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Ribellioni viticole

In Friuli Venezia Giulia, tra Collio Goriziano e Carso, alla scoperta di un gruppo di produttori accomunati da una visione purista, territoriale e fuori dagli schemi. I loro vini sono sinonimo di identità e libertà di pensiero.

Può un’uva essere un genius loci? Un luogo di appartenenza che metta insieme intenzioni e facce, un desiderio di riconoscibilità? È di queste settimane la notizia che i sei produttori di vino che nel 2010 diedero vita ad APRO – Associazione Produttori Ribolla di Oslavia – sono diventati sette con l’entrata, tardiva ma da sempre auspicata, dell’azienda Gravner. Gli altri sono Dario Princic, Fiegl, Il Carpino, La Castellada, Primosic e Radikon. Il territorio è quello di Oslavia, nel Collio Goriziano, che ora punta alla Docg.

Oslavia, una sorta di non luogo come diceva l’antropologo Marc Augé, che sembra definita soprattutto dal passato, da una memoria tragica rappresentata dal tristemente celebre ossario e che ha voglia però di ridefinirsi con contorni più sereni e pacifici, qualcosa che assomigli più alle sue colline che ai ricordi di guerra. Una gioia da ritrovare nel vino, a patto che sia di ribolla gialla. L’uva dei padri e dei nonni conosceva già le lunghe macerazioni. Per recuperare quella tradizione alcuni vignaioli si sono fatti filologi e quello che sembra diventato uno stile peculiare di queste zone a cavallo tra Italia e Slovenia, lo “stile orange”, altro non è che qualcosa di antico. Tecnicamente sono vini da uva a bacca bianca, vinificati come se fossero dei rossi, fermentati sulle bucce e affinati per lungo tempo. Una tecnica che non trasferisce solo colore, ma anche aromi e struttura, e che rende queste etichette particolarmente adatte all’invecchiamento. Le lunghe soste del mosto sulle bucce volevano dire estrazione, dunque sostanze nutritive; non stupisce quindi che più che uno stile fosse un’esigenza diffusa nelle campagne.

È stato così anche in Italia fino al Dopoguerra. Gli anni 60 del secolo scorso hanno visto affermarsi tecniche di vinificazione tecnologicamente più avanzate che hanno ridotto all’osso la presenza di quei vini “sporchi”. Per tornare indietro – e diventare paradossalmente contemporanei – c’è voluto il coraggio di produttori come Josko Gravner e Stanko Radikon (scomparso nel 2016), entrambi di Oslavia.

Il primo faceva vini ineccepibili che piacevano al mercato, ma che – a detta del produttore stesso – non erano rispettosi dell’uva che portava in cantina. La libertà di Josko è stata quella di dar retta non al gusto del pubblico, bensì al suo. In Georgia apprende la pratica della macerazione in anfore di terracotta – i “qvevri” – senza controllo della temperatura, filtrazione, chiarifica e uso di solfiti (anche se poi li tornerà a usare). Il suo amico Stanko lo segue in questa avventura vitivinicola. A ricordarlo è il figlio Saša, che ha sposato in pieno la “rivoluzione” paterna. «Prima che mio padre acquistasse una pressa soffice – ricorda – anche la ribolla passava al torchio e la struttura del mosto che ne usciva era di gran lunga più interessante; era un bianco con i tannini, che sparivano con i macchinari più innovativi. Siamo tornati così a pensare alla ribolla come a un rosso. Anche cento anni fa si usavano le macerazioni, ma non certo per volontà stilistica. Nelle aziende agricole lavorava tutta la famiglia e le cose da seguire erano tante, quindi dopo la vendemmia l’uva continuava a macerare, perché c’era altro a cui badare». Le macerazioni firmate Radikon superano oggi i tre mesi, ma non è un azzardo, piuttosto un approccio che lo stesso Stanko definì «naturale senza compromessi».

Il prossimo passo è il riconoscimento istituzionale con una denominazione dedicata. Martin Fiegl, dell’omonima cantina e presidente di APRO, sa che il raggiungimento della Docg per la Ribolla di Oslavia è tutto in salita: «È il nostro sogno nel cassetto, ma sappiamo che è difficile. Tutti insieme non facciamo più di 200mila bottiglie e di ettari se ne contano una cinquantina». Inevitabile una riflessione sulla ribolla di pianura, ovvero tutta l’uva piantata tra Friuli Venezia Giulia e Veneto negli ultimi anni. «La ribolla in bassa non viene bene, fa poco alcol e molta acidità», spiega Dario Princic, altro vignaiolo di Oslavia che ricorda come questa fosse utilizzata come uva da tavola e fosse tra le meno pagate: «È grazie all’impegno di noi produttori di Oslavia che oggi la ribolla è conosciuta in tutto il mondo». A San Floriano in Collio, Franco Sosol dell’azienda Il Carpino ha cominciato a lavorare sui macerati a inizio anni 2000: ribolla ma non solo. Il mentore è ancora una volta Josko Gravner: «Lui ci ha fatto capire come far dialogare la ribolla con il territorio. La nostra “ponca” (il termine con cui si indica il suolo da queste parti, nda) è perfetta per quest’uva, perché è composta di argilla che si sgretola tra le mani, povera di materia organica, fortemente minerale che capace di donare ai vini sapidità e acidità. Per noi il focus è Oslavia, non il vitigno».

Sono storie di ribellioni viticole quelle dei vignaioli del Collio Goriziano. Marko Primosic ricorda lo scontro con padre Silvan, testimone dei vini “moderni” degli anni 80-90, e ora pensa al figlio che spontaneamente si sente vicino ai macerati e ai naturali: «È una storia simile a quella del pane – spiega Marko – con la rinuncia alle farine locali per quelle raffinate ma che sapevano di poco. Ora c’è il ritorno ai cereali antichi. La povertà di un tempo diventa ricchezza. D’altronde anche la ribolla non è mai stata l’uva dei nobili austro-ungarici».

Una testardaggine che si muove lungo la linea di confine con la Slovenia, andando verso nord, verso il Carso, pur rimanendo nella regione friulana. Perché anche qui i macerati sono diventati vini identitari. La ribolla sparì con l’attacco della fillossera e a tirare le fila della “rivoluzione arancione” da queste parti sono state la vitovska e la malvasia istriana.

Matej Lupinc dell’omonima azienda di Prepotto riconosce l’esistenza di una “scuola di Oslavia”, ma anche qui prende il sopravvento il terroir sull’uva: «Da noi prevale il calcare, abbiamo pochissimo terreno esplorabile, quindi le radici vanno ancora più in profondità, catturando tanta mineralità dalle rocce; siamo più vicini al mare e il vento tiepido gioca un ruolo fondamentale nella salubrità delle uve». Il primo vero macerato di Lupinc uscirà nel dicembre 2020 e si chiamerà Vitovska Amber. I suoi punti di riferimento sono in zona, a partire da Benjamin Zidarich che al Carso ha dedicato la cantina, scavata per venti metri nella roccia, con un vino, il Kamen, fermentato e macerato per più di due settimane in grandi tini di pietra. Poi c’è Sandi Škerk, che ha sostituito la pergola triestina con l’alberello e che vinifica in tini leggermente scolmi per favorire un accenno di ossidazione. In biologico da trent’anni, lui è il riferimento per la malvasia, meno aromatica e più salina delle consuete uve aromatiche.

Il “Gravner del Carso” però è Edi Kante, vignaiolo, pittore, abile comunicatore, colui che ha portato i vini di questa zona nel mondo. I suoi non fanno macerazione eppure sfidano il tempo e nascono su una terra senza terra, in doline diventate vigneti grazie alla ferrea volontà del produttore. Ancora un esempio di determinazione e libertà in queste zone friulane di confine.

GRAVNER
Località Lenzuolo Bianco, 9, 34170
Oslavia, GO
gravner.it

RADIKON
Località Tre Buchi, 4, 34170
Oslavia, GO
radikon.it

FIEGL
Località Lenzuolo Bianco, 1, 34170
Oslavia, GO
fieglvini.com

PRINCIC
Località Ossario, 15/a, 34170
Gorizia

IL CARPINO
Loc. Sovenza 14/A, 34070
San Floriano del Collio, GO
ilcarpino.com

PRIMOSIC
Loc. Madonnina di Oslavia 3, 34170
Oslavia GO
primosic.com

LUPINC
Località Prepotto, 11, 34011
Prepotto TS
lupinc.it

ZIDARICH
Località Prepotto, 23, 34011
Duino-Aurisina TS
zidarich.it

ŠKERK
Località Prepotto, 20, 34011
Duino-Aurisina TS
skerk.com

KANTE
Località Prepotto, 1/A, 34011
Duino-Aurisina TS
kante.it

foto di Fabrice Gallina