale della Val Camonica, praticamente a metà fra il Lago d’Iseo e la Valtellina. Qui a Lozio una vecchia trattoria di famiglia ha testimoniato gesti e tradizioni immutati per molto tempo. C’era davvero una nonna a darne continuità. Ma poi la giovane Greta incontra Vittorio Fusari, grande chef che ha fatto grande la cucina di queste terre aggiungendo ai saperi locali creatività e visione, e lui la aiuta ad avere uno sguardo nuovo su quel territorio. Sarà l’ingresso di Greta in cucina a riproporre prodotti che si erano sempre utilizzati, ma poi persi. Primo fra questi il lichene islandico che cresce solo da queste parti (oltre che, ovviamente, in Islanda) e che
Al Resù si usa per molti piatti (fra tutti le frittelle e le insalate). È intenso, molto amaro e dal sapore caratteristico. C’è tanta autoproduzione dietro il lavoro di Greta, dal pane alle carni e all’orto. E anche qui, come da Chiotti, è una cucina che vola alto senza per questo dover sofisticare la tavola o lo stile. Restando in Lombardia ma scendendo da Brescia verso Cremona, al confine con la provincia di Mantova, troviamo una moderna osteria che è da sempre anche luogo d’incontro, letterariamente caffè. Una collezione di premi e riconoscimenti tributati alla famiglia Malinverno è il biglietto da visita di questo locale sulla bella e storica piazza di Isola Dovarese. Qui animali da cortile e pesce d’acqua dolce sono alla base di un menu piuttosto proteico in cui campeggiano culatello, riso alla pilota, tortelli di zucca, bollito misto. Non mancano tuttavia colori e profumi dall’orto, così come delle tante erbe spontanee raccolte in prossimità sulle rive di fiumi e fossati. Federico è gran padrone di casa e il suo Caffè La Crepa è il paradigma di una generazione che si è aperta una nuova strada, più consapevole. Se si sale in Sudtirolo si deve invece fare una deviazione dalle rotte più battute per trovare una delle tavole più stimolanti e in evoluzione. Il Pitzock di Oskar Messner è infatti sotto le cime delle Odle, sulla strada per il Passo delle Erbe ma dal versante opposto a quello della Badia. Un progetto di cucina alpina che ha trasformato una modesta locanda in un piccolo laboratorio di sapori localissimi, perlopiù della Val di Funes. Tra gli ingredienti caratteristici l’agnello con gli occhiali Villnösser Brillenschaf, da poco Presidio Slow Food (e protagonista di questa ricetta).

A questo punto torniamo in una delle terre più emblematiche in tema di cucina identitaria: l’Emilia. Podenzano è nel piacentino ma il piacentino è terra di confine: non troverete tortellini e gramigna, per intenderci. All’Ostreria Fratelli Pavesi (dove il “tre” del nome fa riferimento al numero dei fratelli), c’è anzitutto un’idea di convivialità, quella più autentica, fatta di entusiasmo e di emozioni, ma non per questo rumorosa o grossolana. Qui si uniscono culture come quella del buon vino, degli animali da cortile, della campagna e dell’Università, perché l’oste Giacomo, alias Jack, viene da una laurea in Scienze gastronomiche a Pollenzo. Sono diventati famosi, i fratelli Pavesi, anche per la loro Bomba di riso. Un piatto classico che è un trionfo barocco capace di mettere insieme la grande tradizione locale del riso con il concetto di timballo e il ripieno di piccione. E ci sono avventori che arrivano qui da molto lontano per provarla. Dall’Emilia alla Romagna per una deviazione di quelle che valgono il viaggio. E la deviazione dalle strade più battute, come si è visto, è una costante per le piccole (grandi) economie di scala, per le nuove cucine di territorio. Si deve andare a Galeata, risalendo da Forlì verso l’Appennino, per un’osteria con locanda che tiene alta la bandiera di Slow Food. Roberto e Alessandra si svegliano con il canto del gallo al mattino presto (tanto se non c’è quello ci sono le campane) e imbandiscono una tavola che sa accogliere come poche altre. Un impegno quotidiano e meticoloso, a ridosso del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, in una Romagna che non è quella riminese ma quella del focolare, del tortello cotto sulla lastra, delle castagne e delle zuppe di erbe. Qui si viene accolti come a casa, per davvero, e il conto finale è fra i più onesti. E così, volendo, la sosta in una delle belle camere diviene una possibilità, per vivere appieno l’atmosfera de La Campanara

In Toscana invece non sempre è facile trovare indirizzi non turistici che facciano al caso nostro. Ce n’è però uno a Monteriggioni, per la precisione ad Abbadia Isola, una frazione del comune, fuori dalle mura ma non per questo meno affascinante. Porta la contemporaneità nel nome, in una declinazione un po’ preziosa ma efficace, quella di Futura Osteria, e che si riscontra subito nella proposta di cucina. Il
locale, custodito all’interno del piccolo borgo, con qualche tavolino all’esterno per l’estate, è arredato in maniera semplice con richiami alla tradizione e qualche tocco di modernità. L’aglione, che da queste parti è un must e che non va confuso con l’aglio in formato più grande, può essere uno dei complementi dei gustosi primi piatti. Comunque la freschezza della materia prima è il minimo comun denominatore di un menu che vede spesso preparazioni artigianali inaspettatamente “fatte in casa”, come nel caso dei salumi.

Un po’ di chilometri verso sud, tornando sul versante adriatico, troviamo invece uno dei segreti meglio custoditi della ristorazione di pesce italiana. A Roseto degli Abruzzi c’è Vecchia Marina, trattoria che non ha mai ceduto alle lusinghe di un pubblico spesso sedotto dai “ristorantini di mare”. Qui l’investimento (e la ricerca) di Gennaro D’Ignazio è tutto sul contenuto: questa è una vera trattoria di pesce con tegami in tavola, grande materia prima, nessun fronzolo (dal loro ricettario arriva il Mezzo pacchero protagonista della nostra copertina). Si conoscono le barche dei pescatori, le stagioni del pesce e si va al mercato di Giulianova tutte le notti. E da qualche tempo l’attenzione si è focalizzata su un “altro mare”, per andare oltre le poche specie troppo richieste sul mercato. Un interessante percorso gastronomico, supportato da Slow Food Abruzzo, nel quale si cerca di valorizzare i pesci poco conosciuti ma tutt’altro che poveri. E fra canocchie, suri, tracine, pescatrici, patelle, paranza e gamberetti la ricchezza di sapore è assicurata, così come un futuro per gli ecosistemi marini.

È abruzzese anche Sarah Cicolini, ma di Guardiagrele, sotto la Maiella, e il suo ristorante è a Roma. Anzi, è il ristorante più prenotato di Roma, con una lista d’attesa media di un paio di mesi. È SantoPalato, nella zona di San Giovanni, oggi in piazza Tarquinia, ma un trasferimento in una nuova e più ampia sede sempre in zona – con cucina, sala, cantina e tavolo sociale articolati su due livelli, per un totale che sale a 50 coperti – è prossimo. SantoPalato è proprio una trattoria, con lavagna dei piatti del giorno annessa, ma la cucina di Sarah è un concentrato di personalità. Prodotti romani, laziali e abruzzesi, tecniche moderne e spirito indie rock sono alla base di un menu che ha alcuni punti fermi ma anche molte proposte del giorno. È tutto piuttosto saporito (semanticamente parlando, per le qualità sensibili presenti nei cibi) e fortemente intrecciato con la selezione di vini naturali che, un po’ come al Consorzio di Torino, qui costituiscono parte stessa del discorso gastronomico. E, idem come sopra, le frattaglie: non perdetevi la trippa, appunto (ecco la ricetta). Altro contesto altro scenario: quello della Penisola Sorrentina. A Sant’Agata sui Due Golfi, proprio di fronte al celeberrimo Don Alfonso, se la regna Mimmo Di Gregorio con Lo Stuzzichino. Il coraggio di una grande osteria in una zona che più turistica non si può. E il lavoro sull’orto, l’Orto Ghezi, un grande appezzamento di terreno a poche decine di metri dal ristorante, in questo lembo di terra baciata dalla natura e dal sole. Un progetto costruito un pezzo alla volta, proprio come accadde agli Iaccarino anni fa, e che oggi sostanzia una produzione agricola significativa che riempie i piatti di una cucina semplice ma molto precisa. Perché trattoria qui non significa approssimazione e retorica: piuttosto artigianalità e origini. Capiterà di assaggiare il gamberetto di nassa di Crapolla o una pasta mista o che vi possano servire un semplice pomodoro appena colto e ancora tiepido. E anche la scarola imbottita di cui condividiamo la ricetta. Qui non serve il virtuosismo tecnico perché c’è già tutto nel sapore. Di fronte a Sorrento, da Punta Campanella la si tocca con un dito, c’è invece l’isola di Capri. Paradigma della ristorazione costosa per turismo d’alta gamma, e purtroppo non sempre di qualità, a Capri non è facile imbattersi in proposte alternative. Da qualche anno, però, ad Anacapri c’è quella di Columbus Capri, una vera osteria gestita e scandita dai ritmi sani di una coppia che cerca di vivere l’isola come se non fosse invasa ogni giorno da orde di visitatori. Questa caffetteria-ristorante testimonia persino di prodotti (e olio) isolani e offre una cucina semplice quanto unica. E i prezzi sono davvero onesti.

La Puglia rurale dell’agricoltura più pura è invece quella di Pietro Zito, affermato cuoco e oste. I suoi Antichi Sapori si possono permettere di avere come giorno di chiusura il sabato e la domenica, proprio nel segno della sostenibilità, anche quella dei lavoratori. Qui un orto immenso produce tutto ciò che sostanzia i piatti di una cucina capace di trasformare una cipolla arrosto in un’opera d’arte. Ma solo se l’orto l’ha prodotta, perché qui si mangia quel che la terra offre ogni giorno, solo quello. E allora via alla purea di fave, alle cicorie spontanee, al carciofo con le olive. E l’attenzione alla natura è sostenuta anche da azioni concrete a livello energetico con il riciclo delle acque e le energie alternative. Di nuovo in montagna, invece, per la storia della Pecora Nera di Albi. Siamo sulle montagne calabresi, a più di ottocento metri sulle pendici della Sila. Potremmo dire in una delle zone meno conosciute ma più affascinanti dell’appennino italiano. Buturo è un piccolo villaggio circondato dai boschi di abeti bianchi, pini e faggi secolari e la locanda propone una cucina tradizionale capace però di una continua reinterpretazione ed evoluzione. Verdure, salumi e formaggi hanno sapori decisi, le paste sono fresche e condite con sughi di erbe, la ricotta freschissima. È bandita persino l’acqua minerale e la fonte da cui si attinge è a 1.600 metri sul livello del mare.

L’ultima tappa di questo viaggio saporitissimo è in uno degli estremi del Belpaese, a Donnalucata in provincia di Ragusa. Qui da qualche tempo, dopo una pausa di riflessione, officia Carmelo Chiaramonte (che non è parente di Valentina del Consorzio), cuciniere errante. L’osteria Caro Melo è il salotto di casa sua, disordinato e accogliente come pochi, profumatissimo. Lo è anche il pergolato estivo in cui il cuciniere interpreta i sapori di una cucina che sì, è siciliana, ma è soprattutto il prodotto di un percorso culturale tutto personale in cui il foraging raccoglie saperi orali, riti, attinge a granai di memoria rimasti incustoditi. Percorsi che il cuoco costruisce attraverso la propria sensibilità e qualche piccolo miracolo, senza nulla di predefinito. Caro Melo è un posto gentile e gioioso che, pur nelle sue stravaganze, accoglie tutti. Perché probabilmente la vera rivoluzione di queste meravigliose trattorie contemporanee sta proprio nella capacità di accogliere e confortare. Una ristorazione inclusiva, finalmente.

Maggiori informazioni

REIS, Borgata Chiot Martin Valmala, Busca (CN)

RISTORANTE CONSORZIO, Via Monte di Pietà 23, Torino, ristoranteconsorzio.it

CACCIATORI, Via Moreno 30, Cartosio (AL), cacciatoricartosio.com

LA BRINCA, Via Campo di Ne 58, Ne (GE), labrinca.it

AL RESÙ, Via Armando Diaz 25, Lozio (BS), ristorantealresu.it

CAFFÈ LA CREPA, Piazza Giacomo Matteotti 14, Isola Dovarese (CR), caffelacrepa.net

PITZOCK, Via Pizack 30, Funes (BZ), pitzock.com

OSTRERIA FRATELLI PAVESI, SS45 8, Podenzano (PC), ostreria.it

TRATTORIA DA AMERIGO, Via Guglielmo Marconi 14/16, Valsamoggia (BO), amerigo1934.com

LA CAMPANARA, Via Borgo Pianetto 30, Galeata (FC), osterialacampanara.it

FUTURA OSTERIA, Piazza Garfonda 10, Monteriggioni (SI), futuraosteria.it

VECCHIA MARINA, Lungomare Trento 37, Roseto degli Abruzzi (TE)

SANTOPALATO, Piazza Tarquinia 4 a/b (a breve si trasferirà in via Gallia 30), Roma
santopalatoroma.it

LO STUZZICHINO, Via Deserto 1/a, Massa Lubrense (NA), ristorantelostuzzichino.it

COLUMBUS CAPRI, Salita Caposcuro 8, Anacapri (NA), columbuscapri.com

ANTICHI SAPORI, Piazza Sant’Isidoro 10, Andria (BT), antichisapori.pietrozito.it

LOCANDA PECORA NERA, Villaggio Buturo, Albi (CZ)

CARO MELO, Via Sanremo 7, Scicli (RG), caromelo.it

Condividi

Facebook
Twitter
LinkedIn
Articoli
correlati