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Un nuovo sguardo su Ischia sempre più meta gastronomica

L’isola del golfo di Napoli non è solo una destinazione balneare e wellness ma ormai, a tutti gli effetti, uno dei posti migliori in cui mangiar bene

Nicola Mazzella era un pescatore subacqueo, prima di diventare vignaiolo per seguire le orme del padre Antonio e del nonno di cui porta il nome, che fondò l’azienda di famiglia nel 1940. La sua storia, che ci racconta tra la perlustrazione della Vigna del Lume, a picco sul mare, e la visita alla cantina nel borgo contadino di Campagnano, riassume bene la duplice anima di Ischia: mare e terra, con una netta prevalenza del secondo elemento sul primo, almeno fino a che, negli anni Sessanta, è arrivato il turismo. Prima quello di élite, nato con Angelo Rizzoli che unì il suo amore per l’isola all’imprenditoria alberghiera. E poi quello di massa, soprattutto tedesco, attratto dalle proprietà delle acque termali locali, dalle belle spiagge e da prezzi più abbordabili di quelli della vicina Capri.

Oggi però Ischia è pronta per una nuova fase, che non esclude i grandi numeri ma si rivolge anche a un pubblico più attento, che qui trova alberghi di lusso dall’animo caloroso ma anche un’autenticità mediterranea che prova ad aggirare le logiche del turismo da cartolina, o da Instagram. E sapori unici.

Il vino di Ischia: vigne eroiche e sapori di territorio

Il suolo vulcanico dell’isola, in cui il lapillo si alterna al tufo verde, il basalto alle pomici, è alla base di un terreno fertile su cui cresce un’abbondanza di prodotti. A cominciare dall’uva, che qui è soprattutto la Biancolella: dal colore verde chiaro, nelle sue versioni più semplici (ma ben fatte) dà vini “amichevoli e gentili”, senza troppe pretese, che profumano di ginestra e macchia mediterranea. «Si abbinano alla perfezione tanto con le alici fritte quanto con un tramonto in vacanza», riassume efficacemente Lucia La Monica, che guida in maniera schietta e coinvolgente visite e degustazioni in cantina. Un profilo che cambia, e acquista complessità nel Vigna del Lume, una delle etichette di punta di Mazzella che porta la Doc Ischia nel mondo: spiccatamente minerale e talvolta ricco di profumi balsamici, nasce dalle vigne coltivate a o’ lummo, appezzamento a 100 metri sul livello del mare (ma anche meno, sulla punta) in una ex cava di pomice accanto alla baia di San Pancrazio: una parte dei filari è ancora ad alberello ischitano, con le viti legate alle pergole di castagno con i cutoli, tralci di salice tenuti in ammollo nell’acqua fino a diventare elastici e resistenti.

Oggi le motocarriole riescono ad arrivare fino a un certo punto, ma nelle parti più basse le uve vengono ammostate in vigna e portate via mare fino a raggiungere il porto, e poi a Campagnano: un’operazione non semplicissima in cui l’esperienza acquatica di Mazzella si rivela utile. «È un vino tra terra e mare», sintetizza lui prima che Lucia ci faccia assaggiare anche il Villa Campagnano, Epomeo Bianco Igt dove la Biancolella incontra la Forastera, l’“uva straniera” arrivata dopo la fillossera ma perfettamente ambientata sull’isola, che dona corpo a questo «vino samurai» minerale e sapido, e altre etichette ancora.

Nino Di Costanzo e la nuova cucina ischitana

E tra terra e mare sono anche molti dei piatti che assaggio nei miei giorni isolani, ritrovando a Ischia la fama di “mangiafoglie” dei napoletani e lo stesso ingegno nel trasformare ingredienti semplici in ricette favolose, che siano quelle veraci della tradizione o rilette dagli chef.

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Nino Di Costanzo, chef patron di Danì Maison – raffinato ristorante due stelle Michelin ospitato in quella che era la casa paterna su una collina alle spalle di Ischia Ponte, oggi circondata da un giardino incantato dove piante e fiori si mescolano all’arte contemporanea – è di certo l’interprete più noto delle nouvelle vague gastronomica ischitana. E probabilmente anche quello con le idee più chiare, che persegue da quando è rientrato sull’isola dopo esperienze tra Italia e Spagna, e ancor più da quando, nel 2016, ha aperto la sua insegna. «Per me la parola chiave è identità: chi ne ha una ben determinata, non ha mai corso il rischio di essere snaturato dal turismo», spiega. «Da Danì Maison, da sempre seguo la filosofia di rendere moderno ciò che è tradizionale. Lavoriamo quello che il territorio ci offre, con tecniche attuali e spesso anche mutuate da altre culture come quelle nordiche o asiatiche, ma sempre servendo nel piatto qualcosa di molto riconoscibile». Tra i piatti del menu 2025, accanto a classici come l’Agnello in Parmigiana di Melanzane, ci sono anche Patate, Caviale e Eucalipto – in cui i tuberi prendono diverse consistenze e colori cuocendole in estratti di altre verdure, e diventano i petali di un fiore completato da salsa acida e caviale – e il Peperone del Monaco, che rivede il tradizionale ortaggio imbottito con gelatina di peperone alla griglia, Provolone del Monaco ed estratto di prosciutto crudo. E se la sala del ristorante è ancora più moderna e accogliente, la cantina si è arricchita di scaffali e bottiglie ed è stata inaugurata anche la Salumeria: uno spazio informale dedicato alla tradizione e ai prodotti, dove assaggiare grandi salumi e formaggi ma anche piatti come il galletto al mattone. E il coniglio ischitano cotto nella pentola di coccio con pomodoro ed erbe, emblema della cucina isolana che prende sfumature diverse nelle differenti località: da quello verace della Taverna Verde a Serrara Fontana – che qui diventa coniglio alla Morzariello, da un soprannome di famiglia – a quello servito da Lisola, il locale aperto la scorsa estate a Forio da Di Costanzo insieme al pizzaiolo di talento Ivano Veccia e all’imprenditore veneto Federico de Majo. Tra l’interno scavato nel tufo e l’ampia terrazza che guarda al mare, oltre a entrare di diritto tra i locali più belli e panoramici d’Italia, Lisola riesce a unire convivialità e autorialità e sposa le anime gastronomiche di Veccia e Di Costanzo proponendo pizze strepitose – anche in versione degustazione, per assaporare i diversi impasti – e piatti ad alto tasso di comfort, tra carni e pesci alla griglia, ricette della tradizione ischitana, baluardi del repertorio marinaro e signature dei due: dagli Spaghetti ai 5 pomodori alla pizza Lasagna Povera con impasto napoletano, in cui il pomodoro San Marzano Dop all’aglio e il Grana prendono il profumo di basilico fresco e origano di Ischia. Qui conviene arrivare sul presto, per godersi lo spettacolo del tramonto oltre il profilo roccioso degli “Scogli innamorati” che spuntano dall’acqua.

Gli orti dell’isola: cucina vegetariana e sostenibile

Tornando alla valorizzazione degli orti dell’isola, l’esempio più estremo è quello di Tommaso Luongo che al ristorante Il Mirto del Botania Relais & Spa – il primo con una stella verde Michelin sull’isola, rispecchiando l’approccio green dell’elegante hotel – propone una cucina vegana e vegetariana moderna e incentrata sul recupero intelligente e sulla sostenibilità. Seduta nella veranda che guarda all’orto biologico da cui arrivano gran parte degli ingredienti, assaggio piatti come lo “spiedino” di carota stagionata, lo stracotto di lattuga e i tortelli ripieni di fave (anziché carne) alla bolognese, completati da crema di fave, spuma di caciotta di pecora e polvere di liquirizia, da alternare ai sorsi del piacevole brodo freddo di baccelli di fave.

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Ha un orto a disposizione anche Michelangelo Iacono, lo chef del ristorante La Cucina del Monastero. In questo caso, bisogna salire – tramite l’ampia scala a due rampe o un comodo ascensore, e non più sui ripidi scalini scavati nel fianco della roccia come secoli fa – in cima al Castello Aragonese, l’edificio storico davanti al borgo di Ischia Ponte che racconta molta della storia dell’isola: fondato da Gerone da Siracusa nel V secolo avanti Cristo, poi insediamento romano, rifugio per la popolazione, castello normanno, angioino e infine aragonese, ospitò conventi e carceri prima di essere acquistato nel 1912 dalla famiglia Mattera. Oggi, grazie alla terza generazione dei Mattera che ne preserva il fascino tra storia e natura, è soprattutto un luogo di cultura ma anche di ospitalità. E se le camere dell’albergo, ricavate nelle celle delle monache Clarisse, sono l’ideale per un soggiorno all’insegna della privacy, il ristorante propone ricette di famiglia – come gli Spaghetti del Monastero, a base di pinoli, uvetta e menta, che l’artista Gabriele Mattera preparava per i suoi ospiti – e quelle dello chef, che omaggiano tanto la tradizione di terra quanto quella di mare dell’isola, interpretando in maniera originale il rito (comune anche alla vicina Procida) del “Cala Cala”, ovvero il baratto di prodotti tra contadini dell’entroterra e i pescatori della costa: dalla Melanzana allo scarpone al Risotto agli agrumi con totano nero e finocchietto selvatico.

Il ritorno dell’artigianato: liquori e distillati

Proprio di fronte al Castello, il borgo di Ischia Ponte nasconde una sorpresa: nell’opificio di Distillerie Aragonesi, aperto al pubblico per visite e acquisti, Alessandro e Anna Buono realizzano liquori e distillati (realmente) artigianali e naturali, basati sul ripristino di una tradizione isolana ormai scomparsa, soppiantata dalle produzioni industriali di liquori zuccherini. Così, qui si distilla l’alcol dal vino, come facevano un tempo i contadini ischitani, e al suo gusto intrinseco si aggiungono le sfumature di prodotti rigorosamente locali: dai limoni pelati entro poche ore dalla raccolta per il profumato Limoncello alle carrube da cui nascono ben tre prodotti diversi, dal mirto al finocchietto. «Abbiamo voluto riportare la distillazione a Ischia, ma anche riportare l’artigianato nel borgo di Ischia Ponte», mi spiega Alessandro Buono: così oggi gli alambicchi e le bottiglie di Distillerie Aragonesi sono un’alternativa ai negozietti di souvenir e abbigliamento che riempiono le stradine dominate dal Castello.

Il ristoro sul mare: Giardino Eden

Ne osservo la sagoma in cui roccia e pietra costruita dall’uomo si fondono da un comodo lettino sullo scoglio del Giardino Eden, nel mezzo della baia di Cartaromana: un rifugio sul mare creato con spirito visionario nel 1968 da Ugo e Hildegard Germani e trasformato negli anni in un luogo raffinato e accogliente, che mantiene un saldo carattere marinaro impreziosito da tante accortezze, nel servizio e nella cucina.

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Oggi gestito dalla figlia Nadia con il marito Umberto Regine (che ha a lungo presidiato i fornelli del ristorante di famiglia Umberto a Mare a Forio), è la scelta ideale tanto per godersi una giornata di relax al beach club quanto per un’esperienza gastronomica da ricordare, il cui merito va suddiviso equamente tra la cucina e l’atmosfera suggestiva. E se nel menu del ristorante Fluctus ci sono ancora le celebri cozze alla griglia di Ugo, l’executive chef Bartolomeo Regine propone anche piatti come lo Sgombro marinato alla giapponese con insalata di rinforzo alla scapece foriana o gli Gnocchetti con melanzana, tarallo e vongole. A voi la scelta: arrivarci via mare, dalla vostra barca o con un taxi boat, o via terra tramite i 125 gradini che dall’alto scendono fino all’acqua azzurra che circonda gli scogli di Sant’Anna.

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