L’Albana di Romagna, tra storia millenaria e rinascita contemporanea, torna protagonista sui mercati e nelle carte dei wine bar grazie alla sua sorprendente versatilità. Dal passito storico al secco minerale, fino alle versioni macerate e rifermentate, questo vitigno autoctono interpreta oggi in chiave moderna il patrimonio enologico romagnolo. Scopriamo origini, caratteristiche e abbinamenti ideali di un vino che, a partire dal riconoscimento della Docg nel 1987, ha saputo evolversi e conquistare una nuova generazione di winelover.
Vino antico riscoperto dagli appassionati di oggi
«Un vino simile non dovrebbe essere bevuto così umilmente, ma d’oro». Questa esclamazione — attribuita dalla leggenda alla principessa Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, durante una sosta in Romagna nel V secolo — è frequentemente utilizzata per raccontare le nobili radici dell’Albana di Romagna. Un vino e un vitigno che rappresentano l’anima di una terra che, dopo decenni di scarse soddisfazioni, sta ritrovando dal Duemila un’identità forte e riconoscibile, capace di imporsi sui mercati e tra i consumatori più attenti.
Primo vino bianco italiano a ricevere la Denominazione di Origine Controllata e Garantita (Docg) nel 1987, l’Albana è storicamente radicata nell’identità culturale romagnola. Le origini della sua coltivazione e vinificazione vengono fatte risalire all’epoca romana e il nome deriverebbe dal latino albus (bianco), in riferimento al colore chiaro dei grappoli. Le vigne hanno trovato la loro culla ideale tra le colline argillose e calcaree della Romagna, beneficiando di un clima temperato e delle brezze marine provenienti dall’Adriatico. Le uve giallo-verdastre costituiscono la materia prima di vini dalla struttura solida, con grande acidità e una spiccata componente tannica, caratteristica piuttosto inusuale per un bianco.
Paradossalmente, proprio queste peculiarità hanno penalizzato l’Albana in passato, quando il mercato preferiva vini morbidi e dolci. Eppure, con l’evoluzione dei consumi e del gusto, sta emergendo una nuova consapevolezza, capace di restituire centralità a un vino che oggi si esprime con eleganza sia nella versione passita, come da tradizione, sia in quella secca, spumantizzata, macerata, rifermentata o amabile. L’equilibrio tra acidità e struttura lo rende adatto a interpretazioni contemporanee.
Poliedrica nelle espressioni e negli abbinamenti
Nella versione secca l’Albana rivela profondità, mineralità e una acidità vivace — come nei casi del Bianco di Ceparano di Fattoria Zerbina, del Dutia di Branchini o di Alba della Torre de La Sabbiona — dimostrando grande versatilità su piatti di pesce grasso, crudité e primi saporiti. La versione amabile accompagna con equilibrio i formaggi freschi, mentre i rifermentati e i Metodo Classico risultano ideali con salumi, piadine e preparazioni grasse come il cotechino o per aperitivi che giocano sulla freschezza.
I tannini della versione macerata — come nel Vitalba di Tre Monti — asciugano il palato dalle grassezze di carne e pesce e alleggeriscono persino un tortellino alla crema di parmigiano. Da non trascurare infine il passito, come quello della tenuta Masselina, da sconsigliare sui dessert più ricchi, sebbene regga la biscotteria secca, e da privilegiare invece con formaggi stagionati, blu di capra e paté di oca o selvaggina.
Grazie a questa poliedricità e a una spiccata capacità di interpretare la cucina del territorio, l’Albana sta conquistando una nuova rilevanza, come dimostrano gli abbinamenti proposti al Vinitaly in collaborazione con Massimo Bottura. È un calice contemporaneo nel Dna, capace di racchiudere in sé memoria e futuro. Merito anche di produttori appassionati e attenti alla qualità e alla sperimentazione, che stanno esaltando la struttura tonica e la ricchezza aromatica di quest’uva, dando vita a vini sempre più complessi e longevi.