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Andrea Paternoster

La libertà di viaggiare, di fare ciò che più lo appassiona, di esprimere una creatività senza vincoli e una particolare idea di bellezza, di conoscere persone e luoghi sempre nuovi. Tutto questo il fondatore di Mieli Thun l’ha imparato dalle api.

Andrea Paternoster

CHIEDERE AD ANDREA PATERNOSTER di parlare di libertà è un po’ come chiedere ad Art Blakey di parlare di ritmo. È la grammatica della sua vita, sottende i suoi spazi personali e professionali, informa e stimola la sua creatività, determina il tenore intellettuale e affettivo dei suoi scambi con gli esseri – umani e non. Sicuramente mi contesterebbe quest’ultima distinzione, poiché per lui gli animali sono più umani degli umani. Soprattutto le api.

Andrea lavora a fianco delle api. Questo ormai lo sanno quasi tutti. I vasetti dei suoi mieli Thun (e anche l’Idromiele, gli aceti che sta sviluppando con il gruppo degli Amici Acidi e gli altri prodotti della linea) sono, grazie alla sua intelligente opera di comunicazione del prodotto al di fuori degli schemi convenzionali, ormai un punto di riferimento. E non solo per gli addetti ai lavori. «Il terreno è fertile e basta seminare», spiega lui, al telefono da Chicago, dove si trova appunto per un’opera di “mielangelizzazione”, insieme ad Andrea Bezzecchi di Acetaia San Giacomo (uno degli Amici Acidi): «È cambiato completamente l’approccio. Ovviamente noi ci rivolgiamo a un pubblico speciale. Ma anche in generale la gente è curiosa e attenta». E ne capisce? «Ne capisce. Trovo chi mi dice, per esempio “Quest’anno nel tuo Millefiori c’è più tiglio”. Quand’è successo volevo mettermi a piangere, guarda. In un’altra occasione è venuto a trovarmi uno svizzero (la sede e il flagship store della Thun sono a Vigo di Ton, TN, nda), cercando la melata di abete. Gli ho chiesto se la conosceva, come prodotto, perché è particolare. Mi ha risposto “Io ho una verticale degli ultimi cinque anni della tua melata di abete”. Che rispondi a uno così?», ride.

La passione per l’apicoltura l’ha ereditata dal nonno. Dopo gli studi di agraria, a un lavoro sedentario in seno all’azienda agricola di famiglia ha preferito il nomadismo. Ha cominciato a fare il pastore di api, portandole in giro per l’Italia a colonizzare siti dalla flora interessante. Attualmente sono una sessantina, dal Nord al Sud. Sei mesi di viaggio e sei mesi di riposo (relativo, poiché in quei mesi Paternoster si dedica alla promozione e allo sviluppo dei nuovi prodotti).

«Selezionare i luoghi dove mettere a dimora le arnie comporta una ricerca che non finisce mai. Io sono sempre con il naso per aria. Hai presente quelli che intimano “Non stare sempre col naso sul telefonino”? Ecco, i ragazzi con cui collaboro mi dicono sempre “Non guardarti sempre in giro!”. Tutti gli anni dedico almeno dieci giorni a visitare i luoghi che più mi ispirano. Un tempo mi affidavo alle persone per trovarli, ma ho capito che non funzionava perché solo io ho l’esatta percezione del luogo in cui si incontrano e sposano le esigenze delle api e le specificità dei fiori. Le persone sono comunque importanti perché sovente le api si trovano su proprietà private e devo chiedere il permesso di metterle a dimora temporanea. Nascono così bellissime amicizie. Ogni anno parto il primo di dicembre con un furgone pieno di pacchi regali per gli amici che ho incontrato sulla via, e torno con il doppio del carico, in capperi, vino, uova, carciofi…».

Se fosse un cuoco, di Paternoster si direbbe che per studiare le sue ricette non parte dall’ingrediente, bensì dal piatto finito. «Comincio con l’idea del tipo di miele e poi a ritroso individuo il sito più adatto, quello con le fioriture più interessanti, o quello con le espressioni più nitide all’interno di una specifica fioritura». Da quest’ultimo concetto è nata la linea Quintessenza, una serie di “cru al quadrato”, come li definisce lui, raccolti in melari di cera vergine, che raccontano un luogo e un momento specifico del miele, l’apice, l’espressione più pura di un territorio particolarmente vocato. Un progetto che ha segnato un momento di svolta per l’azienda, «perché mi ha permesso di raccontare il miele in maniera più evoluta, emancipandolo dall’idea di prodotto per la colazione, o la salute». Intorno a Quintessenza, Paternoster costruisce delle esperienze di degustazione spiazzanti. Io ho avuto la fortuna di provarne una, qualche anno fa, e non credo che dimenticherò facilmente né la gamma straordinaria di aromi assorbiti né le note di degustazione, i consigli di abbinamento (codificati, insieme a colori e note botaniche in una mazzetta ispirata al Pantone, la “Mielicromia”, prodotta in collaborazione con Corraini) e gli aneddoti di Andrea. In quell’occasione ho capito che facevo parte anch’io di quello che lui definisce il “partito del miele”.

Anche al di là del progetto Quintessenza, i mieli Thun sono disallineati da qualunque aspettativa. I monofloreali provengono dal nettare di varietà particolari (cardo, trifoglio, sulla, marruca, albero del paradiso), i millefiori sono di montagna o di collina, e poi ci sono i mieli dedicati a specifici ecosistemi e territori, come quello prodotto a Capalbio in collaborazione con Elisia Menduni, o quello prodotto a Casadonna, in Abruzzo, per lo chef Niko Romito, con l’assistenza dei ragazzi della sua Accademia di cucina. «Non bisogna mai dimenticare che le api sono imprevedibili. Una volta con la chef americana Sarah Grueneberg sono andato a fare un viaggio di scoperta dalle Dolomiti all’isola di Sant’Erasmo. Volevamo fare il miele di castraura e invece le api hanno preferito andare sul Limonium, che per via delle maree lì passa metà del suo ciclo sott’acqua e metà sopra. Ne è scaturito un miele sapido, amaro, erbaceo».

Le api sono imprevedibili perché libere. O no? Paternoster ripete spesso «se chiudo gli occhi vedo il miele come una sottile linea sull’orizzonte che congiunge la terra al cielo. Perché da una parte esprime la terra, il fiore, e dall’altra è legata a un essere che passa quasi tutta la sua vita per aria». Frasi come questa fanno parte del personalissimo linguaggio mistico e poetico (non retorico) che ha scelto per raccontare il suo mestiere. Ma il fatto che si auto-definisca “pastore”, o che parli delle api come di amanti o sante, a seconda dei casi, non significa che non sia un uomo pragmatico. Lo si capisce quando gli si fa una domanda d’ordinanza come quella sugli effetti del riscaldamento climatico sulla produzione di miele e sul declino della popolazione mondiale delle api, denunciato da tutti gli organi istituzionali ambientali.

«Credo che i metri di misura siano scientifici e sono strumenti che non possiedo. Di certo qualche mese fa il presidente dell’Associazione Nazionale Apicultori ha ammesso che le regole che avevamo imparato noi sono saltate. Estati caldissime oppure pioggia torrenziale. Gelate che fulminano le fioriture. L’anno scorso non si è fatto miele di acacia su tutto l’arco alpino, e in Sicilia non si è prodotto il miele di arancio. La vespa asiatica sta devastando gli alveari in Liguria e in Campania. Tutto si sposta così velocemente, ma la natura non è fatta per questo, è fatta di microclimi e microspazi: ne stiamo mettendo a repentaglio l’equilibrio. Lei è forte, ma ha bisogno di tempo per aggiustarsi. Per questo devo avere un atteggiamento resiliente, ed essere pronto a scappare dai luoghi dove le api rischiano di non trovarsi bene, come il basso Garda: vent’anni fa l’abbiamo scelto come luogo dove farle svernare, ma ora è coperto dalle vigne…».

Ci salutiamo: Andrea deve tornare dall’altro Andrea, Bezzecchi. Il progetto di aceti di qualità degli Amici Acidi (che conta anche un altro omonimo dei due, Andreas Widmann, di Baron Widmann, oltre a Joško Sirk di Sirk della Subida e a Mario Pojer, di Pojer&Sandri) è in pieno lancio e la risposta del pubblico negli Stati Uniti si sta rivelando più calorosa del previsto. «Libertà per me è anche questo. Creare svincolato dai dogmi e dalle sovrastrutture, che mi imporrebbero per esempio di dedicarmi anche ai prodotti “minori” come veleno, cera, pappa reale, propoli. Io invece ho preferito studiare gli aceti e anche creare l’Idromiele, un progetto ancora tutto in divenire ma che mi sta già dando grandi soddisfazioni». Io ho provato Esuberante, l’edizione speciale di Idromiele rifermentata in bottiglia, che nasce da un soluto di millefiori di montagna e acqua di fonte (la seconda fermentazione ha un innesco di miele di erica arborea), con uno starter di mosto d’uva. Una cannonata.

foto di Carlo Baroni