Giacomo Conterno | Monforte d’Alba (Cuneo) conterno.it
È una storia scritta da uomini lungimiranti con una visione innovativa della tradizione e una ricerca della perfezione mai tradita, quella della famiglia Conterno di Monforte d’Alba, nelle Langhe. Nell’arco di appena tre generazioni, qui il Barolo è passato da vino sfuso a mito internazionale. Fu Giacomo a intuire, nel 1924, le potenzialità di un vino che, da subito chiamato Monfortino, meritava la bottiglia e non la damigiana. Cinquant’anni dopo il figlio Giovanni capì l’importanza di coltivare e vinificare le proprie uve: si deve a lui l’acquisto del prezioso vigneto Francia a Serralunga d’Alba. Oggi alla guida della cantina c’è Roberto Conterno che, con carattere piemontese e visione universale, ha ampliato gli ettari dell’azienda con l’acquisto dei cru Cerretta e Arione, quest’ultimo naturale proseguimento del vigneto Francia e lembo sudorientale della Docg. Nel 2018 l’azienda si allarga ancora con un’importante acquisizione nell’Alto Piemonte, a Gattinara. La storia lineare e il rigore nell’innovazione in ogni dettaglio tramite l’uso di macchinari di precisione assoluta, dalla vinificazione alla scelta del tappo perfetto per ridurre a zero il rischio di problemi legati al sughero, sono le chiavi del successo di Conterno. Ma una cantina come questa che – come da tradizione – è sempre proiettata verso il futuro non dormirà certamente sugli allori. Chissà a quali altri innovativi progetti sta puntando la mente fervida e curiosa di Roberto Conterno.
Il vino: Cascina Francia Barolo Docg
Il nome di Conterno è ben rappresentato dal mix di frutta ed eleganza del Barolo che ottiene dal vigneto Francia, il cru da cui storicamente (ma dal 2015 non più esclusivamente) provengono anche le uve per la famosa Riserva Monfortino
Gravner | Oslavia (Gorizia) gravner.it
Una vita dedicata al vino, quello vero. Vero perché nasce da un approccio in movimento, tra errore e ricerca. Radici e libertà. Solitudine e contatto. Forse è per carattere, o forse perché la sua Oslavia è così vicino al confine goriziano con la Slovenia che gli sembra innato andare oltre. Josko Gravner non esita a prendere la strada più lunga quando gli altri indicano quella dritta. E se la strada non esiste, la crea: è stato lui a introdurre in Italia l’uso delle anfore e le lunghe macerazioni per i vini bianchi. Non segue e non ha mai chiesto di essere seguito; semmai accompagnato dalla figlia Mateja, presenza indispensabile in azienda. Josko Gravner è una contraddizione per alcuni, un’illuminazione per altri. Ha avuto il coraggio di lasciare la comodità e la sicurezza di ciò che conosceva per cercare un nuovo luogo dove sostare, ma non fermarsi. Quest’ultima è una parola che non gli appartiene: piuttosto un lògos platonico, inteso come un “discorso” e come “un procedere del pensiero”. Un cammino che lo porta in California e poi in Georgia. Nel primo caso per scoprire che la tecnica, se usata in modo sbagliato, non migliora ma toglie identità. Nel secondo per trovare le anfore in terracotta e una diversa connessione con la storia. Così una volta a casa ricomincia da capo: i vitigni internazionali lasciano il posto alla ribolla gialla e al pignolo; all’inizio vinifica senza solforosa, poi il cambiamento anche qui, perché una persona intelligente convive in modo costante col dubbio. Un dubbio che sparisce soltanto assaggiando i suoi vini profondi e nello stesso tempo semplici, perché privi di ogni cosa inessenziale.
Il vino: Ribolla Gialla Anfora Gravner
Impossibile non emozionarsi. Un vino profondo, coinvolgente e nello stesso tempo schietto che profuma di resina, fiori gialli, salvia, albicocca e buccia di arancia candita. Ricco, corposo ma con piedi ballerini. Un vino da bere in compagnia di amici con la giusta sensibilità.
Guido Berlucchi & Co | Borgonato (Brescia)
berlucchi.it
Non molte aziende sono in grado di cambiare la storia di un territorio. Berlucchi l’ha fatto nel 1955 quando l’enologo Franco Ziliani ha proposto a Guido Berlucchi di creare uno spumante alla francese nella terra lombarda fino ad allora dedicata a pinot nero e vini fermi. Dopo alcune annate infelici, nel 1961 sono nate 3mila bottiglie Metodo Classico di pinot di Franciacorta e il destino della terra sulle sponde del lago d’Iseo è cambiato per sempre, diventando un nome conosciuto in tutto il mondo. Oggi l’azienda è in mano alla seconda generazione della famiglia Ziliani – Cristina, Arturo e Paolo – che senza sosta lavora per portare Berlucchi e la Franciacorta oltre il futuro. Mettersi in discussione e all’ascolto sono due caratteristiche che continuano a essere tra i tratti distintivi dell’azienda. Lo testimonia l’accurato lavoro fatto per rendere sostenibile ogni aspetto della produzione e dell’attività, con un progetto che include la natura e l’ambiente in cui le persone lavorano, oltre ai propri vini. L’ultimo tassello in questo senso è l’Academia Berlucchi, che ha la funzione di un’antica agorà dove persone provenienti da diversi ambiti scambiano idee su tematiche che spaziano dalla sostenibilità alla cura del territorio, il talento e l’innovazione. Insomma una realtà complessa e sfaccettata che ha la sua – affascinante – sede di rappresentanza a Palazzo Lana, residenza cinquecentesca della casa da cui discendeva Berlucchi, che ospita anche la fondazione da lui voluta e la cui visita è obbligatoria per ogni amante del vino.
Il vino: Palazzo Lana Extrême Franciacorta Riserva
Un vino ampio e complesso con note agrumate e di frutta candita, spezie dolci e pane tostato. Il perlage è finissimo e la freschezza precisa e ben equilibrata. Con la sua eleganza e longevità, rappresenta in pieno la filosofia dell’azienda.
I Cacciagalli | Teano (Caserta) icacciagalli.it
Una mezzaluna e tre stelle, è questa l’immagine scelta per il marchio dell’azienda I Cacciagalli: un logo semplice che resta impresso, come il cielo che si scruta la sera a Teano. È anche il simbolo di un’agricoltura sana condotta in biodinamica nella provincia di Caserta, in tutti i trentacinque ettari della tenuta che produce non solo vino ma anche olio, nocciole e ortaggi. Il nome è quello dell’antica tenuta della famiglia di Diana Iannaccone, giovane agronoma: con il marito Marco Basco l’hanno restaurata un po’ alla volta – e l’opera continua – a partire dagli inizi degli anni Duemila. Così la masseria è tornata a rivivere: l’azienda vitivinicola con il vigneto di uve autoctone, la scelta della biodinamica anche in cantina, l’uso delle anfore (ce ne sono ben sessanta). A novembre 2019 ha aperto la locanda con camere e ristorante, anche qui nel rispetto delle regole della bioedilizia, come l’utilizzo (e riutilizzo) di materiali locali, dal tufo del vulcano spento di Roccamonfina al legno di castagno, di cui sono pieni i boschi. La cucina attinge dai prodotti aziendali e tra non molto potrà servirsi degli animali del nuovo allevamento della masseria: mucche, faraone, anatre, galline ovaiole. Per gli ospiti ci sono otto camere più un biolago al posto della classica piscina. Un ciclo sempre più integrato che porterà la sua esperienza all’esterno: I Cacciagalli formerà il personale agricolo di una cooperativa che ha iniziato a lavorare su terreni confiscati alle mafie nella zona di Teano.
Il vino: Pellerosa Roccamonfina Igt
Un rosato da aglianico che ha il nerbo di quest’uva e la trama minerale dei terreni vulcanici. Davvero sapido ma anche profumato, perfetto in tavola a tutto pasto.
Kellerei Kaltern | Caldaro sulla Strada del Vino (Bolzano) kellereikaltern.com
Se non è agevole ripercorrere le tappe di una lunga storia – tante sono le fusioni, nel corso di oltre un secolo, che hanno creato questa cantina cooperativa altoatesina – è invece molto più facile riconoscere la qualità e lo stile dei vini, frutto non solo di un ampio (450 ettari) ed eccellente patrimonio di vigne ma anche della mano dell’enologo Andrea Moser, in azienda dal 2004. Mano che “disegna” vini di lago aggraziati, longilinei, succosi, di personalità ma sempre facili e piacevoli da bere. Cantina Kaltern è oggi un vero e proprio microcosmo – in cui convivono 650 soci conferitori – ed è l’esempio di come realtà da grandi numeri possano esprimere eccellenza e costanza produttiva e un’attenzione sincera alla sostenibilità, dimostrata concretamente dalla certificazione Fair’n Green. La direzione enologica, in questi ultimi anni, si è concentrata sui cru, con la linea Quintessenz (Kalterersee, Cabernet Sauvignon, Pinot Bianco, Sauvignon e Passito) al vertice della produzione. A proposito di schiava: Cantina Kaltern ha ribaltato anche il pregiudizio (giustificato da anni di discutibili tradizioni produttive nella zona) che circondava quest’uva, capace invece di esprimersi su altri registri di qualità e godibilità. La collezione di bottiglie è molto ricca e comprende, oltre ai classici, anche la linea biodinamica Solos, il progetto kunst.stück con le etichette d’artista e quello denominato XXX, ovvero il “parco giochi” dove Moser può liberamente sperimentare.
Il vino: Kalterersee Classico Superiore Leuchtenberg
Ottenuto da parcelle che arrivano fino a mezzo secolo di età, vinificato con tecnica moderna ma sobria, è limpidamente fruttato, pieno senza troppa densità, ideale compagno della tavola.
Kettmeir | Caldaro (Bolzano) kettmeir.com
Cento anni compiuti nel 2019 per la tenuta di Caldaro fondata appunto nel 1919 da Giuseppe Kettmeir, giovane commerciante di vini con spirito imprenditoriale. Dal 1986 parte di Santa Margherita Gruppo Vinicolo, l’azienda è un punto di riferimento dell’enologia sudtirolese soprattutto per quel che riguarda le bollicine: ha infatti contribuito – partendo dal metodo Martinotti/Charmat per focalizzarsi poi sul Metodo Classico, oggi lo standard dell’Associazione produttori spumanti Alto Adige – alla creazione di una “via altoatesina” alle spumantizzazione, la cui riscoperta in regione si deve proprio alla Grande Cuvée di Pinot Bianco Kettmeir, presentata alla Fiera del Vino di Bolzano nel 1965. Il tutto, mantenendo sempre alta non solo la qualità, ma anche l’attenzione alla sostenibilità ambientale e soprattutto al territorio, contribuendo a tutelare le specificità della vitivinicoltura di montagna: dal lavoro sulla zonazione dei vigneti più vocati alla valorizzazione del sistema rurale sudtirolese dei masi chiusi con Maso Reiner e Maso Ebnicher, dalle cui vigne arriva gran parte delle uve (pinot nero e chardonnay nel primo caso e müller thurgau nel secondo, dai vigneti eroici di alta collina dominati dal massiccio del Catinaccio) per la linea delle “Grandi Selezioni”. Una realtà da scoprire, possibilmente, andando a visitare questa bellissima terra e l’azienda, pronta ad accogliere i visitatori per degustazioni ed esperienze a tutto tondo.
Il vino: 1919 Riserva Extra Brut Alto Adige Doc
Uvaggio di chardonnay e pinot nero provenienti da vigne di alta e media collina, fermentati separatamente (il primo anche con un passaggio in barrique), una bollicina vivace ma allo stesso tempo avvolgente e voluttuosa.
La stoppa | Rivergaro (Piacenza) lastoppa.it
D’acchito nessuno direbbe che già dalla metà dell’Ottocento queste zone del Piacentino avevano mostrato vocazione vitivinicola meritevole di ricerca e d’approfondimento. Salvo i più documentati addetti ai lavori, infatti, ci si era sempre focalizzati sulla predisposizione enologica di mostri sacri come Piemonte, Friuli e Toscana, prima di quei territori esplosi man mano come l’Etna dei giorni nostri. L’Emilia è stata sempre vista, tranne che da alcuni anni a questa parte, minata da pigrizia, immediatezza e semplicità fin troppo disinvolte. Invece qui, quasi due secoli fa, l’avvocato Giancarlo Ageno si dilettava già con i suoi Bordò e Pinò, per citarne qualcuno: vini realizzati per provare a somigliare a quelli che tanto piacevano a lui. Ci sarebbero voluti decenni, però, visto lo scetticismo di molti, affinché la famiglia Pantaleoni acquistasse La Stoppa – la tenuta di Ageno, 58 ettari di cui 30 a vigna ad Ancarano di Rivergaro – che dagli anni Novanta Elena Pantaleoni dirige insieme a Giulio Armani. Tanta la passione e l’attaccamento ai luoghi, che arrivare da lì alla certificazione biologica, alla mancanza di diserbo e di concimazioni, alle lavorazioni praticate soltanto a mano, alle fermentazioni spontanee e prive di lieviti aggiunti, sarebbe poi stata una sequenza ineludibile. Insieme al recupero di uve locali quali, fra le altre, ortrugo, barbera o bonarda: per una produzione volta sostanzialmente ai rossi, ma con deliziose divagazioni passite o botritizzate atte a chiudere dolcemente l’esperienza.
Il vino: Emilia Bianco Igt Ageno
L’eccezione bianchista alla regola rossista. Unico bianco secco della batteria aziendale, l’Ageno è fatto di malvasia di Candia, ortrugo e trebbiano: dopo macerazione sulle bucce e adeguata sosta in legno muove fra albicocca, sapidità e note piccanti, con decisa personalità.
Livio Felluga | Cormons (Gorizia) liviofelluga.it
Ben 102 anni, pressoché tutti operativi: è a questa notevole età che nel 2016 è scomparso Livio Felluga. Un apripista vero a partire dalla fine degli anni Cinquanta, quando acquistò a Rosazzo trenta ettari di appezzamenti ormai abbandonati: una costante, allora, per un territorio in cui bisognava tornare a credere dopo la seconda guerra mondiale. Felluga decise quindi che refosco, malvasia e tocai meritassero appieno di rivestire quelle colline, rappresentative di un Friuli che un giorno avrebbe fatto bella mostra di sé in etichetta: la carta geografica regionale che riveste le bottiglie, infatti, è da sempre simbolo della cantina. Come spesso accade, però, le nuove leve arrivano a scompaginare inizialmente i piani: così quando il primogenito Maurizio aprì nel 1974 al mercato americano, il patriarca sobbalzò. Comprensibile, forse: com’è però comprensibile che il nuovo arrivato stesse aprendosi al marketing e al pubblico internazionale. A quel punto serviva un vino capace di durare nel tempo, un bianco di classe e stoffa longeve. Il Terre Alte, ecco: un blend equilibrato di tocai, sauvignon e pinot bianco. Il campione che avrebbe insegnato il verbo giusto a tutti, un manifesto per il nuovo vino italiano. Elda, Andrea e Filippo sono gli altri operosi fratelli che man mano Maurizio s’è trovato accanto, per un lavoro a tutto tondo vincolato oggi a più di 150 ettari. Una famiglia d’altri tempi, come direbbe qualcuno, orgoglio del patriarca.
Il vino: Colli Orientali del Friuli Doc Illivio
Tra le tante etichette eccellenti, è doveroso ricordare il Maestro con quest’unione di pinot bianco, chardonnay e un minimo di picolit, a lui dedicata. Morbida, complessa e variegata, fra toni larghi e puntuti al contempo: di persistenza incrollabile.
Le Ripi | Montalcino (Siena)
podereleripi.com
È uno dei progetti più dinamici dell’area di Montalcino, creato dall’amore per il bello e per il buono di Francesco Illy (dell’omonima famiglia triestina del caffè) e gestito da un team giovane sotto l’attenta guida di Sebastian Nasello, vincitore nel 2016 del premio Giulio Gambelli come miglior enologo sotto i 35 anni. La squadra di Podere Le Ripi si fa portavoce della vera cultura contadina, senza retorica o nostalgia, perché tutto qui ha carattere puramente toscano e un impatto etico ed estetico. Sono tanti, dunque, i motivi per cui tenere d’occhio quest’azienda agricola che si trova in un angolo di Toscana dominato da una bellezza sublime tra calanchi, vigneti, boschi e ulivi secolari. La conduzione delle vigne è biodinamica e la cantina aurea di recente costruzione è un esempio di bioarchitettura: oltre 750mila mattoni sono stati posati a mano per seguire le antiche concezioni di proporzione e armonia. Con la sua forma di spirale, l’edificio si avvita in questa terra come un cavatappi nel sughero e a mano a mano che si scende si arriva a toccare il cuore dell’azienda, percependone il battito e le vibrazioni positive. Segno distintivo di Podere Le Ripi è il vigneto Bonsai, il più fitto al mondo con viti piantate a soli 40 centimetri l’una dall’altra e una densità di 62.500 piante a ettaro. Altro vanto di questa cantina è l’ospitalità, che include la possibilità di organizzare diversi tour e di assaggiare, oltre ai vini, le prelibatezze dell’orto biodinamico.
Il vino: Bonsai Toscana Rosso Igt
Grazie all’altissima densità d’impianto, le radici sono costrette a scendere in profondità più velocemente per ricavare le sostanze nutritive che vanno ad arricchire il vino. Si ottiene così un sangiovese unico, un azzardo ben riuscito.
Lungarotti | Torgiano (Perugia) lungarotti.it
Quello dei Lungarotti è un progetto molto moderno, se osservato con lo sguardo di oggi; figuriamoci negli anni Sessanta quando è stato immaginato e avviato. I viaggi pionieristici, negli Stati Uniti e soprattutto in Francia, illuminarono gli occhi vispi di Giorgio Lungarotti, uno abituato a inventare il futuro più che seguire il corso lento delle cose. In men che non si dica, in una terra che usciva a fatica dalle secche della mezzadria, realizza una cantina capace di attirare l’attenzione della critica di mezzo mondo. Costruendo letteralmente un territorio, la sua denominazione, e anticipando di una trentina d’anni almeno le regole auree dell’enoturismo. Vino dunque, ma anche accoglienza, ristorazione, cultura. Da le Tre Vaselle, elegante albergo nel cuore di Torgiano oggi affidato a una gestione esterna, all’agriturismo Poggio alle Vigne, immerso tra alcuni dei più bei filari di proprietà. E poi il lavoro duraturo della Fondazione Lungarotti, presieduta dalla storica dell’arte e archivista Maria Grazia Marchetti Lungarotti, e l’opera visionaria del Museo del Vino (MUVIT) e di quello dell’Olio (MOO). Oggi al timone dell’impresa ci sono le sorelle Chiara e Teresa, che non smettono di seminare i valori di sempre e coltivare il futuro. Tra i progetti più recenti, la cantina di Montefalco, ovviamente votata all’accoglienza e agli eventi, e la crescente attenzione alla sostenibilità: dall’impianto a biomasse attivo già dal 2004 all’adesione al progetto V.I.V.A. (Valutazione dell’Impatto della Vitivinicoltura sull’Ambiente).
Il vino: Torgiano Rosso Docg Riserva Rubesco Vigna Monticchio
È l’emblema della cantina, il vino che ha disegnato l’Umbria nella mappa enologica mondiale. Figlio di un cru vocato di sangiovese che sfida il tempo con classe ed eleganza.
foto Gravner
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