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Storie di Sala: Maître under 35

Alfredo Buonanno, Lukas Gerges, Alessia Taffarel. Empatia, rigore e un pizzico di follia: così si fa cultura dell’accoglienza.

Maître under 35

Giovanissimi, determinati, capaci di dare un’impronta personale alla sala in cui lavorano pur interpretandone al meglio lo stile complessivo, grazie al lavoro di squadra e alla capacità di imparare da tutto ciò che accade intorno a loro. Sono queste le caratteristiche che hanno portato a selezionare – tra una rosa di nomination in tutta Italia – i tre finalisti della categoria Maître under 35 della prima edizione dei nostri Awards.

Austriaco, classe ’91, Lukas Gerges affianca Norbert Niederkofler al ristorante St. Hubertus (3 stelle Michelin) di San Cassiano, in Alta Badia. Da assistente sommelier in una manciata di stagioniè diventato Restaurant Manager, convincendo management e clientela con uno stile preciso e dinamico. Trent’anni tondi, Alessia Taffarel è l’assistente maître e sommelier al Contraste di Milano. A fianco dello chef Matias Perdomo e del maître Thomas Piras che indica – insieme al pasticcere Simon Press – come i suoi modelli dal punto di vista professionale e personale, è riuscita a inserirsi nelle dinamiche complesse di un team che in cucina e in sala spinge forte su avanguardia e intrattenimento: «Per me è fondamentale il lato umano, sia nel lavoro tra sala e cucina sia nel capire l’ospite e le sue esigenze», spiega.

Ha appena compiuto 25 anni Alfredo Buonanno, maître e sommelier del Krèsios di Telese Terme (1 stella Michelin) che ha instaurato con lo chef-patron Giuseppe Iannotti un sodalizio basato su un approccio attento e maniacale, ma poco convenzionale, tanto in cucina quanto in sala, ponendo alle basi del suo lavoro il divertimento, che lo aiuta a essere «maniacale nell’ordine, empatico nell’accoglienza». E pensare che lui si era diplomato all’alberghiero con tutt’altra idea. «Mi piaceva la figura del barman, l’idea di fare il figo al banco; leggevo tutto sull’argomento, sperimentavo e mi ero pure comprato il kit di Ferran Adrià per le sferificazioni. Prima di terminare gli studi ho fatto un’esperienza al Palazzo Sasso di Ravello, dove in cucina c’era Michele De Leo; io ero andato lì per stare al bar, il Caffè dell’Arte all’epoca guidato da Stefano Amato, ma mi fecero alternare con la sala del ristorante. Lì per la prima volta, vedendo una grande squadra all’opera, capii tutto il lavoro che c’era dietro e come fosse tutto fuorché noioso, perfettamente ritmato. Per me, grande appassionato di musica e con il sogno nel cassetto di fare il direttore d’orchestra, fu come un’illuminazione: forse sarei potuto diventarlo davvero, ma in sala!».

Così Alfredo inizia a guardare con occhio diverso il lavoro di sala, e il vino. La molla scatta definitivamente con la partecipazione al Gran Trofeo della Ristorazione Italiana, un concorso tra gli istituti alberghieri in cui conosce personaggi come Roberto Gardini e Fausto Arrighi. «Dei veri miti, come Del Piero per il calcio e Federer per il tennis. Pensare che oggi grandi maître e sommelier come Gardini ma anche Alessandro Tomberli, Dennis Metz o Giuseppe Palmieri mi stimano come collega e sono pronti a rispondere alle mie domande mi lascia ancora stupefatto». Il suo percorso è stato in effetti rapidissimo e notevole, guidato in gran parte dal vino. Doveva iniziare a lavorare con Enrico Bartolini, ma la vittoria al concorso di sommelier della sua scuola lo “costringe” a restare nella sua Bonea, poco lontano da Telese, per seguire il corso AIS a Benevento.

Qui viene a sapere che il Krésios – di cui si era occupato a scuola per una tesina sulla carta delle acque minerali – cerca personale e inizia a lavorarvi come sommelier. «In principio non mi interessava molto il resto della sala, ma gradualmente ho iniziato a notare diverse cose che avrebbero potuto essere migliorate. Così, quando qualche mese dopo il maître è andato via mi sono ritrovato a essere il responsabile. All’inizio è stato un po’ traumatico, mi sono reso conto che non bastava saperne di vino. A tavola non parli solo di cibo e bottiglie, ma scambi anche esperienze e conoscenze. Così ho iniziato a studiare anche di scarpe, macchine, orologi, a girare tanto per altri ristoranti, a cercare il confronto con i colleghi che nominavo prima: come un bambino che gioca a pallone e si ritrova a palleggiare con Del Piero!» prosegue Alfredo, che ama lo sport quanto la musica tanto che, con alcuni amici e colleghi, sta lavorando a un progetto “interdisciplinare” – che coinvolge anche l’abbigliamento, ad esempio, ma sempre incentrato sul vino e su un approccio al bere non scontato – battezzato À la volée, dal gergo del tennis.

Al Krésios ormai da cinque anni, guida ora una squadra di altre tre persone in una sala (con cinque tavoli) che non ammette improvvisazioni, e punta soprattutto sulla sensibilità nel capire desideri ed esigenze modulando menù e vini in base a ogni cliente, e sulla costruzione di un rapporto con l’ospite che va anche oltre la cena. «Molti diventano amici, mi invitano a condividere con loro cene e grandi bottiglie, ci scambiamo opinioni ed esperienze. C’è stato persino chi, pur essendosi avvicinato da poco al mondo dell’alta ristorazione, ha deciso di trascorrere le sue ferie qui da noi per osservare il lavoro in sala e oggiè entrato a far parte del team allargato del Krésios nel progetto del laboratorio. Il nostro approccio dà peso alle persone, tanto agli ospiti quanto ai collaboratori. In questo ho imparato molto da Giuseppe Iannotti: ha una dote incredibile nel far squadra, è incredibilmente lungimirante e tuti noi ci sentiamo parte di una famiglia».

Per la cucina impeccabile ma imprevedibile di Iannotti, Buonanno sta attualmente lavorando a una carta dei vini nuova e molto complessa anche dal punto di vista grafico, che rifugge dalla staticità e punta molto sui piccoli produttori artigiani. E guarda all’Italia come modello: «Probabilmente per la cucina l’estero ha molto da insegnare; ma per quel che riguarda il servizio, pochi come noi sono capaci di abbinare attenzione e rigore al calore umano. Quanto a me, all’inizio avevo in programma di fare esperienze diverse ma sono certo che se avessi lavorato in un altro posto non sarei mai diventato quello che sono oggi»

Nella foto: Alfredo Buonanno, ph. Marco Varoli
In collaborazione con Intrecci – Alta Formazione di Sala