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A casa tua: Milano

Il food delivery ha chance dopo l’emergenza?

delivery milano

Passata la tempesta del virus, sull’asfalto di Milano è rimasta traccia evidente di un quesito: il food delivery ha chance dopo l’emergenza? È chiaro che sì. Ma non perché lo sostengono gli osservatori o i ristoratori. Lo esprimeva già prima un dato chiaro: nel 2019, il fatturato del particolare segmento era cresciuto del 56% sull’anno precedente (fonte Osservatorio e-commerce b2c del Politecnico di Milano). Cioè, mangiavamo sempre più fuori casa e, quand’anche stavamo sul divano, pretendevamo con desiderio crescente che fosse qualcuno là fuori a cucinare per noi. Il secondo impulso s’è impennato con le serrande abbassate del lockdown. Le pizze che cuocevano nei forni domestici non erano inferiori a quelle che i rider traghettavano sulle strade dell’apocalisse (ciclisti, peraltro, con ancora meno tutele, abbiamo scoperto dopo, giacché società come Deliveroo e Glovo avrebbero omesso di segnalare loro le insidie sanitarie delle missioni).

Il dato nuovo è che questi ragazzi non trasportavano più solo pizze e hamburger (i due generi insieme rappresentavano il 75% delle consegne) ma anche preparati “gourmet” dalla firma illustre. Non quanto avrebbero potuto, in verità, perché tanti cuochi, già provati economicamente, non hanno voluto piegarsi alla commissione media del 30% imposta su ogni consegna dalle piattaforme globali (che, purtroppo, si sono guardate bene dall’applicare sconti in una fase tanto drammatica). E allora si sono organizzati in proprio: nel plotone di deliveristi si scorgevano pasticcieri stellati o para-stellati col cestino pieno; patron in quattro frecce con foodkit stipati nei bagagliai; commis con guanti, mascherina e sacchetti di carta traboccanti coulis o insalate creative (ma spesso tanta, troppa plastica dentro) da rigenerare o ricomporre a domicilio, una bella consolazione per noi dilettanti ai domiciliari. Che ne sarà di queste pratiche di “Lego fine dining” a emergenza tramontata? È chiaro che tanti ristoranti, a regimi normali, smetteranno di consegnare (soprattutto quelle insegne aperte da poco, magari dopo lungo tribolare, per cui il delivery aveva significato ammortizzare un minimo le spese di start-up, tenere in esercizio giovani cuochi improvvisamente privati dell’adrenalina del servizio, far presenza).

Soluzione temporanea?
Terminato il divertissement, è chiaro per tutti, ristoratori e clienti, che i pur galattici Spaghetti con olio ed emulsione di bottarga dei ragazzi di 142 Restaurant, il Guacamole di piselli e cacioricotta di capra di Distreat o la Sovracoscia di pollo al forno di Bites hanno ben più senso se gustati seduti al ristorante. Perché “l’esperienza”, cioè la somma di tutti gli elementi extra-gastronomici – l’accoglienza, la mise-en-place, la cucina a vista, lo storytelling, le luci, la filodiffusione -, non è mai stata così determinante come oggi. In più, a pieno regime sarà piuttosto complicato tenere due linee diversificate in cucina: servizio al tavolo e delivery/take away, due mestieri che differiscono profondamente nella modalità (e nei margini di guadagno). I ristoratori più virtuosi che continueranno lo faranno perché certi di garantire un gap contenuto tra le bontà servite e quelle consegnate. A Milano, l’esempio più felice viene forse dai ragazzi del Luogo di Aimo e Nadia: è possibile acquistare le preparazioni degli Spaghetti al cipollotto e peperoncino o la Zuppa etrusca di Aimo Moroni – due piatti simbolo dell’alta cucina italiana da quasi mezzo secolo – e rigenerarli a casa con esiti commoventi, insieme ad altre delizie come i calamari dell’Adriatico in guazzetto o le monoporzioni di fine pasticceria. Particolare importante: il servizio di delivery/to go dei cuochi Alessandro Negrini e Fabio Pisani non salpa dalla bomboniera 2 stelle Michelin di via Montecuccoli ma dal loro bistrot Vòce, di piazza della Scala, più attrezzato a gestire traffici “sui generis”.

C’è chi dice no
I quattro piani del Ristorante Cracco sono invece corazzati da Natale scorso per sostenere ampi traffici di e-commerce: dalla Galleria partono prodotti di bottega, vini limited-edition ma anche croissant, le celebri pizze e le mono-porzioni dalla pasticceria e dal bistrot. Nell’emergenza, è nato il delivery del “pranzo della domenica”, un menù di 4 piatti buoni e ingegnerizzati per replicarsi bene altrove. Un progetto che continuerà: «L’importante è essere in grado di soddisfare le attese del cliente. Se non è possibile, non ha senso», chiarisce Carlo Cracco. «Noi siamo felici dei risultati e quindi lavoreremo per migliorarlo anche in condizioni normali». C’è poi chi apre spiragli, ma solo a metà, come Trippa, la trattoria cult di Pietro Caroli e Diego Rossi: «Faremo asporto ma non delivery», spiega il cuoco veronese, «perché è più semplice e meno costoso». Ma anche chi chiude drasticamente al genere, come Enrico Bartolini: «Ho grande stima per chi lo fa», ci racconta il cuoco che ha riacceso le 3 stelle Michelin a Milano, 26 anni dopo Gualtiero Marchesi, «ma per noi avrebbe voluto dire riorganizzare da zero un’attività complessa. I nostri piatti non sono mai stati pensati per essere stati trasportati». E nel futuro? «È una modalità che non mi attrae, né invidio chi lo fa con successo. Vorrei conservare valori artigianali, che decadrebbero se rinunciassi alla fragranza degli ingredienti o alla pulizia dei sapori. Il palato è la prima cosa, dice Aimo Moroni. Come lui, sono cresciuto in Toscana. Per me il massimo sarebbe avere un orto e cucinare le sue primizie nella casa davanti». Un concetto che ci offre l’assist per l’ultimo esempio, tra i più lodevoli in città. È il delivery super-green di Erba Brusca: oltre al menù di piatti da comporsi in casa (un esempio: la spalla di mora romagnola – di Zivieri – sfilacciata con tranci di polenta di mais bianco e cavolo nero marinato al dressing di Parmigiano, acciughe, semi di girasole e mele essiccate), Alice Delcourt e Danilo Ingannamorte continuano a recapitare cassette con 7 chili di ortaggi coltivati nel loro nuovo orto della periferia sud. Nei giorni in cui anelavamo tutti alla natura dai balconi sospesi sull’asfalto, loro te ne portavano un pezzo a casa.

CONTATTI

142 Restaurant
142.restaurant

Distreat
distreat.it

Bites
bitesmilano.com

Vòce di Aimo e Nadia
voceaimoenadia.com

Ristorante Cracco
shop.carlocracco.it

Erba Brusca
erba-brusca.myshopify.com/

 

LA LEZIONE ASIATICA

Un discorso speciale merita il delivery/asporto di specialità asiatiche a Milano che si conferma, anche in questo settore, la capitale di cucina internazionale d’Italia. Sushi, dim sum e altre specialità tipiche funzionano perché si prestano meglio di altre a essere trasportate. È una questione di volumi contenuti, incidenza relativa delle temperature e facilità di fruizione a casa. Il campione della categoria qui è Aji (aji.mi.it), spin-off del blasonato Iyo. I patron Claudio Liu e Federico Zhu hanno fatto prove su prove prima di aprire, due anni fa. Oggetto dei test: il packaging più adatto (si veda l’approfondimento nella rubrica Design Challenge di questo mese) e le dotazioni dei motorini (zaini per minimizzare l’impatto del pavé sul cibo). Nelle prime due settimane di maggio hanno fatto registrare 50% di consegne in più rispetto all’anno precedente (e tra pochi mesi sorgerà un secondo Aji al polo opposto della città). I gunkan e carpaccio di capasanta di Aji sono nella nostra top 10 di specialità asiatiche da asporto. Le altre? L’anguilla kabayaki bento della Bentoteca di Yoji Tokuyoshi (bentoteca.com); i sushi roll di foie gras di Basara (basaramilano.it); il ramen “Miso on re” di Casa Ramen Super (casaramensuper.com); lo stinco di maiale marinato nel sake di Ciotto (ciotto.it); l’anatra alla pechinese di Mu Dim Sum (mudimsum.it); l’anguilla laccata con riso e il katsu sando di Gastronomia Yamamoto (facebook.com/gastronomiayamamoto); l’uovo centenario e i noodles alla Chongqing de Il Gusto della Nebbia (ilgustodellanebbia.eatbu.com); il bento sake no teriyaki (salmone teryiaki) di Ichikawa (ichikawa.it); l’unagi sando (con cocktail) di Kanpai (kanpaimilano.it) .

 

foto di Laura La Monaca